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CROCETTA IN BICICLETTA
 

 

 

Caratteristiche tecniche

Lunghezza: km 50 - tempo di percorrenza: 4 ore

GALLERIA DI IMMAGINI

TERRITORIO DI CROCETTA

 

Crocetta del Montello si trova nella parte nord-occidentale della Marca Trevigiana. Il territorio comunale siede in parte sull’antico greto del Piave (Rivasecca e grave di Ciano), in parte in pianura (Nogarè) e gran parte si arrampica sui versanti terrazzati, settentrionale ed occidentale del Montello. La più estesa parte del territorio è occupata da Ciano che è posta sulla riva destra del fiume Piave, la quale si estende a semicerchio da Rivasecca a Caudiuviol e prosegue, lambendo il Montello, oltre la grotta del Buoro fino al Capitel dei Lovi in località Santa Mama.  L’area, il territorio ed il paesaggio sono profondamente caratterizzati dallo scorrere del fiume Piave a nord est e delle acque che dal Piave provengono e cioè i canali artificiali della Brentella, del Castelviero e del Canale del Bosco. Fanno parte di Crocetta del Montello due uniche frazioni che sono: Ciano del Montello e Nogarè.  Stiamo parlando di una comunità di poco più di 6.000 abitanti che vive su un territorio posto intorno ai 145 metri sul livello del mare.

ACQUE A CROCETTA

Tra le caratteristiche di questa località annovero di sicuro la presenza di grandi arterie d’acqua: il grande fiume Piave e poi la Brentella, il Castelviero, il Canale del Bosco e il Nasson.

 

LA PIAVE

La Piave nasce nelle Alpi Orientali e più precisamente nelle Alpi Carniche, alle pendici meridionali del Monte Peralba, nel comune di Sappada, in provincia di Belluno, a quota 2.037 m s.l.m. La sua foce è nel Mar Adriatico, a nord-est di Venezia, presso il porto di Cortellazzo fra Eraclea e Jesolo. È il quinto fiume d'Italia per lunghezza.

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LA BRENTELLA

Una prima idea di scavare un canale artificiale atto a diffondere nelle campagne i benefici dell'acqua ricavata dal Piave a Pederobba, risale al 1310. Fu realizzato  però grazie ad una concessione della Repubblica di Venezia del 1436 scaturita da una richiesta avanzata l'anno prima dai rappresentanti della città di Treviso che avevano richiesto al Senato la costruzione del canale “pel bene generale di tutto il territorio nostro trevisano, poiché la campagna vi è aridissima e perciò sterile”. Nel 1443 cominciò a scorrere la prima acqua, ma la manutenzione del canale si dimostrò costosa e non proporzionata ai benefici che ne derivavano. Ne vennero ridiscusse la portata e l'efficienza. S'intromise il Senato veneziano che, avvalendosi dell'opera di Fra Giovanni Giocondo da Verona, nel 1507 segnò definitivamente il corso dell'acqua che è quello attuale. Il canale fu quindi notevolmente ampliato e potenziato da Giovanni Giocondo e in effetti diede al territorio enormi vantaggi (si noti, per esempio, che la popolazione locale triplicò nel giro di nemmeno tre secoli, un incremento enorme per allora). Dapprima nato con lo scopo unico di soddisfare ai bisogni dell'abbeveraggio degli uomini e degli animali, nonché per l'irrigazione, il canale successivamente andò assumendo maggiore importanza, tanto che le sue acque furono sfruttate per il funzionamento di molini e, in un secondo tempo, di stabilimenti industriali e impianti per la produzione di energia elettrica. Oltre che a favorire l'agricoltura, la Brentella faceva funzionare numerosissimi opifici, e agli inizi del Novecento i territori limitrofi divennero una delle principali zone industriali della provincia.

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Scorre parallelamente al Piave e, poco dopo Crocetta del Montello, si dirama nei canali detti di Caerano e del Bosco. Il primo, che è il principale, attraversa gli abitati di Caerano di San Marco e Montebelluna e, poco prima di Trevignano, si divide in canali minori; l'altro lambisce il versante sud del Montello e sfocia nel canale della Vittoria di Ponente.

 

IL CANALE DEL BOSCO

Il canale del Bosco, è un canale artificiale realizzato nel 1500 per deviare attraverso la Brentella di Pederobba l’acqua del Piave e portarlo sui territori a sud del Montello (Biadene, Volpago, Giavera del Montello ecc.). Lambisce il versante sud del Montello e sfocia nel canale della Vittoria di Ponente a Giavera.

CANALE DEL BOSCO A CROCETTA.png

IL CASTELVIERO

Il Canale Castelviero, è una delle diramazioni della Brentella che apre il suo corso a nord di Crocetta nei pressi della borgata di Croce del Gallo. Scende quindi ad est e percorre tutto il lato nord del Montello sino ad uscire nei pressi dello sbarramento di Nervesa. Anche in questo caso si tratta di un canale artificiale realizzato a scopi irrigui e serventi l’area posta a nord del Montello.

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IL NASSON

Il Nasson sgorga da una sorgente che si origina da una falda del Montello. Scorre a nord del Montello per 4 km e si butta nel fiume Piave a nord di Santa Mama.

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TOPONIMO

Alcuni credono che il nome di Crocetta sia derivato da una croce dipinta come insegna, esistente in passato nell'antica osteria «della Crosetta», che si trovava nei pressi dell'ex filanda Marcato-Ancilotto. Questa versione però rimane ancora oggi dubbia.

Altri vogliono che il nome «Crocetta» sia derivato da una reliquia della Santa Croce conservata nell'oratorio della villa di stile palladiano originariamente dei patrizi veneziani Sandi e successivamente, dal 1827, dei Sernagiotto ed ora dei Cassis. Tale reliquia però non è anteriore al 1700 ed esistendo il nome Crocetta ancor prima del ’600, l'origine del nome va spiegata diversamente.

Don Luigi Rostirolla, già parroco di Nogarè, nella sua Cronaca della parrocchia di Nogarè (1911), sostiene che più verosimilmente, il nome di Crocetta venne da una croce posta dalla pietà degli anziani del posto sul punto d'intersezione delle quattro strade che fanno capo all’ex palazzo Marcato Ancilotto ora di proprietà comunale. Poiché in genere questi nomi del tipo «Crocetta», «Crosetta», «Crosera», «Crozzole», «Crosara», si collegano con l'incrocio stradale, che certe volte poteva essere distinto pure da una croce cristiana o da un capitello con croce, quest'ultima possibilità, pur senza documentazione diretta, sembra quella che offre maggior numero di analogie.

 

STORIA DI CROCETTA

 

Introduzione

Per esaminare le origini del paese bisogna riandare ad un lontano passato. Tra il 1330 e il 1345, in un codice in pergamena chiamato «Quaternus decimae triennalis», si parla di «Rivasecca» come di un piccolo agglomerato di case avente una cappella intitolata a San Nicolò, retta dal prete Giovanni da Rivasecca. A un certo momento il nome di Rivasecca perdette d'importanza e l'abitato cominciò chiamarsi Crocetta.

 

La preistoria

È difficile tracciare un profilo storico e sociale dei paesi veneti in generale prima dell’anno 1000 d.c. in quanto davvero scarse e frammentarie sono le informazioni giunte sino a noi. La zona di Montebelluna di cui Crocetta del Montello fa parte era già abitata tra il 5000 ed il 1000 a.c. cioè durante il neolitico e l’età del bronzo. Alcuni ritrovamenti sono stati fatti in particolare nella zona del buoro di Ciano, nei pressi del capitello dei lovi ed in altre zone limitrofe. E alcuni di questi reperti sono oggi presenti nel Museo Civico la Terra e l’uomo di Crocetta (ma ne parleremo più avanti).

I veneti, l’invasione dei Galli e Roma

Nel 388 a.c., i Galli invasero la Pianura Padana e penetrarono sino a Verona e qui vi si insediarono. I Veneti, fiutato il grande pericolo, chiesero allora aiuto a Roma, la quale poi colonizzò l’intera zona. Ecco quindi l’incorporazione di Treviso e dintorni nell’area di influenza romana e l’istituzione della X regione romana, quella di “Venethia et Histria” di cui anche il territorio di Crocetta faceva quindi parte. Per la verità, tracce importanti di questa dominazione non ne abbiamo un granché: si pensi alla frazione di Nogarè ove, il ritrovamento di monete, scheletri ed oggetti vari, fa supporre che nella zona vi fosse un insediamento romano, forse un accampamento. Teniamo presente che Nogarè si trovava e si trova sulla strada che si chiamava “Via Antighe”, la quale collegava la Postumia alla via Claudia Augusta Altinate (ritorna sempre questa storia dell’incrocio di strade a cui anche il toponimo di Crocetta fa riferimento). Si tratta di un accampamento che faceva da punto di rifornimento per i soldati romani diretti a nord.

 

 

I Barbari, I Longobardi e i Franchi

Nel 400 d.c. in Italia arrivano i barbari, dapprima i Visigoti (410), poi gli Unni e Attila (453), poi gli Ostrogoti e quindi i Longobardi che nel 568 realizzarono anche in questa zona uno dei loro Ducati. Seguirono poi i Franchi che dal 774 al 900 organizzarono anche questa zona un “marchesato”.

 

Il Duecento ed il Trecento

Nel corso del 1200 Venezia aveva il pieno dominio sui mari mentre, nella terraferma comparvero le Signorie. Crocetta dipendeva dal Vescovado di Treviso. È il periodo delle lotte tra Signorie e Vescovi per il predominio politico ed economico sul vescovato. Nell’ambito di queste lotte si pongono le razzie di Tiso da Camposampiero a Nogarè nel 1233 e dieci anni più tardi fu la volta di Marco Soldo, capo dei soldati di Ezzelino da Romano. Ecco nuove lotte ora tra i Da Romano ed il Vescovo e poi quelle tra i Da Romano e i Da Camino. E quindi arriviamo al periodo, finite queste lotte, del dominio di Cangrande Della Scala.

 

Il Cinquecento ed il Seicento

Nascono grosso modo in questo periodo Santa Mama (San Mamante), Ciano (Santa Maria Assunta), Rivasecca (San Nicolò), poi nel Piave, Condugol fino al 1480, Prantighe (Santa Margherita), Busco (San Pellegrino dal 1550), ed infine Nogarè (Sant'Andrea), unico borgo lontano dal Piave.

È il 1508, e anche da queste parti passarono le truppe impegnate nella Guerra di Cambrai, con il loro seguito di rapine e distruzione. Sono però questi anche gli anni dell’arrivo in questo territorio delle acque portate dalla Piave attraverso l’imponente opera della Brentella. L’arrivo dell’acqua comporterà lo sviluppo di produzioni agricole quali il mais e di attività legate ai mulini e ai salti d’acqua relativi e quindi folli da panni, magli ecc.

Altra direzione di sviluppo della comunità è sicuramente il bosco del Montello, da un lato sfruttato per la legna e da un altro disboscato per far spazio alla costruzione di abitazioni e alla attività di pascolo.

 

La vita nell’800

Jacopo Boschieri, sindaco di Cornuda (non esisteva ancora il Comune di Crocetta che arriverà solo nel 1902 e quindi Nogarè e Ciano facevano parte di Cornuda), rispondendo ad una inchiesta nel 1873, ci ha lasciato una testimonianza veramente eccellente, sulle condizioni di vita e sulle attività svolte da queste parti. Le strade comunali sono sufficienti per la viabilità interna, mentre due sono le direttrici principali di transito: la Treviso Feltre e la Provinciale detta dell'Erizzo, da lui finanziata nel 1817, per dare un qualche lavoro alla gente in epoca di spaventosa carestia.

La proprietà è molto frazionata, esistono solo alcuni grossi proprietari terrieri, forse una decina, mentre più numerosi sono i contadini con uno o due campi di terra, dai quali essi ricavano frumento, granturco, segala ed avena. L'allevamento è abbastanza diffuso, nel medio evo Io era di più, tanto che originò la nascita del borgo di Condugol; pochi sono i cavalli e le pecore, mentre molto diffuso è invece l'allevamento del maiale, il mitico porzhel, attorno al quale sono nati veri e propri riti sacrificali al momento della sua uccisione. Ciò consentiva di disporre abbondantemente di carne. Il vino viene anche prodotto, ma non in grande quantità, perché le malattie della vite non consentivano né la grande quantità né l'ottima qualità, si sopperisce a questa mancanza con il vin pizhol, vin piccolo cioè di seconda derivazione. La coltura della frutta avviene soprattutto in collina: si raccolgono castagne, pere e mele, vendute nei mercati di Montebelluna, Treviso e Feltre. Il lavoro dei campi ha prodotto un'altra tipica presenza, quella del morer, il gelso, che vive veramente un grande momento: la grande diffusione della sua coltura è dovuta alla necessità delle sue foglie, che, sulle grisoe in vimini prodotte in loco consentono l'allevamento del baco da seta in moltissime famiglie, e le gaete, i bozzoli, cioè il prodotto finale dell'allevamento del baco, deve poi essere lavorato per estrarre la seta nelle filande o filature di seta, che proprio in quel periodo incominciano a diffondersi: attorno al 1870, in località "la Crocetta", vicino a quella che era stata l'hosteria della Crocetta, viene avviata la prima attività industriale del Comune di Cornuda, ma anche di Crocetta, la Filanda Marcato Ancilotto, che dava lavoro a circa 200 filandiere soprattutto di Nogarè, per quattro cinque mesi all'anno.

Ma questa non è l'unica attività in comune: a Ciano prospera, molto diffusa fra la popolazione, la lavorazione dei vimini e del giunco, venghe e sanguinee, diffuse sulle grave del Piave, che portano alla produzione, appunto, delle grisoe, di ceste di varie dimensioni, inoltre prospera la fabbricazione di utensili in legno, e di vasi vinari, caretei, o piccole botti, sempre venduti nei tradizionali mercati. Altre attività presenti sono i battiferro o fabbri, come “el maio di via calcavada” a Rivasecca, e soprattutto i mulini attivati principalmente sul Canale Brentella o su rivoli o canali minori da esso derivati: ogni frazione ha il suo, poi ci sono quello di Villa Sandi, ed il più famoso di essi, il mulino sega sul Canale Brentella, di fronte a via Rimembranza.

La nascita del Comune

Dieci anni prima della nascita del Comune di Crocetta che, ricordiamo, avvenne solo nel 1902, un ricco possidente veneziano, Andrea Antonini, decise di sfruttare le due "risorse" che il suo amico Giovanni Battista Marcato di Crocetta gli aveva fatto conoscere: l'acqua del Brentella e le braccia dei bisnenti del Montello. Nel 1882, in società con un altro possidente veneziano Pacifico Ceresa ed il trevigiano Angelo Zorzetto, Andrea Antonini pose mano quindi alla costruzione del Canapificio Veneto, che iniziò a funzionare nel maggio del 1883. La prima forza lavoro fu reperita in loco, naturalmente tra i bisnenti, e non fu certamente facile farli adattare ad un lavoro regolare, anzi, ma ben presto non bastarono nemmeno più, e così oltre all'impiego dei locali, molte operaie affluirono a Crocetta dai paesi vicini e meno vicini per lavorare nel canapificio, che si era ingrandito a tal punto da raggiungere, all'inizio del 1900, i 2000 operai circa, i quali lavoravano la canapa, producendo corde, cardami, filo di ogni genere e perfino gomene per navi, fornite al Ministero della Marina. Antonini aveva costruito per i suoi operai case e servizi, era cioè nato un paese, attorno alla località denominata "alla crocetta", che inglobò Rivasecca.

Il nuovo paese nacque dunque grazie alla consistenza assunta dalla frazione di Rivasecca. In seguito alla costruzione del canapificio, i prominenti di Crocetta cominciarono a chiedere la separazione da Cornuda, con la quale purtroppo molti contrasti erano sorti, perché le frazioni avevano ritenuto di esser state sempre trascurate a favore del centro. Lodovico Boschieri ex garibaldino, appoggiato da Antonini, e con l'aiuto del politico locale, l'onorevole e poi Ministro Pietro Bertolini di Montebelluna, fu l'anima di questa operazione che vide la nascita del nuovo comune il 2 giugno 1902, sulla base di parametri molto semplici: il capoluogo Cornuda aveva 2445 abitanti e le due frazioni richiedenti, Ciano e Nogarè, ne avevano 4160; venne delimitata la superficie di ogni frazione, fatto condizionato ancora una volta dai prominenti locali, e venne approvata la decisione di attribuire alle frazioni richiedenti il 61% ed a Cornuda il 39%, di tutto naturalmente: superficie, attività, passività, ed anche il Bosco del Fagarè. Il trasferimento di atti e documenti, in una sede provvisoria del nuovo comune, avvenne nottetempo, in modo rocambolesco. Il nuovo Comune prese il nome di Crocetta Trivigiana e Boschieri ne divenne il primo sindaco, avendo anche la soddisfazione di festeggiare la buona riuscita dell'operazione con Andrea Antonini nel 1908, 25° anno di nascita del canapificio, che aveva raggiunto il suo punto di massima espansione con 2800 operai; Antonini aveva voluto completare, per quella circostanza, anche la sua sontuosa Villa, poi abbattuta.

 

I primi anni del nuovo comune

Furono anni molto duri e grazie alla pazienza, alla tenacia ed alla competenza di Lodovico Boschieri, trovarono realizzazione nei primi quindici anni le scuole nelle frazioni, l'acquedotto, strade di comunicazione anche fra le frazioni. Le forze produttive di Crocetta nel frattempo si sono irrobustite ed altre aziende od attività artigianali sono sorte: un panificio quasi industriale al centro del paese, la filanda a Crocetta nel 1904, una fornace di mattoni a Ciano, nel 1905, ed una fornace di calce a Crocetta nel 1910, tutto sempre per opera di Antonini. Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, scoppia al canapificio uno dei più forti scioperi riscontrati nel Veneto, e non solo, all'inizio del secolo: per venti giorni, dal 1 al 20 luglio 1913, gli operai non lavorarono. Con cortei, comizi e manifestazioni, instaurarono un duro braccio di ferro con la dirigenza del canapificio per migliorare, oltre che le paghe, anche le condizioni di lavoro in ambienti che erano umidi e difficili, assistiti in questo lungo confronto, soprattutto dai rappresentanti dei partiti e dalle confederazioni sindacali di Treviso, che stavano tutti muovendo i primi passi. Nemmeno il tempo di rifiatare dopo questa faticosa vicenda, quando irruppe la prima guerra mondiale.

La prima guerra mondiale (1915-1918)

La prima guerra mondiale costrinse tutti a relegare i progetti in soffitta. I primi due anni furono anni di incertezza, seguiti subito dopo da timori e poi dalla paura, con il conseguente esodo di gran parte della popolazione, quando le truppe nemiche dopo la sconfitta di Caporetto si avvicinarono al Piave ed al Montello, dove finalmente furono fermate dai nostri soldati nel giugno del 1918. Questo era il fronte, la prima linea, dove le nostre truppe si erano attestate; in particolare all'albergo Ponte dei Romani era alloggiato il Comando generale delle truppe italiane dell'8° armata, che poteva contare su un osservatorio di guerra fatto costruire sul Montello presso Casa Benedetti, sulla presa 15. L'8^ Armata era costituita da tre Corpi d'Armata che avevano il compito di forzare il Piave, rispettivamente, alle Grave di Ciano, a Fontana del Buoro ed a Nervesa, ognuno con tre ponti di barche. “Alle ore 20 del 26 ottobre scocca l'ora del destino; i pontieri iniziano a gettare i ponti di barche nella zona del 22°, i ponti avrebbero dovuto essere a Fontana del Buono, a Casa De Faveri ed a Casa Biadene. Alle 22, sotto un diluvio di pioggia, il ponte di Fontana del Buoro è praticamente finito, non ancora gli altri due, ma intanto cominciano a passare i primi soldati delle compagnie della Divisione d'assalto comandata dal Gen. Zoppi, i mitici "Arditi". Poco oltre la chiesetta di Santa Mama, sulla destra, è stato eretto un cippo, il Cippo degli Arditi, dal luogo dove partirono all'attacco. Alle 5 del mattino Di Giorgio, che avrebbe dovuto iniziare il suo attacco, comunica che non ce la fa a buttare i ponti, troppo forte la corrente e troppo alta l'acqua, e verrà autorizzato ad attraversare con i suoi reparti al ponte di Fontana del Buoro; gli altri due funzionano ad intermittenza, danneggiati dalla piena e dall'artiglieria nemica. Verso le 6 e mezza comincia ad albeggiare e gli austro ungarici possono distinguere le opere dell'esercito italiano ed «alle 7,35 del 27 ottobre 1918 sul Piave e sul Montello passa l'inferno»; l'artiglieria austriaca contrattacca, distruggendo o danneggiando molto di quanto fatto durante la notte, solo il ponte di Fontana del Buoro resiste, consentendo ai nostri soldati di continuare a passare. Già molti reparti sono ormai riusciti ad attraversare, forzando le prime linee nemiche sul Piave con furiosi corpo a corpo, aiutati dalla nostra artiglieria su Moriago e Fontigo, dove i combattimenti continuarono casa per casa. Ma già migliaia di soldati austriaci si erano ammassati sulle Grave di Giano durante tutta la giornata., arrendendosi. Durante la notte riprese il passaggio delle nostre truppe, ma più a nord anche reparti francesi ed inglesi avevano forzato le linee austro ungariche ed il giorno seguente le nostre truppe sfondarono decisamente verso Vittorio Veneto. Crocetta e Ciano, in modo particolare quindi, furono prima linea e questo significò essere fatti segno dagli attacchi delle artiglierie nemiche, che causarono danni a molte case dei due paesi, al Canapificio ed a tutte le chiese del comune.

Il periodo fascista e il nuovo nome del Comune

Dopo la prima guerra mondiale la vita riprende. II Canapificio ripara i suoi danni, rimonta i macchinari e riesce a riprendere l'attività. Ma nel 1920, il canapificio confluisce nel Linificio Canapificio Nazionale: Antonini forse sperava in una posizione di prestigio, la vice presidenza, ma a Milano l'aria è diversa, e il nostro cavaliere non raggiunge il suo scopo. Antonini decide di uscire di scena, vendendo anche tutte le sue proprietà, in primo luogo la sua villa, che vendette però a costo di terreno, a patto cioè che fosse abbattuta completamente. Accanto al Canapificio, le attività produttive di Crocetta riprendono lentamente, qualcuna anzi si consolida, ma altre purtroppo devono chiudere. Al primo gruppo appartengono per es. la filanda Nudi e la filanda Marcato Ancilotto. Iniziano la loro attività due nuove filande, Buratto Pellegrino e Vanetti Antonio; Chiudono invece: il grande panificio, la filanda di Crocetta, la fornace di mattoni di Ciano, tutte avviate a suo tempo da Antonini. Ma il momento storico che si sta vivendo, non è dei più adatti a stimolare le iniziative produttive: due crisi mondiali, nel 1927-28 e nel 1932-33 non possono certo favorire il risveglio imprenditoriale di alcuno, anzi. Nel 1927 il regime fascista si rende ben visibile con la prima leva fascista all'Isola dei Morti sul Piave; segue poi l'inaugurazione dell'Istituto Orfanotrofio Pontello nel 1928, in esecuzione delle ultime volontà di Luigi Pontello. Il 1928 vide un evento comunque decisivo per Crocetta: il 31 dicembre di quell'anno il governo Mussolini decretò il cambio della denominazione del Comune che divenne Crocetta del Montello, a ricordo delle storiche battaglie combattute.

Nel 1930 ha luogo la chiusura della linea tramviaria Montebelluna-Valdobbiadene.

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Nel 1933 viene inaugurato un monumento al Re, vicino all'osservatorio di Casa Benedetti, dal quale il Re stesso aveva osservato la battaglia del Piave nel 1918. Pian piano l'organizzazione sociale e para militare fascista si inserisce nella comunità: dal 1930 nascono i centri invernali per l'assistenza ai poveri, le cosiddette "cucine invernali", il campo solare per bambini e bambine al Piave, e l'Opera Nazionale Dopolavoro che assumerà man mano il controllo di tutte le associazioni ed attività del tempo libero in ogni comune. L’istituzione più prestigiosa in questo periodo era la Scuola di disegno per arti e mestieri della Soms, la quale, nata nel 1910, aveva ripreso l'attività nel dopoguerra, riavviando questa scuola che lentamente l'OND circuì ed occupò fino a gestirla in funzione del regime. Il tessuto economico produttivo del comune appariva sufficiente; la precedente lavorazione del giunco e la produzione di attrezzi in legno, comunque, in questo momento fa registrare una drastica riduzione, solo due tre famiglie se ne occupano a tempo pieno. Il Canapificio passava attraverso una crisi dopo l'altra: 1922, 1927, 1933, riusciva a superarle, ma a prezzo di successive riduzioni della manodopera presente, che andava perdendo sempre più la componente femminile: i circa 1500 operai del dopoguerra divennero 1350 attorno al 1925, e poi via, via sempre di meno. C'era il problema della concorrenza delle fibre sintetiche, che era in sé un problema di costi: riduciamo gli operai e le nostre corde costeranno di meno, ma questo meccanismo non poteva durare all'infinito. L'aspetto più preoccupante era che la maggior parte dei lavoratori di Crocetta dipendeva dal Canapificio, il che lasciava intuire quale tragedia si sarebbe abbattuta sulla comunità, se si fosse verificata la chiusura del Canapificio, ma nessuno credeva che un tale avvenimento si sarebbe mai verificato. La crisi del '33 fece chiudere le filande Nardi e Buratto; ancora il Canapificio ebbe la sua ennesima crisi nel 1938, ed in qualche modo superò anche questa, sempre a prezzo di altri licenziamenti; ma già la seconda guerra incombeva.

Seconda guerra mondiale

Durante la seconda guerra mondiale la zona fu caratterizzata da un'attiva presenza partigiana. Il 26 agosto 1944 i tedeschi bruciarono per rappresaglia un'osteria del paese e poco lontano fucilarono sei partigiani prelevati dal carcere di Montebelluna. Quattro giorni più tardi, nel corso di un rastrellamento nella frazione di Ciano, i nazisti catturarono ed impiccarono due civili.

A Crocetta del Montello ebbe sede la Corte dei Conti della Repubblica Sociale Italiana, presidiata dalla Xª Flottiglia MAS. Il 2 gennaio 1945 proprio i militi di questo reparto, dopo una serie di torture e sevizie, fucilarono presso il cimitero di Ciano cinque partigiani.

 

Il secondo dopoguerra

Questa guerra non aveva lasciato distruzioni materiali nel comune, ma le varie tendenze politiche emerse avevano creato una certa contrapposizione anche sociale, acuita poi dalle vicende politiche di allora, dalle quali anche la comunità uscì, si può dire, quasi divisa in due schieramenti. In questa atmosfera di incertezza e di confusione, nel 1946-47 il Comune di Cornuda tentò di restituire a Crocetta il colpo mancino operato 45 anni prima, mettendo in atto un tentativo per staccare Nogarè da Crocetta, che non riuscì. Cornuda non si arrese e nel 1949 il tentativo fu ripetuto dall'interno del comune, con una richiesta da parte di cittadini di Nogarè, in massima parte agricoltori, che erano stati convinti alla secessione perché avrebbero pagato meno tasse a Cornuda! Ma il sindaco seppe facilmente avere ragione di questo "movimento separatista", mentre a Cornuda questa definitiva rinuncia lasciò il segno, che sarà visibile in un reiterato diniego a concedere l'inserimento del nome di Crocetta sulla denominazione della stazione ferroviaria. In questi anni si avvia a Crocetta una proficua stagione di lavori pubblici realizzati dall'amministrazione comunale: sistemazione o costruzione di scuole e di cimiteri, acquedotto ed opere stradali; nel 1951 anche Crocetta centro ha la sua chiesa parrocchiale ed anche il campanile, qualche anno dopo, per opera di tutta la comunità.

La chiusura del Canapificio

Ma è nel settore industriale che il comune di Crocetta farà registrare una svolta radicale. Si può affermare che, a partire dalla fine, della seconda guerra mondiale, il Canapificio Veneto abbia vissuto la sua lunga e dolorosa agonia. Nel 1950 si verifica una crisi molto seria, sui giornali locali si ipotizzava lo smantellamento dello stabilimento, ciò non avvenne ma ci furono 100 licenziamenti. Ormai è chiaro a tutti che la direzione di Milano è indirizzata a liberarsi di questa azienda. Nel 1958 scoppiò un'altra gravissima crisi che portò al licenziamento di trecento operai ed alla vendita di abitazioni, che solo in parte poterono essere acquistate dagli inquilini, di terreni e di altri immobili. Sembrò che, in qualche modo, il gigante smembrato potesse ancora sopravvivere ma si sapeva che il direttore arrivato nel 1969, Viviani Antonio, aveva solo l'incarico di fare il liquidatore e ciò provocò la maturazione di una scelta da parte dell'amministrazione comunale: iniziare l’industrializzazione del Comune. Chissà per quale miracolo il Canapificio, che già da lungo tempo non assicurava più un'entrata ad ogni famiglia del comune, continuò ancora per cinque anni e qualcuno ormai diceva che le crisi venivano ma anche passavano, invece nel 1965 si presentò realmente la congiuntura tante volte paventata: questa volta si chiudeva. Passò ancora un anno di trattative e di incertezze; nel 1966 il consiglio comunale si riunì per salvare il posto di lavoro agli ultimi 167 lavoratori, uno per famiglia, occupati nel Canapificio, che costituiva ancora la più grande azienda del comune. Ormai si capisce che la battaglia è persa, ma la si continua quasi a titolo affettivo, come se nessuno volesse dire addio al "grande promotore" del comune di Crocetta; il destino è definitivamente segnato: nell'ottobre del 1967 si chiude.  (tutto il materiale è tratto dal sito del Comune di Crocetta del Montello)

E quindi, saliamo in sella e pedaliamo. Partiamo dal Municipio di Crocetta. Diamo le spalle al palazzo comunale, teniamo la sinistra. Al semaforo presso il ponte sulla Brentella, noteremo proprio davanti a noi l’osteria Albergo Ponte dei Romani.
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Si crede che tale nome derivi da un fatto d'armi e da oggetti affiorati nello scavo del nuovo letto del Brentella.

 

Giriamo ora a sinistra. Teniamo la ciclabile su via Erizzo. Circa 300 metri più avanti sulla nostra destra uno dei luoghi più carichi di storia di Crocetta: sono i luoghi di Villa Ancilotto, di Casa Boschieri, della antica Hosteria alla Crosetta, della filanda e oggi del Museo Civico di storia naturale.

 

 

VIA ERIZZO

Allaccia i due centri di Montebelluna e Valdobbiadene passando per il centro del capoluogo. I lavori interessanti il tronco del nostro Comune ebbero luogo nel 1817 e artefice dell'intera opera fu il patrizio veneziano Erizzo che passò alla storia quale munifico benefattore di questi paesi.

Per prima cosa andiamo a vedere Casa Boschieri. Lasciamo via Erizzo e andiamo a destra su via Brentellona per 300 metri e quindi a sinistra in via Ancilotto e avanti per altri 300 metri. Sulla nostra destra ecco Casa Boschieri.

CASA BOSCHIERI (1700)

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VILLA SANDI MARCATO E L'HOSTERIA ALLA CROSETTA

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Inizialmente di proprietà della famiglia Sandi, è uno dei luoghi più suggestivi di Crocetta del Montello. Il corpo centrale della Villa, esistente nel 1687, era l’”Hosteria della Crosetta", un albergo che offriva ristoro e ospitalità ai viaggiatori; il nome "Crosetta", dalla zona lungo il canale fino quasi al Ponte Sant’Anna, era dovuto ad una croce, la Croce di Balestrieri, posta al centro dell’incrocio di tre strade, all’angolo di Villa Ancilotto. In seguito la famiglia Marcato (poi Ancilotto) vi pose la propria residenza e costruì la filanda (1870 circa), prima attività industriale di Crocetta. Attualmente è sede di attività culturali del Comune (Biblioteca comunale, Museo civico, Scuola di musica ed altro).

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Al centro del crocevia vi era un ponte in legno, costruito per attraversare il "ramon" del canale Brentella. Nel 1687 il nobile Sandi faceva stendere a mano una mappa dei suoi possedimenti, all'interno dei quali ricadeva anche L'Hosteria della Crosetta, al tempo locanda dove i viandanti potevano pernottare e fermarsi per rifocillarsi.

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Nel 1817 l'Hosteria veniva acquistata da Giovanni Marcato, il quale ben presto diventava uno dei più ricchi possidenti della zona. Accanto alla locanda, adiacente al luogo di posteggio per le carrozze, nel 1866 egli fece costruire la filanda Marcato, la quale era divenuta punto fondamentale per il rifornimento di bachi da seta. Inizialmente la locanda manteneva il suo ruolo, ospitando inoltre la residenza della famiglia Marcato, che nel 1888 risultava una dei maggiori contribuenti per l'imposta fondiaria nel Comune di Cornuda, di cui allora l'edificio faceva parte. Ben presto, con il matrimonio tra la nipote di Giovanni Marcato e Riccardo Ancilotto, il quale entrò a far parte dell'azienda, la locanda fu chiusa e la struttura divenne la dimora familiare. La filanda veniva gestita con grande abilità, tanto che all'alba del primo conflitto mondiale ospitava trecento filandesse, che divenivano duecento in seguito alla guerra. La produzione è continuata per altri decenni, finché la Filanda Marcato Ancilotto chiudeva i suoi battenti nel 1961. Nel 1965 il Comune di Crocetta del Montello acquistava i beni del complesso di Villa Ancilotto. Oggi la filanda ospita la scuola primaria e secondaria di primo grado, mentre la vecchia residenza della famiglia ospita al piano terra la biblioteca comunale, al secondo il Museo Civico "la Terra e l'Uomo" e al piano nobile troviamo dal 9 ottobre al 2021 al 9 gennaio 2022 il secondo appuntamento con "La Rivoluzione silenziosa dell'Arte in Veneto".

Testo a cura di: Vania De Paoli - outdoor and culture

LA FILANDA ANCILOTTO MARCATO E VILLA ANCILOTTO

Villa Ancilotto e la filanda che oggi ospitano rispettivamente il museo di storia naturale, le scuole medie e la biblioteca di Crocetta del Montello furono inizialmente legate alla famiglia Marcato. Nel 1817 infatti da Godego giunse a Nogarè (Crocetta non era ancora comune) Giovanni Marcato il quale divenne ben presto uno dei più ricchi possidenti del paese con l’acquisto di terreni e immobili fra cui l’Hosteria della Crosetta (che sorgeva proprio dove oggi c’è villa Ancilotto)

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Nel 1870 accanto ad essa fu costruita la filanda Marcato, la quale fu fin dall’inizio un punto nevralgico per il rifornimento dei bachi da seta. Con lo sviluppo della filanda l’Hosteria perse la caratteristica di albergo e nei suoi locali fu dapprima ricavata una casa per il direttore della filanda, poi residenza estiva dei Marcato e infine residenza fissa. Tra i due figli di Giovanni Marcato, GiovanBattista e Antonio (Marcantonio), fu il primogenito, conosciuto con il nome di Giobatta ad ereditare dal padre l’abilità imprenditoriale, fu infatti grazie al suo aiuto che Antonini aprì nel 1883 il famoso Canapificio Veneto Antonini & Ceresa. Dall’unione di Giobatta Marcato con Antonia Pizzolotto nacque Giovanna Marcato, chiamata Annina che, divenuta adulta sposò Riccardo Ancilotto. Riccardo Ancilotto apparteneva ad una nobile famiglia di filandieri provenienti da Santa Lucia di Piave e abitanti in Borgo Cavour a Treviso. Due nobili famiglie con alle spalle una generazionale esperienza nel campo della seta si unirono cambiando così il nome della filanda Marcato in filanda Marcato – Ancilotto. Riccardo Ancilotto fu un personaggio dalla forte personalità, nei primi anni del Novecento il primo segretario di Crocetta Elvidio Castellato scriveva:

“completano le opere industriali di questo comune l’importante filanda Marcato e i magazzini annessi con trecento filandesse senza contare le grandi innovazioni che gli Ancilotto Marcato apportano alle case coloniche dell’agricoltura. In provincia non vi sono case coloniche migliori di quelle fatte costruire qui e altrove dal signor Riccardo Ancilotto: i lavori che egli ordina nei campi sono improntati a perfetta modernità agricola”.

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La filanda Marcato Ancilotto prima del conflitto mondiale del 1915-18 ospitava 300 filandesse. Le vicende belliche ridurranno a 200 le operaie, un numero comunque consistente. Nel Gazzettino del 19 dicembre 1928 si legge:

“la antica filanda Marcato una fra le prime sorte nella provincia per merito del compianto cav. Gio. Batta Marcato industriale di attività instancabile e di benemerenze veramente esemplari, risorge ad oggi ad onorare la memoria del fondatore, (…) La Filanda che oggi inizia la sua opera, rinnovata con modernità di sistemi tecnici e sanitari, giunge quest’anno particolarmente utile al bisogno della popolazione perché oltre duecento operaie trovano nel lavoro quel guadagno che la siccità e la grandine hanno tolto dal prodotto dei campi”.

(la vecchia filanda come si presenta oggi)

Dal matrimonio tra Riccardo Ancilotto e Annina Marcato nacquero tre figli: conte Agostino Ancilotto morto in guerra e i conti Giovanni e Carlo Alberto Ancilotto.
Fu il conte Alberto Ancilotto a prendersi cura della filanda, che superando la crisi della seconda guerra mondiale continuò la sua produzione fino al 1961, anno in cui chiuse i battenti. Concludendo la storia della filanda e della villa, nel 1965 il Comune di Crocetta del Montello acquistò dal conte Alberto Ancilotto una vasta area, divenuta nel 1970 il Peep di Crocetta del Montello, con piazza Giovan Battista Marcato. Nel 1972, dopo la morte di Alberto, anche la villa Ancilotto, con l'annessa filanda, fu acquistata dal Comune e dopo ristrutturazione, la filanda ospita, a partire dal 1974, la scuola media e nella villa ha sede il Museo di storia naturale LA TERRA E L'UOMO con la Biblioteca comunale.

a cura di Anna Osellame

 

IL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE

Fu fondato nel 1970 ed è stato arricchito dalla collezione G. Ligabue, dalla collezione A. Krüll e dalla collezione L. Pasqualetto. Il percorso espositivo segue il filo evolutivo della vita sulla terra, approfondendo tre aspetti principali.
La prima parte percorre le tappe salienti dall’evoluzione della vita, dai primi organismi fino alla comparsa dei mammiferi; in questa sezione, tra i reperti di maggiore importanza, è possibile vedere due uova di Sauropode scoperte nel deserto dei Gobi da G. Ligabue e F. Taquet. La seconda parte è dedicata all’evoluzione dell’uomo e ai grandi mammiferi dell’ultima glaciazione portati alla luce nell’area veneta; in questa sezione è esposto parte dello scheletro di un Mammuth primigenius, rivenuto presso la cava Codello, a Vidor. L’ultima parte vuole approfondire la storia dell’uomo attraverso le sue scoperte: l’industria litica, la ceramica, la metallurgia ed infine la scrittura; in questa sezione è adibito uno spazio per la scheggiatura della selce seguendo le tecniche preistoriche.
Per le scuole sono stati allestiti vari laboratori didattici che permettono agli studenti di avvicinarsi allo studio della preistoria in modo semplice e divertente.

(tutto il materiale è tratto dal sito del Comune di Crocetta del Montello)

Usciamo ora dal complesso. Teniamo la destra e procediamo su via Erizzo per 200 metri circa: sulla nostra sinistra il complesso di Villa Sandi Sernagiotto Cassis.

VILLA SANDI, SERNAGIOTTO, CASSIS (1622)

La nobile famiglia dei Sandi, di origine feltrina, arrivò in frazione Nogarè all’inizio del 1600 e già nel 1622 qui fece costruire la Villa che divenne la sua residenza. Possedeva nelle vicinanze l’”Hostaria della Crosetta" ed un mulino. La Villa fu abitata all’inizio del 1800 dalla famiglia Sernagiotto di Casavecchia e dal 1913 dai marchesi Cassis. La villa divenne all'inizio della Prima Guerra Mondiale sede del commando militare italiano. È in quegli anni che vennero scavati, partendo proprio dalla villa, una rete di cunicoli. Secondo alcune fonti dovevano servire come deposito armi, secondo altri avevano lo scopo di far arrivare soldati ed osservatori fino alla sponda destra del Piave. II ruolo della villa e delle gallerie divenne ancor più importante dopa la ritirata di Caporetto; facile immaginare ii loro contributo all'esercito durante la Battaglia del Solstizio e di quella di Vittorio Veneto nel 1918. Durante la Secondo Guerra Mondiale la villa fu, suo malgrado, ancora parte attiva nel conflitto, prima come rifugio del Collegio Vescovile di Treviso e poi come deposito e officina dell'esercito tedesco. Ora è sede dell'omonima Azienda vitivinicola di proprietà della famiglia Moretti Polegato.

La struttura

Si tratta di un edificio di scuola palladiana, attribuibile (ma la cosa è controversa) forse al Pagnossin. La facciata principale presenta un pronao con timpano sostenuto da quattro colonne. Il primo piano è sopraelevato e vi si accede per una rampa lastricata: antistante alla villa un viale fiancheggiato da statue del Marinali. Tre statue dello stesso scultore ornano il timpano dominato da Giove con fulmini in mano. Sul frontone ecco lo stemma gentilizio della famiglia Cassis. Due motivi decorativi si alzano dalla cornice dentellata del tetto, sulle due ali. Nel muro di cinta ci sono delle belle grate in ferro battuto. Al di sotto della villa, si estendono secolari e suggestive cantine sotterranee, ambiente ideale per la maturazione e l’invecchiamento dei vini.  Qui infatti vengono poste ad affinare le bottiglie dello spumante Metodo Classico Opere Trevigiane, mentre le due barricaie ospitano le botti per la maturazione delle grandi riserve. La villa e le cantine sono aperte al pubblico per visite guidate gratuite. Sede di acquartieramenti militari sia nella prima che nella seconda guerra mondiale, il complesso subì il degrado e l’abbandono sino alla fine degli anni settanta, quando venne svolto un importante intervento di totale recupero che porta la villa all’aspetto attuale.

Il complesso si sviluppa quindi con un giardino, un parco, due barchesse, una scuderia ed una chiesetta.

La chiesetta

In essa da menzionare due pregevoli statue dei Santi Vittore e Corona cui la chiesa è dedicata.

Andiamo avanti circa 600 metri e quindi andiamo a destra. Siamo ora in via del Cristo.

VIA DEL CRISTO

Via del Cristo è una delle strade più antiche del paese attraversante la bella campagna ancor oggi ben curata in agricoltura.

Circa 1,1 km più avanti sulla nostra destra ecco il Capitello del Cristo Re.

CAPITEL DEL CRISTO

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La forte fede cattolica di queste popolazioni viene tramandata da numerosi segni esteriori. Uno di questi è il capitello «del Cristo» che a Nogarè è degnamente conservato nella via omonima. Poiché l'agricoltura è sempre stata per questi abitanti la maggior fonte di vita e affinché il lavoro dei campi venisse protetto dalle intemperie, venne costruito un capitello devozionale intitolato al Cristo. Fino a qualche tempo fa, in occasione delle annuali rogazioni primaverili che la chiesa faceva processionalmente nelle campagne per implorare su di esse la benedizione divina, il «capitello del Cristo» era punto di sosta per speciali preghiere e per lasciare sul posto il segno del passaggio con una piccola croce modellata con un ramoscello di vimini. In tale occasione, per ringraziare la chiesa del privilegio della particolare benedizione, le famiglie della borgata mettevano su di un piatto, posto sopra una sedia, un certo numero di uova fresche coperte da un candido lino che venivano ritirare dai serventi della chiesa.

Teniamo ora la sinistra su Via Brentellona. Sulla nostra destra le acque del Brentella di Caerano, una delle diramazioni della Brentella di Pederobba.

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Procediamo per 500 metri e quindi a destra su via Armando Diaz. Andiamo a nord per 1,4 km. Ora a destra: circa 200 metri più avanti siamo in Piazza IV Novembre e quindi al centro di Nogarè.

NOGARE’ (146 s.l.m.)

Nogarè occupa la parte sud-occidentale del Comune di Crocetta.

L’etimologia del suo nome non è del tutto attestata anche se le ipotesi più accreditate lo fanno derivare dal termine “nogare o noghere”, cioè piante di noce. È certo che nel passato l’albero e la coltivazione della noce erano molto diffusi, anzi ne era decisamente la coltivazione dominante, in particolare nel luogo dove ora sorge la chiesa e si estende la piazza del paese.

Nogarè ha origini antiche e lo comprovano alcuni ruderi rinvenuti molti anni fa, quali fondamenta di edifici, avanzi di strade, resti di urne cinerarie, anfore, monete e medaglie romane, tali da far pensare all'esistenza di un insediamento agricolo.

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Notizie certe su Nogarè non ne abbiamo almeno fino all’anno mille dopo Cristo circa. Si presuppone però che in epoca romana Nogarè fosse una stazione militare romana in quanto posizionata vicino a importanti vie di comunicazione quali via Claudia Augusta Altinate e la via Antighe (ancora oggi presente).

La leggenda afferma che nel 1174 si fermò in paese un convoglio che trasportava verso Feltre i corpi dei martiri San Vittore e Corona. Dell’epoca medievale è una delle poche cose che si sanno.

Molto più dettagliate le notizie che ci vengono per gli anni immediatamente successivi. Il XII secolo in particolare è un periodo di grandi sofferenze per la popolazione del paese in quanto, per la sua posizione, soggetta a continue scorribande di soldati appartenenti ai signori del castello di Montebelluna e di quello di Cornuda. All’inizio del secolo in particolare, i Da Romano riuscirono a prevalere nei confronti del Vescovo di Treviso e misero sotto la loro giurisdizione anche Nogarè. Questa situazione non durò molto in quanto ai Da Romano si susseguirono poi i Carraresi, signori di Padova. Segue poi nel 1233 l’incursione dei soldati di Tiso da Camposampiero e delle loro razzie. Nogarè fu feudo del Vescovo di Treviso e nel 1339 passò sotto la Repubblica Veneta.

 

Il 1320 è un anno importante per Nogarè: Serravalle Da Camino ordinò a tutti i “merighi” (una sorta di sindaci dell’epoca) dell’area compresa tra Cornuda e Trevignano di prestare le loro opere per l’escavazione di un canale atto a far convogliare ad uso irriguo e non solo, le acque dalle colline di Cornuda sino al castello di Trevignano. Questo canale che passava anche per Nogarè fu una risorsa molto importante ed anticipò in qualche maniera la costruzione circa 200 anni dopo del grande canale della Brentella di Pederobba.

Il 1330 è l’anno in cui con ogni probabilità fu costituita la prima parrocchia di Nogarè. Alcune fonti parlano di una riedificazione della chiesa nel 1344 probabilmente a seguito della distruzione del primo nucleo a seguito di un terremoto. Sono gli anni in cui Nogarè conta circa 240 abitanti!

Il periodo della dominazione veneziana, portò anche qui un lungo periodo di pace interrotto clamorosamente però nel 1509 dopo la costituzione della Lega di Cambrai. Nogarè fu soggetta al passaggio delle truppe tedesche e francesi.

Tra le curiosità a metà cinquecento le notizie scandalose attorno al parroco di allora Giulio Roberti che, dopo aver preso i voti decise di accompagnarsi con una signora di 35 anni e con costei fece poi famiglia.

Tra la fine del cinquecento e l’inizio del seicento si insediarono in Nogarè due famiglie che segneranno la storia di questa comunità: i Castagna e i Sandi.

I Castagna, ebbero importanti incarichi di natura amministrativa durante la dominazione veneziana e annoverano tra di loro anche un papa: Urbano VII. Papa che fu tale solo per una decina di giorni nel 1590. Il pontificato più breve della storia della Chiesa cattolica.

 

I Sandi, nobile famiglia veneziana, acquistò molte terre da queste parti al fine di farne, attraverso la vila, la classica dimora estiva.

Il seicento è per molti aspetti l’anno delle avversità climatiche: si susseguirono ripetuti episodi di siccità, terremoti e malattie. Si pensi al 1695 e al grande terremoto che causò molti danni alle abitazioni anche se non causò per fortuna morti. E poi ecco la fine un secolo dopo del dominio veneziano e l’arrivo di Napoleone. Nogarè da queste vicende per la verità venne toccata solo marginalmente, anche se la popolazione nogarese dovette subire il passaggio degli eserciti prima francesi, quindi austriaci.

Il 20 aprile del 1816 è un giorno importante per la comunità: di là transita l’imperatore d’Austria, Francesco I D’Asburgo. L’imperatore era diretto a Feltre. Grandi furono i preparativi in vista di questo evento storico, ma la delusione fu anche maggiore in quanto l’imperatore passò talmente veloce che il popolo non vide assolutamente nulla e manco il prete ebbe il tempo di poter benedire il corteo.

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Via Erizzo ed il Ponte dei Romani

Il 1817 è l’anno della costruzione di via Erizzo, la via principale di Crocetta del Montello e di lì a pochi anni venne costruito il ponte di pietra detto “Ponte dei Romani”.

Siamo ormai giunti nel 1848, anno dei moti rivoluzionari che coinvolsero anche parte della popolazione di Nogarè. Alcuni di volontari si arruolarono al soldo delle truppe austriache. Di lì a poco si sarebbe combattuta anche la battaglia di Cornuda che coinvolse anche la popolazione di Nogarè… (per i fatti successivi facciamo qui rinvio alle vicende di Crocetta già narrate in precedenza). Per la prima volta, nel 1884, transitò per Nogarè il treno.

 

 

PARROCCHIALE DI NOGARE’

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È la chiesa intitolata a Sant’Andrea Apostolo. Le prime notizie che riguardano Nogarè dal punto di vista religioso sono del 1330, anno in cui la parrocchia dovrebbe essere stata stabilita. Con ogni probabilità in quell’anno al paese viene assegnato anche un rettore parrocchiale. Nel 1344 pare che la chiesa venga ricostruita a seguito di un suo grave danneggiamento per un terremoto. Nel 1390 si sa con certezza che viene costruito il suo campanile. Si trova però datato 1429 il primo documento certo riguardo la Chiesa di Nogarè, con un elenco di beni stabili. Nel 18°secolo viene ampliato il corpo centrale con le due cappelle laterali, quella della Madonna del Rosario e di San Giuseppe; viene riconsacrata da S. Ecc. Paolo Francesco Giustiniani il 22 settembre 1776. L’edificio attuale però ha origine seicentesca. La Chiesa viene nuovamente ampliata a partire dal 1844 perché “insufficiente ad accogliere la popolazione”: viene allungata di 8 metri, vengono rifatte le due cappelle esistenti ed aggiunte due di nuove (quella della Madonna della Salute e di S. Filomena), viene rinnovato l’interno della Chiesa in stile ionico, infine vengono rinnovate le finestre e innalzato il coro. Il progetto viene affidato all’ing. Luigi Monterumici di Treviso. La chiesa viene nuovamente consacrata nel 1853 da S. Ecc. Mons. Farina, Vescovo di Treviso.

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Il campanile

Il campanile era in origine una torre feudale. La cuspide invece, ancor oggi esistente, fu costruita tra il 1740 e il 1760. Si trova addossato sul lato destro della chiesa tra una delle cappelle e la sacrestia. A base quadrata, presenta un basamento interamente rivestito in pietra. Ciascun lato di esso presenta tre lesene di ordine dorico che sorreggono la seconda cornice. La cella campanaria è aperta da quattro bifore balaustrate a tutto sesto. Sulla cornice superiore è posto un tamburo ottagonale dal quale parte l’elemento cuspidato, sulla cui sommità è posta la croce.

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Struttura ed interni

La chiesa ha un'unica aula a pianta rettangolare, coperta da una volta a botte con vele, lungo il perimetro, e al centro il soffitto piatto con una decorazione in gesso. Le pareti perimetrali interne, sono scandite da lesene con ordine ionico, che sorreggono una trabeazione. Dall'ingresso si accede all'aula, passando sotto la zona del coro, sorretta da due colonne circolari, di ordine corinzio, a sinistra vi è un piccolo battistero. Ai lati dell'aula si presentano coppie di cappelle laterali, alle quali si accede attraverso un arco a tutto sesto. Tra le due cappelle del lato destro, vi è un ingresso secondario della chiesa. La zona del presbiterio, rialzata di tre gradini rispetto all'aula, è a pianta quadrata coperta da una volta a crociera, mentre la zona absidale è coperta da una volta cassettonata a stucco bianco e rosa. Esternamente la chiesa ha una facciata neoclassica, scandita da quattro lesene di ordine ionico, che sorreggono la trabeazione e il timpano. Sul fronte destro, vi è l'ingresso secondario incuneato tra le due cappelle e sottolineato da un frontone timpanato sorretto da quattro colonne circolari di ordine ionico.

 

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La pavimentazione dell’aula è di tipo a terrazzo, costituita da rombi bianchi e rossi nell’aula, mentre nella zona del presbiterio è in marmette rosse, blu e bianche.

Le cappelle

La Chiesa ha quattro cappelle, due per lato: a destra, in direzione dell’Altare Maggiore, si trova la Cappella dell’immacolata e poi quella dedicata a San Giuseppe. Sul lato opposto, la Cappella dedicata a San Giuseppe e poi della Madonna del Rosario.

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Torniamo sulla strada e andiamo in direzione est sempre su via Sant’Andrea: pochi metri oltre sulla sinistra un cippo.

CIPPO A SEBASTIANO SERNAGIOTTO

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Passiamo ora oltre il passaggio a livello (linea Padova Calalzo); 100 metri avanti e appena superata una netta curva a destra, ecco sulla nostra destra, annunciata dall’oratorio con apertura sulla strada, Villa Castagna.

VILLA CASTAGNA (1700)

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Era l'abitazione della nobile famiglia veneziana, i Castagna, che vi ha dimorato fino al 1970. Proveniente da Venezia, la famiglia Castagna si insediò a Nogarè nel 1600 e svolse un ruolo importante nella vita della frazione e del Comune di Crocetta.

ORATORIO DI VILLA CASTAGNA

Verso il 1630 fu costruito l'oratorio attiguo al palazzo ex Castagna e dedicato alla Purità di Maria e a S. Antonio da Padova.

 

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Riprendiamo la bici e continuiamo in direzione est su Via Sant’Andrea. Fatti altri 400 metri sulla nostra sinistra ecco il Capitello di Sant’Andrea

CAPITELLO DI VIA SANT’ANDREA

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La statua è stata realizzata tra il 1650 ed il 1699.

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LOCALITA’ LE MURE

Nei pressi dell'attuale cimitero c'è la località chiamata «Le Mure» ai più oggi sconosciuta. La tradizione vuole che ci fosse qui un lungo e alto muro eretto in occasione di qualche battaglia per fronteggiare il nemico e siano qui avvenuti, come dice Mons. Rostirolla nella sua Cronaca della parrocchia di Nogaré, gravi fatti di sangue.

Riprendiamo il nostro viaggio e andiamo avanti per 400 metri. Ora a sinistra per 500 metri. Siamo in via Antighe.

VIA ANTIGHE

L'Olivieri (Toponomastica veneta, 1961, pag. 76) fa derivare il nome Antighe da un aggettivo latino «Anticu» che ne indica la qualità del luogo e del suolo. Memorie più copiose furono rinvenute in un podere di proprietà dei signori’ Castagna. Dissodando un prato si trovò un pozzo con gran quantità d'ossa umane e monete della repubblica e dell'impero. Che cosa vi fu: una villa romana? una stazione per il passaggio dei soldati? E possibile quindi che il nome della località trovi origine da queste antichità, mentre «Antighe», rappresenterebbe il ricordo di un antico tracciato stradale romano o medioevale.

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Andiamo ora a destra per 200 metri e quindi ancora a destra. Fatti 500 metri attraversiamo il ponte sul torrente Nasson (il torrente, quello che scende da Cornuda).

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Ora avanti ancora 30 metri e ora, curviamo a sinistra e avanti per 500 metri. Siamo nei pressi dell’area dominata dalla Tipoteca, e quindi dall’ex canapificio Veneto.

CANAPIFICIO VENETO

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Primo del suo genere in Italia, l'opificio assurse ben presto a grande importanza raggiungendo, nel 1914, i 5000 fusi, i 1500 operai e 300.000 chilogrammi mensili di prodotto finito. Ecco le notizie assunte da Vania De Paoli:

 

“La storia che vi racconto oggi è legata all'acqua e ha inizio a Venezia, con la famiglia Antonini, vecchia famiglia della borghesia, ricchi possidenti e commercianti. Andrea senior sposa Antonia Missevich e dal loro matrimonio, nel 1825, nasce Antonio junior, uno dei protagonisti del nostro racconto. Con la caduta di Venezia, la famiglia Antonini capisce che le mire commerciali hanno bisogno di essere virate verso nuovi orizzonti: l'industria sarebbe stato il nuovo approdo degli affari. Gli Antonini non sono gli unici veneziani ad avere questa intuizione, con loro anche la famiglia Ceresa, in particolare i due fratelli Giacomo e Pacifico, amici di lunga data di Antonio, tanto che suo figlio, Andrea junior Antonini, sposa Teresa, prima figlia di Pacifico. Con questo nuovo progetto in mente, si va ora alla ricerca del luogo ideale dove piantare le radici di questa nuova attività, che ha bisogno di acqua per il funzionamento delle macchine. Come prima possibilità si vaglia Venezia, ma nulla fu concluso; si passa quindi a Treviso, nuovamente senza risultati. 

Infine, Andrea junior Antonini viene a sapere dell'esistenza di un canale: il Brentella, canale che scorre a Crocetta Trevigiana e già alimenta la filanda Marcato: quella era l'acqua adatta alla nascita del Canapificio Veneto.  Il Canale Brentella si presenta come il luogo perfetto dove dare vita al progetto del Canapificio Veneto; la manodopera è facilmente reperibile, i terreni da acquistare sono molti e entro breve sarebbe arrivata la linea ferroviaria Treviso - Calalzo, collegamento indispensabile. Il Consorzio Brentella, però, non concede più autorizzazioni per lo sfruttamento dell'acqua, perciò Andrea Antonini rileva un mulino con sega, appartenente al Conte Guillon Mangilli, situato all'imbocco della strada "delle furlane". Trovato un accordo con il Consorzio per i lavori di allargamento del canale, si procede e nel Maggio del 1884 avviene la cerimonia di inaugurazione; sui giornali si legge del Canapificio Veneto, di questa nuova industria sorta "a 1200 metri da Cornuda". Si racconta delle prime difficoltà nel trovare la forza d'acqua necessaria per l'attuazione di un simile progetto, del luogo dove sorge e ovviamente si parla della lavorazione. La canapa: la migliore arriva dalle valli di Ferrara. Viene strappata e in seguito le fibre vengono pettinate, fino ad arrivare alle corderie, dove vengono create corde più o meno spesse. Si parla degli ottomila fusi che occupano una stanza lunga ottanta metri e larga venti. Nel 1908 il Canapificio Veneto compie i suoi venticinque anni ed è un anno doppiamente speciale, poiché Andrea Antonini viene nominato Cavaliere del Lavoro. I festeggiamenti avvengono in grande. Sul campo dove oggi sorge il campo da calcio, viene allestito un pranzo per tremila persone, vi partecipano quasi tutti gli operai e impiegati del canapificio. La festa è spettacolare e l'ammirazione verso Antonini è molta. Gli anni successivi, invece, si dimostrano un po' più impegnativi, a partire dallo sciopero del 1913.

Gli operai, sfiniti da orari di lavoro fino alle dodici ore consecutive, da bassi salari, stanchi delle scarse condizioni igieniche di lavoro, scendono in piazza a protestare. L'eco di questo sciopero riecheggia in tutto il Veneto e il Nord Italia. Le manifestazioni dureranno oltre quindici giorni e finiranno con la vittoria della classe operaia, nonostante i momenti successivi non saranno rosei. L'arrivo della Grande Guerra manda nuovamente in crisi la situazione lavorativa, Antonini fa subito riparare la struttura alla fine delle azioni belliche. Ciononostante, negli anni '20 il Canapificio Veneto viene venduto ad "una cifra quasi da saldo".
Infine, l'arrivo di una nuova guerra e specialmente l'arrivo delle fibre sintetiche, molto più economiche di quelle vegetali, sanciscono nel 1967 la chiusura definitiva del Canapificio Veneto, dopo più di ottant'anni di attività.” Vania De Paoli - Outdoor and Culture 

Portando le nostre pedalate in direzione nord; stiamo per andare a visitare un altro luogo interessante di Crocetta del Montello: la tipoteca italiana.

MUSEO TIPOTECA ITALIANA

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Il più importante polo museale italiano sull’arte della stampa e della tipografia. I materiali in esposizione raccontano la nascita e l’evoluzione di un mestiere d’arte – la stampa a caratteri mobili – che per 500 anni ha “rivoluzionato” la comunicazione e la cultura dell’uomo. Il percorso di visita si snoda nei due edifici principali, la chiesa e la foresteria dell’ex Canapificio, in una sequenza di postazioni che raccontano le fasi di produzione di uno stampato attraverso gli strumenti utilizzati nei cinque secoli di storia della stampa a caratteri mobili, da Gutenberg fino agli anni ’70 del Novecento. La visita inizia dalla prima sala, la Fabbrica del carattere, per passare poi alla sala al primo piano dedicato al Progetto del carattere e agli Alfabeti di legno. Una passerella collega i due edifici e accompagna il pubblico nell’Archivio caratteri e macchine da stampa, il salone più rappresentativo che custodisce il nucleo più importante delle collezioni: le pareti-archivio con i caratteri di piombo e di legno. Infine, si raggiunge al secondo piano del salone la Galleria delle arti.

Andiamo ora a destra in via Sant’Anna. Superiamo il ponte sulla Brentella. Al semaforo giriamo a sinistra in via Guglielmo Marconi. A nord ora per altri 600 metri: sulla nostra destra le grandi torri della ex Fornace di Crocetta del Montello.

EX FORNACE DI CROCETTA DEL MONTELLO

Stiamo parlando dell’ex fornace “Tre Camini”. Si trattava di una fornace di calce (le calchere) edificata nel 1910 da Antonini.

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Poco oltre la ex fornace, sulla nostra sinistra l’ingresso in via Croce del Gallo

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Ora ancora a destra e ci ritroviamo a pedalare sul bordo sinistro del canale Brentella, qui davvero imponente, per circa 500 metri.
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Ecco una piccola centrale e anche il luogo da dove sulla nostra destra si diparte il canale che assume il nome di Castelviero.

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Procediamo ancora per altri 300 metri ed eccoci a uscire a destra in via Guizzona.

 

Facciamo altri 600 metri circa e quindi a sinistra e quindi a nord in via Guizza. Ancora 500 metri e quindi a destra su via Dartora. Andiamo avanti per 800 metri. Abbiamo sconfinato nel vicino comune di Cornuda e saremo presto in località Barche. Ci arriveremo dopo 250 metri. Andiamo oltre e seguiamo la discesa che ci porterà dopo 200 metri nell’area attrezzata a ridosso del fiume Piave. Procediamo sulla principale tenendo la destra per 100 metri e ci addentriamo ora nel bosco. Appena usciti ci troveremo di fronte ad un vigneto attraversato da una stradina sterrata.

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Andiamo ora avanti per 50 metri e nei pressi dell’incrocio di stradine teniamo la sinistra.
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Avanti 50 metri e quindi svoltiamo a destra. Fatti altri 50 metri, attenzione: si entra nel bosco da un passaggio molto stretto e ricco di vegetazione. Il punto è quello che segue in immagine.
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Circa 50 metri più avanti il sentiero si apre un po’ e noi teniamo la destra.
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Seguiamo ora la principale interrotta qua e là da qualche tronco ( facciamo attenzione!)

 

Circa 300 metri più avanti usciamo dal bosco e ci troviamo a ridosso del Piave.

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Procediamo per 500 metri fino ad uscire sulla principale tenendo la destra. Ora la strada diventa ampia anche se non facile per la presenza di ciottoli e sassi.
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Andiamo avanti per 500 metri e quindi svoltiamo decisamente a sinistra.
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Procediamo così per 1,4 km e quindi svoltiamo a sinistra verso il greto del Piave. Poco oltre a destra e avanti ancora per 600 metri. Siamo nell’area del Pindol o monumento al fante. Ci si arriva entrando nel prato che troviamo sulla nostra destra.
 

MONUMENTO – PINDOL

Il monumento al Fante si colloca sulla sponda del fiume Piave a circa 2 km dall’abitato di Ciano del Montello. Fu posizionato in questo luogo sia per ricordare il valore dei Fanti della 27^ Compagnia della Brigata Cuneo che nel 1918 ricacciò le truppe austro-ungariche che stavano per dilagare nella Pianura, sia in memoria delle numerose persone defunte per attività̀ conseguenti alla guerra.

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LE GRAVE DI CIANO DEL MONTELLO

Quando le acque del fiume Piave incontrano la pianura, subito dopo il ponte di Vidor, l’alveo si apre nell’ampio spazio delle Grave di Ciano, circa 940 ettari di ecosistemi fluviali, oasi ancora intatta di biodiversità e bellezza. Grazie alla presenza di specie e habitat rari, il sito fa parte di rete Natura 2000 come Zona di Protezione Speciale ai sensi della direttiva “Uccelli” e Zona Speciale di Conservazione ai sensi della direttiva “Habitat”, mentre nel 2018, grazie all’evidente carattere selvaggio dell’area, è stato riconosciuto come area Wilderness dall’Associazione Italiana per la Wilderness. Tra le ghiaie del greto nidifica l'occhione ed è stata avvistata l'aquila reale; tra gli habitat, oltre a boschi umidi a salice bianco e mesofili a olmo minore, dominano formazioni prative di grandissimo interesse conservazionistico. Le Grave di Ciano ospitano 194.3 ha di prati magri steppici, habitat di interesse comunitario e prioritari per la stupenda fioritura di orchidee, specie di Lista rossa. La dominanza di spazi aperti ricchi di biodiversità non rappresenta solo un motivo di tutela, ma rappresenta soprattutto un sistema ambientale che sostiene servizi ecosistemici diventati essenziali, quali la naturale regimazione delle acque, la ricarica delle falde e l’impollinazione, quest’ultima data dall’abbondanza di specie mellifere dei prati aridi e dei mantelli.

L’antica storia del luogo, caratterizzata dall’intenso legame col fiume, è profondamente innervata nei borghi di Rivasecca, Belvedere, Botteselle, Gildi, S. Urbano, Santa Margherita e Santa Mama, che si susseguono sulla riva destra lungo l’argine del Piave. Primi siti abitativi apparsi nel territorio di quello che oggi è il comune di Crocetta del Montello, erano tutti rivolti verso il fiume, via di comunicazione primaria e di vita e ancora oggi sono molteplici le testimonianze di questo storico legame. Indiscusso è anche l’alto valore storico delle Grave di Ciano a livello nazionale ed internazionale.

Quest’area è stata infatti teatro di azioni decisive della Prima Guerra Mondiale. Qui tra Piave e Montello sono state condotte le valorose azioni degli Arditi e si è compiuto il sacrificio di migliaia di giovani vite, ricordato anche dal sacrario eretto sull’Isola Verde, ormai da tutti chiamata Isola dei Morti. Il paesaggio è dominato dai vasti depositi di ghiaie alluvionali, la grave, alternate in qualche caso a depositi sabbiosi, raramente fangosi. Nel suo complesso l’ambiente è modellato soltanto dal regime delle acque e dal ripetersi irregolare - anche a lunghi intervalli - delle grandi piene che sconvolgono e travolgono tutto, per permettere subito dopo un nuovo sviluppo di piante con il processo della successione primaria in un'incessante e continua evoluzione.

 

Torniamo sui nostri passi e all’uscita dal Pindol, teniamo la sinistra: seguiamo la strada per 1,3 km circa e seguiamo la direzione sud.

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Poco oltre attraversiamo il greto del torrente Nasson (attenzione: in stagioni di acque abbondanti l’attraversamento in questo punto non è consigliato, meglio trovare un’altra via. 
 

LA VIA ALTERNATIVA

Nel caso il Nasson non si qui attraversabile per il livello dell’acqua del torrente, si consiglia, per procedere nel nostro viaggio, di tornare sui nostri passi. Prendere la stradina a sinistra e fare circa 500 metri. Andare quindi ancora a sinistra per 300 metri. Superare ora il ponte (qui c’è) un ponte e poco oltre ancora a sinistra sino a giungere dopo circa 400 metri in un piccolo svincolo. Noi teniamo la direzione est sino a giungere dopo 200 metri nei pressi del guado che ora lasceremo sulla nostra sinistra. Riprendiamo il nostro viaggio Passato il torrente Nasson, teniamo la sinistra e andiamo avanti tra la vegetazione.

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 Avanti per 800 metri.
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Arriviamo quindi ad una sbarra che impedisce l’accesso alle auto. Noi ci passiamo passando sulla destra.
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Saliamo per 200 metri circa: il piccolo borgo che vediamo appena passato il ponte sul Castelviero è Santa Mama.

 

SANTA MAMA

La località era chiamata, in antico, anche «dei Ronchi» qui rimasero a lungo i resti (tronchi) di un bosco dissodato. Le prime notizie storiche del luogo risalgono al 1170 quando il conte di Collalto dette in dono S. Mama all’Abate di Nervesa.

Appena saliti in strada noteremo sulla nostra sinistra un sentiero che corre sul lato sinistro del Castelviero. Ci andiamo.

PUNTO DI ACCESSO SENTIERO LOCALITA' SANTA MAMA.jpg
Corriamo ora sul piccolo sentiero delimitato a destra dalla rete di recinzione verso il Castelviero.
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Andiamo avanti per 400 metri sino ad uscire sull’asfalto. Andiamo avanti per circa 500 metri ed ecco in fondo al prato che si apre sulla nostra sinistra, il Capitel dei Lovi

CAPITELLO DEI LOVI

Il Capitel dei Lovi, o Capitello dei lupi costituisce probabilmente la più antica edicola votiva del comune. L’edificio risale al XIV° secolo, e venne eretto in un campo sulle sponde del fiume Piave in segno di devozione da un montelliano scampato miracolosamente all’assalto dei lupi. È stata poi formulata un’altra ipotesi secondo la quale il capitello fosse stato costruito come luogo sacro in cui svolgere riti propiziatori prima di attraversare il fiume, il cui alveo in questo punto è largo circa 500 m. Il Capitel dei Lovi viene nominato anche nel poemetto anonimo “Delle Antiche Rovine di Ciano” con la seguente strofa:

“Antico capitel in Santa Mama, Con due lupi dipinti fabbricato Da chi fu già dai lupi ivi assaltato, perciò dei lupi capitel si chiama”.

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La costruzione di dimensioni ridotte presenta al suo interno scarsi frammenti di affreschi dai quali è possibile scorgere ancora qualche dipinto originale raffigurante le due bestie colpevoli dell’aggressione. Gran parte della struttura dell’opera fu comunque soggetta ad eventi naturali e atti di vandalismo che ne hanno compromesso l’integrità. Da queste leggende è possibile trovare un lato veritiero, ovvero i lupi durante il XIII secolo erano una problematica non da poco, poiché si aggiravano soprattutto tra i boschi del Montello. Per questo motivo Treviso istituì uno statuto speciale nel 1284 nel quale ordinò la costruzione di una trappola per catturare queste bestie selvagge, con una ricompensa tra i 20 e i 5 soldi in base alla grandezza dell’animale. Anche a Ciano sono state documentate queste ricompense nel libro delle spese.  Nell’assemblea dei Trecento (il numero è puramente indicativo) vi erano i rappresentanti dei diversi quartieri, compresi anche quelli del Montello. Nel 1319 questi erano: Giovannino e Michele da Ciano (notai), Bonifacio, figlio di Michele da Ciano, Francesco da Ciano e altri esponenti da Montebelluna e Volpago. Rientrò quindi nelle disposizioni del Podestà di Treviso che nel 1284 obbligava tutti i comuni con più di 15 fuochi a dotarsi di una loviera. La loviera assomigliava alle tagliole utilizzate per catturare roditori e piccoli carnivori che infestavano le campagne. Ovviamente aveva dimensioni maggiori poiché i lupi venivano catturati per la testa, segno che alla base della loviera era posta un’esca in modo che l’animale intrufolando la testa per cibarsene, rimanesse ucciso dalla trappola dentata. Per incentivare la cattura dei lupi il Comune aveva previsto una ricompensa a quanti avessero presentato al Podestà o agli Uffici incaricati una pelle di lupo cui venivano immediatamente recise le orecchie perché non fosse nuovamente presentata all’incasso. Vale la pena di ritornare alla descrizione del capitello, Questo edificio si trovava lungo una delle vie principali della località. Si dice pure che l’area perimetrale fosse zona franca, all’interno della quale anche un bandito godesse di immunità; è evidente l’allusione al salvataggio dai lupi. Quello invece che rimarrà avvolto nel mistero è il cippo (oggi scomparso ma riconducibile ad un miliario di una via di una certa importanza) con le iscrizioni riportate dalle lettere viste più sopra, che l’autore afferma di essere a noi ben intese (note). Dell’antico affresco (inizio XIV secolo) rimane ben poco: le zampe del lupo e le ipotetiche sembianze dell’uomo salvato dall’assalto dei lupi. Nell’Ottocento, quando le fiere erano scomparse a seguito di una spietata caccia, il manufatto fu ridipinto all’interno con l’evangelica figura del buon pastore, salvatore delle pecore e delle anime. Nel corso degli anni il capitello fu comunque soggetto ad eventi naturali e atti di vandalismo che ne hanno compromesso l’integrità. Scampato alle granate del primo conflitto mondiale, la sua manutenzione era affidata alle cure del proprietario del fondo a cui si aggiunse un gruppo di volontari che negli anni ’70 lo hanno salvato dal degrado totale con interventi murari e dotandolo di un’inferriata di chiusura.

Più recentemente (2014) l’Amministrazione comunale, grazie ai fondi di strutture superiori, ha eseguito una manutenzione straordinaria e lo ha reso accessibile al pubblico mediante una stradina in ciottolato che conduce fino all’ingresso.
 

Torniamo sui nostri passi risalendo da dove siamo venuti; teniamo la sinistra e prima di riattraversare il canale teniamo ancora la sinistra rimanendo sul sentiero che corre sul lato sinistro del canale. Andiamo avanti per circa 800 metri: stiamo per affrontare la passerella sospesa sul Piave.

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VEDUTE DALLA PASSERELLA SOSPESA (1).jpg
La passerella non è molto lunga (circa 200 metri) ma, ne val la pena davvero. Qui finisce la passerella. Noi procediamo ancora per 250 metri circa. All’altezza del punto indicato nell’immagine che segue, noi teniamo la sinistra sulla stradina ripida e piena di insidie (meglio andare a piedi qui).
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Andiamo giù per 50 metri e quindi ancora a sinistra abbandonando la principale e prendendo il sentiero indicato nell’immagine che segue
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Circa 200 metri più avanti siamo nei pressi del Buoro di Ciano.
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BUORO DI CIANO

Per chi spesso cammina tra i boschi e i prati del Montello, non sarà inusuale sentire parlare delle grotte e delle aperture nelle formazioni di conglomerato, che caratterizzano questa collina. Molte si trovano ai piedi del colle, rivolte a nord, verso il Piave. Una delle più conosciute è sicuramente il Buoro di Ciano.

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Situato nel territorio di Crocetta del Montello, si tratta di una delle numerose grotte che permettono l'accesso alle viscere di questa collina del Trevigiano. É espressione del fenomeno carsico che caratterizza il Montello, visibile non solo tramite queste formazioni, ma anche tramite le oltre duemila doline che lo ricoprono. La fontana del Buoro non è altro che la via d'uscita dell'acqua che infiltra la superficie del monte sulla sua parte sommitale. Erodendo la roccia di componente maggiormente carbonatica, l'acqua scorre attraverso gallerie, da essa stessa scavate, fino a sfociare alla base del colle. Durante i periodi di secca non vi è fuoriuscita di acqua, che in altri momenti dell'anno è ben visibile.

Una leggenda inoltre avvolge la fonte del Buoro. Siamo in epoca romana e Ciane, ninfa che abitava le grotte del Montello, tentò di impedire il ratto di Proserpina a Plutone, dio degli inferi. Questo infuriatosi, si volle vendicare e la trasformò in fonte, la cui acqua ancora oggi continua incessantemente a sgorgare dalla grotta. Testo a cura di: Vania De Paoli - outdoor and culture

Torniamo sui nostri passi, circa 100 metri e quindi a destra per risalire, attraversare il canale e ancora in salita per 200 metri: sulla nostra destra la chiesetta di Santa Mama.
 

SANTA MAMA E LA SUA CHIESETTA

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L’origine della chiesetta di Santa Mama è incerta. Secondo una leggenda popolare, descritta anche nel poemetto del sec. XVII “Delle Antiche Rovine di Ciano” la chiesa e la località prendono il nome da una santa, figlia di un Mammas, la quale, vissuta integra, fiera e buona, morì lasciando i suoi beni ai poveri e disponendo che fosse eretto un bell'altare in suffragio del genitore e con titolo di Santo Mama. Molto probabilmente la Chiesetta è sorta invece per onorare S. Mamerto, vescovo francese, festeggiato il giorno 11 Maggio in onore del quale ogni anno si facevano le rogazioni contro i lupi che infestavano il luogo. Le prime notizie storiche relative all’esistenza della chiesetta risalgono al 1170 quando il Vescovo di Treviso riceveva in dominio le terre della Pieve di Ciano e il Conte di Collalto, possessore del Montello, dà in dono Santa Mama all'Abate di Nervesa. Le notizie non riportano con precisione dove sorgesse l’antica chiesetta: nel 1591 vicino ad essa è ricordato un traghetto di barche per passare il Piave, nel 1523 un Mulino, nel 1522 si ricorda un bosco intitolato a Santa Mama. Nel 1558 invece l’11 Maggio, festa di S. Mamerto Vescovo, la messa viene celebrata sotto un padiglione, ma della chiesa non vi è notizia.

 

Ma quella che vediamo oggi che storia ha?

Dopo la Prima Guerra Mondiale gli abitanti della frazione di Santa Mama decidono di costruire una chiesa in un luogo che era sempre stato di culto, ma dove non era mai stato costruito nessun edificio sacro. Tra il 1925 ed il 1929 è stata quindi eretta l’attuale chiesa su disegno di Giovanni Dalla Costa.

Struttura

La chiesetta, con ingresso a sud, è un’unica aula composta da una navata rettangolare terminante in un presbiterio a pianta semicircolare. L’intero fabbricato si caratterizza per la semplicità dell’impianto e delle superfici intonacate. La facciata è caratterizzata da quattro lesene interrotte da una cornice marcapiano. Nella parte superiore le due lesene laterali proseguono fino alla cornice, mentre le due centrali culminano in un archetto a tutto sesto.

Diamo le spalle alla chiesetta di Santa Mama e andiamo a sinistra sulla principale per 400 metri. Ora a sinistra e si comincia così la salita in via della Vittoria e cioè la presa XIV.
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SCONFINANDO A VOLPAGO DEL MONTELLO.JPG
Saliamo per quasi 3 km sino ad uscire su via 18 Giugno, la dorsale. Siamo presso Santa Maria delle Vittorie. Ora teniamo la destra e procediamo per 500 metri. Ora ancora a destra per entrare in via Medaglie d’oro.
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Procediamo per 1 km. Giriamo ora a sinistra e andiamo avanti per 150 metri. Siamo arrivati all’Osservatorio del Re.

 

                                OSSERVATORIO DEL RE

Ma cos’è l’osservatorio del Re? A prima vista una semplice casa … ed invece? Ed invece il luogo dal quale, grazie a delle feritoie ricavate nel piano interrato di questa casa, Vittorio Emanuele III scrutava tutta la vallata del Piave in direzione di Vittorio e Veneto e non solo. Un punto di osservazione militare strategico ed importantissimo.

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COLONNA ROMANA

 

Per celebrare la vittoria della prima guerra mondiale, nel 1932 sul prato ad est dell'osservatorio, venne collocata un'antica colonna romana. L'uso di un reperto della Roma imperiale voleva stabilire un legame ideale tra questo luogo e la Roma dei cesari, di cui il fascismo si proclamava erede.

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Ritorniamo sui nostri passi, teniamo la sinistra e fatti 150 metri teniamo la destra. Siamo su via Gen.Vaccari, la presa XVI.  e procediamo per circa 2 km. Entriamo a sinistra su Via Francesco Baracca. Circa 50 metri più avanti teniamo la destra e poco oltre in discesa eccoci nei pressi dell’Oratorio di Santa Margherita. Siamo a Borgo Santa Margherita.

 

BORGO SANTA MARGHERITA

È l’antica Prantighe (prati vecchi), uno dei 5 comunelli (Condugol, Prantighe, Santa Mama, Busco e Rivasecca) ascritti al quartiere Oltre Cagnan del Comune di Treviso e che formavano la Pieve di Ciano. La ricchezza di tali luoghi derivava dalle coltivazioni di cereali e dai numerosi mulini che qui vi erano insediati.

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(Borgo Margherita oggi)

ORATORIO DI SANTA MARGHERITA
 

L'oratorio di Santa Margherita è un edificio di piccole dimensioni, costruito nella seconda metà dell'Ottocento, nello stesso luogo di una chiesa medievale. Il motivo della costruzione della chiesa in questo luogo (una ricostruzione per la precisione), è quello di un ex voto per lo scampato pericolo dall’epidemia di colera. La chiesa che oggi vediamo è però il risultato della sua riedificazione avvenuta nel 1928 a seguito di importanti danneggiamenti da granate nella prima guerra mondiale. La configurazione attuale risale alla ricostruzione successiva ai bombardamenti della Prima Guerra Mondiale. L’oratorio, si ritiene, sia il più antico del comune in quanto sarebbe già citato in un documento del 1281. La chiesa presenta un orientamento est-ovest ed è costituita da un'unica navata a pianta rettangolare, che termina nella zona presbiteriale rivolta ad est, anch'essa a pianta rettangolare. La muratura è in pietra e la copertura presenta una struttura lignea, con un manto in coppi tradizionali in laterizio. La facciata, intonacata e dipinta di ocra e rosa, è tripartita verticalmente mediante quattro lesene con capitelli d’ordine tuscanico, poste su un alto basamento. Un timpano triangolare conclude la facciata in sommità. Sul colmo della copertura si osserva una croce dipinta di colore bianco. Il portale d'ingresso, posto al centro della facciata, è sormontato da un timpano arcuato.

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L’oratorio è dedicato a Santa Margherita di Antiochia.

Secondo una “passio”, redatta in greco da Teotimo (che si dichiara testimone dei fatti), Margherita nacque nel 275 ad Antiochia di Pisidia. Figlia di un sacerdote pagano, dopo la morte della madre fu affidata ad una balia, che praticava clandestinamente il cristianesimo durante la persecuzione di Diocleziano, ed allevò la bambina nella sua religione. Quando venne ripresa in casa dal padre, dichiarò la sua fede e fu da lui cacciata: ritornò quindi dalla balia, che l'adottò e le affidò la cura del suo gregge. Mentre pascolava fu notata dal prefetto Ollario che tentò di sedurla, ma lei, avendo consacrato la sua verginità a Dio, confessò la sua fede e lo respinse: umiliato, il prefetto la denunciò come cristiana. Margherita fu incarcerata e venne visitata in cella dal demonio, che le apparve sotto forma di drago e la inghiottì: ma Margherita, armata della croce, gli squarciò il ventre e uscì vittoriosa. Per questo motivo viene invocata per ottenere un parto facile. 

In un nuovo interrogatorio continuò a dichiararsi cristiana: si ebbe allora una scossa di terremoto, durante la quale una colomba scese dal cielo e le depositò sul capo una corona. Dopo aver resistito miracolosamente a vari tormenti, fu quindi decapitata il 20 luglio del 290 all'età di quindici anni.

Se andiamo avanti 600 metri sulla nostra destra il capitello di Sant’Urbano ci annuncia la borgata S. Urbano.

BORGATA S. URBANO E IL CAPITELLO

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S. Urbano origina il suo nome dal capitello dedicato a Papa Urbano I (222-235 d.C.), protettore delle vigne, capitello distrutto durante la prima guerra mondiale e ricostruito nel 1936. Il Santo fu Papa sotto Alessandro Severo e si venera il 15 maggio di ogni anno. Di. particolare importanza esiste, in borgo S. Urbano, un pilastro del cancello di casa Moretto in cui vi si trova una pietra scolpita raffigurante il leone di San Marco. Nella parete ovest della stessa casa vi è un affresco rappresentante ancora un leone alato con libro aperto tra le zampe (simbolo di Venezia in pace), in atto di difendere un monticello (il Montello). Accostando la presenza di questi due emblemi prettamente veneziani all'esistenza nell'affresco di tre stemmi gentilizi, uno dei quali è della famiglia Dolfin, e tenuto conto della disposizione di ampie stanze intercomunicanti del pianterreno e del lungo corridoio del piano superiore in cui si trovano gli ingressi alle piccole camere somiglianti a celle, si ha motivo di presumere che la casa risalga all'epoca 1340-1370 e venisse usata da qualche funzionario della Serenissima che controllava il bosco e regolava il traffico delle zattere di legname che, lungo il Piave, venivano spedite all’Arsenale di Venezia.

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(casa Moretto)

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(lo stemma dei Dolfin a Casa Moretto)

Ritorniamo sui nostri passi e andiamo a destra su via Francesco Baracca. Poco oltre a sinistra e quindi poi a destra sullo stradone del bosco. Avanti 500 metri e quindi prendendo in salita via Fiorone, la presa XVIII. Saliamo per 1,5 km sino a giungere nei pressi dei luoghi indicati nell’immagine che segue.

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Ci addentriamo nel bosco e saliamo. Usciamo ora a destra sul prato, al centro del quale una strana formazione di alberi: è il Roccolo

 

ROCCOLO

Il roccolo è una struttura semicircolare o a ferro di cavallo delimitata da piante arboree, che serviva per l'uccellagione, cioè la cattura degli uccelli. La storia del roccolo sembra iniziare già nel 1300, ma si diffonde ampiamente nelle colline della pianura padana, specialmente in Lombardia e Veneto attorno al '600 e '700. Questa struttura semicircolare è formata da due file di alberi, a formare una galleria, solitamente di carpini bianchi, che si prestano molto bene alla potatura. Questi vengono potati in modo da apparire come una siepe e da lasciare delle finestre di luce, dove poggiano le reti per la cattura. Questa struttura è definita colonnato. Nella parte centrale del roccolo si ha uno spiazzo chiamato tondo con alberi e arbusti, come ciliegi, sorbi, pruni, rose canine, che con i loro frutti attirano gli uccelli.

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Infine, il semicerchio era chiuso dal casello, struttura a torretta, spesso coperta da rampicanti per essere mimetizzata. Al piano terra della torretta erano poste le gabbie contenenti gli uccelli da richiamo, che con il loro cinguettio richiamavano gli stormi da catturare e all'ultimo piano vi era la postazione dell'uccellatore, che attraverso le feritoie lanciava lo spauracchio. Una volta che gli uccelli entravano nel roccolo, attratti dal richiamo e dai frutti, dalle feritoie sulla torretta, poste in alto, l'uccellatore lanciava questa sorta di ceste di vimini, che sembrando un uccello da preda, facevano scappare gli uccelli verso le finestre lasciate dalla potatura, impigliandosi così nelle reti.

Questa pratica è stata abolita con una legge del 1967 e i roccoli ancora attivi sono utilizzati a scopo scientifico, per l'inanellamento degli uccelli migratori, per poterne seguire gli spostamenti.

Torniamo sui nostri passi e davanti a noi una stradina che ci porta in mezzo al bosco. Circa 600 metri avanti e quindi a destra su via Brigata Campania.
INGRESSO VIA BRIGATA CAMPANIA.png

Giù per 1 km. Ora a sinistra sullo stradone del bosco per 500 metri. Sulla nostra destra una grande ciminiera spenta: sono i luoghi della ex fornace di Ciano.

 

 

EX FORNACE DI CIANO

Trattasi di una fornace di mattoni edificata nel 1905.

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Continuiamo sullo stradone del bosco per altri 900 metri. Ora teniamo la destra lungo il canale. Pedaliamo sul sentiero e dopo 500 metri usciamo su via Fantin, passando sul retro di un noto ristorante della zona. Circa 700 metri più avanti sulla nostra sinistra un capitello rosa con porte in legno davvero curioso.

 

CAPITELLO ROSA ALLA MADONNA

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CAPITELLO ROSA DI VIA FANTIN (2).jpg
Circa 100 metri più avanti sulla nostra sinistra l’Oratorio di San Pellegrino.

ORATORIO DI SAN PELLEGRINO

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L'oratorio di San Pellegrino, eretto sul luogo dove anticamente era nota la presenza di un sacello dedicato al Santo, viene costruito sulle preesistenze di una chiesa medievale attorno alla metà del Seicento (1647). La chiesa è costituita da un'unica aula a pianta rettangolare, che termina nel presbiterio con abside semicircolare rivolto a nord. L'ingresso principale è posto sul lato sud. Le strutture in elevazione sono costituite da muratura in pietra e la struttura di copertura è costituita da travi lignee. La facciata, in stile neorinascimentale, è scandita verticalmente da quattro lesene poste su piedistalli modanati, che sorreggono un architrave, con sovrastante fregio decorato con triglifi. Sulla sommità della facciata si osserva il timpano triangolare decorato con dentelli. Al centro si osserva il portale in pietra, incorniciato da due lesene che sorreggono la trabeazione, a sua volta sormontata da un timpano triangolare modanato. Sopra il portale, nella parte superiore della facciata, si osserva un'apertura finestrata di forma semicircolare. Durante il colera del 1886, la chiesa fu convertita in ospedale per colerosi e fino da tempo remoto, e per lunghi anni, fu meta di numerosi pellegrinaggi di fedeli invocanti la pioggia fecondatrice in tempi di siccità.

Le opere contenute

L’oratorio di San Pellegrino è ricco di opere ed oggetti di grande valore storico ed artistico.

 

 

Il crocefisso -la croce d’argento

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Il I° aprile 1584 alcuni “massari della Pieve de Ciglano” si recarono a Venezia per acquistare questa croce in argento.

Il prezzo fu stabilito in 308 lire e 8 soldi.

Nella parte anteriore della croce, al centro, troneggia il Cristo. Rappresentato senza corona di spine ma con una aureola: è il “Trionfatore”, al modo bizantino.

All’estremità dei quattro bracci figurano il Padre Eterno in atto benedicente verso il Figlio che salva il mondo, la Vergine Addolorata, San Giovanni Battista e la Maddalena, tutti e tre con efficace espressione di dolore.

Il crocefisso con la Vergine

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Crocefisso con la Vergine Maria che, con Bimbo in braccio, poggia i piedi sulla testa di un Cherubino. Si ritiene che la testa del Bambino non sia originale perché non presenta quella finezza di lavorazione che caratterizza invece la figura della Madonna. Alle estremità dei bracci ci sono le figure dei quattro evangelisti. Le lamine che rivestono l’ossatura della croce sono lavorate a cesello e ricche di fregi ornamentali. La croce è sorretta da un nodo particolarmente elegante: costruito a forma di raffinato capitello, si compone di sei nicchie divise tra loro da piccole cariatidi. Le nicchie accolgono figure di santi in argento fuso e ripassato a cesello. Il capitello è sormontato da una copertura “a volta” ornata di testine d’angeli e festoni di foglie e frutta.

Il crocefisso in legno del ‘500

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Databile ai primi decenni del 1500, di esso non si conoscono né l’autore né la provenienza. Secondo una tradizione accreditata in Ciano, sarebbe stato tratto dalle acque del Piave in una delle ricorrenti piene.

L’espressività e la cura di particolari anatomici rendono l’opera di indubbio interesse.

Le mani sono opera di un artigiano del paese, applicate probabilmente dopo i danni subiti dalla chiesetta nella prima guerra mondiale.

Madonna lignea con bambino

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Fin dai tempi antichi nella Pieve di Ciano era attiva una “Confraternita del Rosario”. Questa Madonna con Bambino ne rappresentava l’emblema. L’opera potrebbe essere del secolo XVII, ma è difficile risalire alla esatta datazione: le fattezze originarie (certamente più eleganti) sono deturpate da grossolane stratificazioni di vernice con cui la statua è stata ricoperta attraverso i secoli, anche per coprire i segni di incendio confermati da una recente ispezione. Nella vita della comunità di Ciano, essa rappresenta la continuità di una devozione attraverso i secoli.

Pala dell’altare

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Opera giovanile di Lea Antonia, Guglielmina, Maria Garizzo di Crocetta del Montello, il dipinto venne inaugurato nel 1932.

La veduta del Piave col Montello a Ciano divide il dipinto in due scene.

La parte superiore è occupata da una sacra conversazione. La Madonna con Bimbo, affiancata da san Giuseppe, porge a San Pellegrino (protettore delle messi) delle spighe: un esplicito mandato al Santo perché estenda al paese la sua protezione.

Nella parte inferiore le figure dell’Arcangelo Raffaele, del biblico Tobiolo, di S. Antonio da Padova e di S. Anna, Madre di Maria Vergine, sono un voluto richiamo al precedente dipinto che prima del 1915 sovrastava l’artistico altare laterale della chiesa di S. Pellegrino, arredo distrutto durante la grande guerra.

 

 

Continuiamo in direzione est per 400 metri: Siamo nei pressi dell’antico Borgo “la Crosera”.  Sulla nostra destra ora l’Oratorio dei Santi Vittore e Corona.

ORATORIO DEI SANTI VITTORE CORONA

Le prime notizie dell'oratorio dei Santi Vittore e Corona, originariamente di proprietà della famiglia Adami, risalgono alla seconda metà del Seicento. Assume la sua attuale conformazione a seguito della ricostruzione del primo dopoguerra. Dalla pianta centrale a base esagonale emerge il presbiterio a pianta quadrata sul lato sud. Il soffitto è voltato a vela e nasconde la struttura di copertura, costituita da travi in legno. La facciata, rivolta a nord, è intonacata e dipinta di colore rosa tenue. Il portale presenta una cornice bianca in pietra liscia. Sopra il portale d'ingresso, in leggero rilievo rispetto al filo della facciata, si osserva un arco a tutto sesto. Ai lati della facciata due lesene sorreggono la trabeazione priva di elementi decorativi, a sua volta sormontata da un timpano triangolare.

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CIANO DEL MONTELLO

Il primo documento che porta il nome di Ciglano o Cigliano, si trova in un'antica bolla pontificia di Papa Eugenio Il datata il 3 maggio 1152. Il borgo, con una fisionomia urbana poco compatta, si estende su un angolo di pianura compreso tra il Piave a nord e il Montello a sudovest. Tra il Piave e il centro scorre il canale di Castelviero, corso d'acqua artificiale derivante dalla Brentella di Pederobba. La storia di Ciano è legata sin dall'antichità al Buoro, in quanto le fonti e le grotte erano anticamente ritenute dei luoghi sacri, residenze di divinità legate alla fecondità della terra. Non è un caso, dunque, se i reperti più antichi sono affiorati proprio in prossimità del sito. Sono i resti di numerosi strumenti in pietra, per lo più di epoca mesolitica, consistenti in piccole lamine trapezoidali forse legate ad un'asta, venivano utilizzate come arpioni per la pesca. Altri reperti risalgono invece all'epoca romana.

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Il toponimo

Qualcuno ha ipotizzato che il toponimo potesse essere in relazione alla ninfa Ciane, ma è un'ipotesi priva di fondamento. Piuttosto, sarebbe un prediale da avvicinare al nome latino Acilius con l'aggiunta del suffisso aggettivale -anus.

Una seconda teoria lo lega a cilianum "ciglio", vista la posizione sulla riva del Piave. Il toponimo compare per la prima volta in un trattato del 1144, ma in precedenza erano già state citate alcune località minori come Santa Mama, Pratiche e Busco.

Altra ipotesi è la derivazione del nome dal termine greco kianos e cioè il colore azzurro-verde delle acque del Piave nelle sue giornate più limpide

 

In passato Ciano ha rappresentato un porto fluviale attraverso il quale transitavano i traffici lungo il Piave. Il paese è stato una delle località maggiormente coinvolte nei combattimenti della grande guerra lungo il fronte del Piave.

In antico il paese era formato da cinque comunelli: CANDIUVOL (o C ONDIUVOL): sobborgo indicato con la grafia Candouol in documento del 1423 che si protendeva verso il Piave, in direzione di Vidor, nei pressi degli attuali borghi: Botteselle, S. Urbano e Santa Margherita;

RIVASECCA: a nord - ovest di Ciano. L'origine del nome si collega al fatto che il Piave, abbandonando definitivamente l'antico corso tra il Montello e le collinette di Montebelluna, liberò la località dalle acque;

BUSCO: cosi chiamato per l'abbondanza di giganteschi alberi di ogni tipo che regnavano nella zona. Dopoché fu disboscato e dissodato il terreno, divenne rigogliosa campagna ed uno dei luoghi più popolati;

S. MAMA: chiamato anche «S. Mama dei Ronchi», perchè in antico qui rimasero a lungo i resti di un bosco abbattuto, è a oriente del paese;

PRANTIGHE: nelle antiche carte descritto «a mezzo della villa». Il nome Prantighe (o prati antichi) deriva dagli estesi prati che la popolazione, fuggita dall'antico Candiuvol per la grande rotta del Piave del 558 d.C., cominciò a coltivare dopo averne abbattuto il folto bosco.

Continuiamo in direzione est ancora su via Fantin per altri 400 metri sino ad uscire sulla principale che è via Francesco Baracca. Circa 150 metri più avanti sulla nostra destra una casa dalle dimensioni importanti cattura la mia attenzione. Siamo nei pressi di Palazzo Malanza.

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Qui si fermò pure Napoleone!

Facciamo altri 500 metri ed eccoci entrando a destra nei pressi della Parrocchiale di Ciano del Montello.

PARROCCHIALE DI CIANO DEL MONTELLO -S. MARIA ASSUNTA

Storia

La Pieve di Ciano può considerarsi tra le più vecchie della diocesi di Treviso. Essa viene ricordata in occasione della elezione del Vescovo della diocesi dell'anno 1241 e della sua aggregazione alla «Congregazione dei Montebelluna», avvenuta nel 1441, dalla quale dipese fino al 1894 per passare poi sotto la forania di Cornuda. Le prime notizie di una chiesa sorta nella stessa posizione dell'attuale risalgono al XII secolo. Agli albori del XV secolo l'antica chiesa venne migliorata nelle sue strutture e agli inizi del 1600 rifatta più ampia e dotata del primo organo acquistato a Venezia e costato cento ducati. Il 22 giugno 1773 ricevette il titolo di «Arcipretale». Restaurata nel 1825, nel 1890 vide sostituito il vecchio organo con uno più moderno che a sua volta fu cambiato nel 1934.

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Struttura

La chiesa, orientata in direzione est-ovest, presenta un impianto a croce latina con tre navate delimitate da colonne con capitello corinzio. L'ingresso principale è rivolto ad ovest, collocato al centro della facciata, gli accessi secondari sono rivolti a sud e a nord. Al centro della facciata si osserva l’ingresso principale alla chiesa, sormontato da un gruppo scultoreo composto da tre statue, poste all'interno di nicchie semicircolari.

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La facciata, in stile neorinascimentale, si sviluppa su tre fasce orizzontali sovrapposte, delimitate da cornici modanate ben marcate e sporgenti, con architrave decorativo tripartito, fregio liscio e dentelli.

 

Interni

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Il presbiterio a pianta quadrata termina con l'abside semicircolare rivolta ad est. Le strutture in elevazione sono costituite da muratura mista in pietra e mattoni di laterizio.

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Opere

La chiesa parrocchiale conserva alcuni tesori che è doveroso ricordare: la croce astile d'argento, del 1500, preziosa per la sua materia e per la lavorazione; il quadro del «Gesù risorto» che si presume opera del 1500; ,una pianeta rosa in finissimo broccato del 1600; la pala di Maria Assunta e Incoronata in cielo, opera di Jacopo Palma il giovane eseguita nel 1624; le due statue (S. Pietro e S. Paolo) in marmo di Carrara, del ’700, collocate ai lati dell'altare maggiore e attribuite al celebre scultore G. Bernardi, maestro del Canova.

Il campanile

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Anche il campanile, che era di forma tozza e di non elevata mole, fu ricostruito nel 1595 ed ornato dell'orologio nel 1702. Don Antonio Foscarini, parroco di Ciano dal 1877 al 1928, riedificò la chiesa dopo le vicissitudini della prima guerra mondiale ricostruendone anche il campanile, che fu, ridotato nel 1925 delle campane già requisite e fuse a scopo bellico.

Torniamo sui nostri passi e usciamo nuovamente su via Francesco Baracca. Facciamo in direzione est altri 600 metri e scendiamo ora a destra su via Rivette. Passiamo il ponte sul canale Castelviero e andiamo dritti. La strada diventa sterrata dopo 100 metri. Poco oltre la strada svolta decisamente a sinistra. Procediamo per circa 300 metri e quindi destra. Poco oltre superiamo sulla destra la sbarra indicata nella figura che segue.
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 e quindi arriviamo nei pressi del Nasson.
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Alla fine del ponte teniamo la sinistra.
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Da qui si procede su un tratto sterrato sito nell’estremità sud delle grave di Ciano, e le visioni da qui sono davvero intense e cariche di scorci davvero intensi.
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Avanti così per 1,2 km. Siamo in un luogo particolare e cioè l’invaso da cui si diparte il Torrente Nasson (per la parte che si estende nelle grave), torrente che si butta nel Piave dopo 4 km circa.
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Giriamo intorno a questo invaso e poco oltre giriamo a sinistra.
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E poi a destra e quindi a sinistra per attraversare di nuovo il canale Castelviero dopo aver superato a sinistra ancora una volta una sbarra.
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Inizia da qui una breve ma, un’intensa salita. Su ancora per 300 metri e quindi a sinistra in via Luigi Pontello.
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Avanti ancora per 300 metri; sulla nostra sinistra adiacente alla Casa di Riposo Belvedere, ecco l’Oratorio di San Nicolò.

 

ORATORIO DI SAN NICOLÒ

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In un codice in pergamena è documentata la presenza della cappella “Cappella di S. Nicolai de Ripaseha”, come di una cappella semplice, dipendente da Ciano, ma capace di raccogliere il popolo per le preghiere e per le funzioni domenicali. L'Oratorio di San Nicolò si trova all'interno di un centro urbano, celato dalla vegetazione che delimita il viale d'accesso. Nonostante abbia origini molto antiche, la sua conformazione è variata nel tempo e ad oggi, pur restando a disposizione della comunità per celebrazioni e riti, è in uso perpetuo della casa di riposo “Villa Belvedere”. La pianta è composta da un’unica navata, sovrastata da una copertura a capanna. Essa termina con una zona presbiterale quadrata e rialzata e con un’abside semicircolare. L’accesso principale è posto sulla facciata a Sud-Est, mentre i due secondari occupano le pareti laterali, in maniera simmetrica. La facciata principale è intonacata sui toni del bianco, scandita da sei lesene che si ergono su alti piedistalli e reggono una semplice trabeazione, che divide la facciata in due livelli. Essa è interrotta in prossimità del portale principale da un arco cieco, delimitato, al livello superiore, da lesene con capitello ionico e alto collarino. Il profilo della facciata è a capanna, grazie al frontone essenziale che conclude l’intera composizione. 

Il campanile si trova a nord del manufatto ed è a pianta quadrata, con un fusto rafforzato alla base tramite un basso basamento e aperto in sommità grazie a una monofora per lato, completato da una copertura semplice.

 

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Andiamo avanti per 100 metri: sulla nostra sinistra Villa Pontello. (in realtà possiamo vederne il prospetto anteriore già in viale Rimembranza che si prende poco oltre l’oratorio di San Nicolò).

VILLA PONTELLO L’ORFANATROFIO

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La costruzione del palazzo iniziò nel 1924, come esecuzione testamentaria di Luigi Pontello, abile e competente artigiano locale. Durante la sua esistenza, assieme alla seconda moglie Lucia Boschieri, condusse una vita semplice e votata al risparmio poiché i due coniugi avevano deciso di lasciare, alla loro morte, tutto il patrimonio per la costruzione di un istituto per orfane. Morti l'una nel 1917 e l'altro due anni dopo, l'ingegner Guglielmo Vallada si occupò di dare esecuzione al testamento affidando da un lato agli ingegneri Griffini e Mezzanotte il progetto per la costruzione dell'orfanotrofio nello stesso luogo dov'era stata la casa dei Pontello, dall'altro ottenendo già nel 1924 il riconoscimento di ente morale per l'istituto. Il 23 maggio 1928, l'Istituto od Orfanotrofio Pontello venne inaugurato, accogliendo da subito 4 bambine, che presto divennero 40, sotto la guida delle suore Canossiane. La gestione, come da volere di Pontello, fu affidata ai parroci delle tre parrocchie di Crocetta del Montello, a un rappresentante dell'Amministrazione Comunale, un rappresentante della Curia e a un rappresentante della Congregazione di Carità a Crocetta. Già nell'anno dell'inaugurazione vennero adottati i programmi statali di insegnamento elementare e vennero inoltre introdotti insegnamenti pomeridiani di cucito, sartoria, stiratura, igiene domestica, cucina ed economia domestica, per fare in modo che le bambine ricevessero non solo un'istruzione, ma anche esperienze e conoscenze utili per la vita.

La figura di Luigi Pontello.

Luigi Pontello nasce il 13 Maggio 1829 a Ciano. È un uomo colto e distinto, che ha riposti sul suo tavolino"La Divina Commedia" e i "Promessi Sposi".

Dopo aver imparato il mestiere di fabbro ferraio presso la bottega del Sior Bortolo Poloni, apre la sua officina e ricopre ruoli importanti, come consigliere e assessore del Comune di Cornuda, assessore e giudice del nuovo Comune di Crocetta e consigliere della Banca Popolare di Montebelluna.

La sua vita è attraversata da una coltre di sventura, quando in pochi anni perde il padre, la prima moglie e i due figli. Pontello cade in un profondo dolore che mina il suo sistema nervoso e di conseguenza la sua salute fisica. Trova conforto nel matrimonio con la Signora Lucia Boschieri, che, dopo aver dedicato la sua vita alle cure della madre, fa sua la missione di porre rimedio ai disturbi di Pontello. "Quante poesie nella settecentesca villetta, piena di luce e di fiori", così scrive la Signora Francesca Boschieri di quel periodo.

Il Cavalier Pontello sopravvive alla moglie e i suoi ultimi anni sono tormentati dalla Grande Guerra, che lo costringe a lasciare la sua amata casa, alla quale non farà mai ritorno, ma passa i suoi ultimi giorni a Treviso, dai parenti, e si spegne il 23 Settembre 1919.

Non amava il titolo di Cavaliere e voleva essere chiamato Sior Luigi Pontello. Aveva studiato la notte, mentre da ragazzo lavorava in officina tutto il giorno. Si era costruito una salda cultura, che lo aveva distinto tra la gente della sua terra.

Aveva sempre nella mente le sue origini, umili, e non aveva mai dimenticato i più bisognosi, a cui donava quanto possibile. L'ultimo atto di generosità del Sior Pontello fu quello di lasciare in testamento la sua sostanza, la sua casa, perché essa diventasse l'Orfanotrofio Femminile Pontello, che avrebbe accolto fanciulle dagli otto ai sedici anni, del Comune di Crocetta Trevigiana, orfane di entrambi i genitori o uno solamente, o in situazioni di difficoltà.

Ci volle qualche anno per i lavori di ristrutturazione e adattamento della struttura, ma l'1° Ottobre 1929 ci fu l'apertura definitiva dell'Orfanotrofio e l'ingresso delle prime quattro fanciulle.

La struttura donava a queste ragazze istruzione, insegnava loro dei mestieri e dava anche lezioni di economia domestica. Nel 1979 l'Orfanotrofio fu chiuso perché non vi erano più orfane da accogliere, mettendo la fine ad un progetto di cuore e generosità che ha dato un grande valore e significato a Villa Pontello.

Testo a cura di: Vania De Paoli - outdoor and culture

 

Siamo nel pieno centro della località Rivasecca, origine antica di Crocetta del Montello.

 

RIVASECCA

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Il nome ci ricorda un luogo secco, quindi privo d’acqua. Bisogna risalire a quando l’acqua del Piave lasciò l’antico alveo che virava a sud di Montebelluna per svoltare dietro il Montello. Questa zona fu risparmiata dall’acqua e dal nuovo corso ed ecco che assunse il nome di Rivasecca.

CANDUGOL: IL PAESE CHE NON C’E’ PIU’

 

Nell’area più o meno antistante Rivasecca, anche se non è per nulla facile individuarne la zona esatta, un tempo c’era un antico abitato di Ciano chiamato Candugol di Ciano. Il paese, per certi aspetti leggendario, venne spazzato via da una piena del Piave avvenuta tra il 1479 ed il 1480. La morfologia attuale della zona, che divide Ciano del Montello da Vidor, descriverebbe un fiume che ha modificato il suo corso nei secoli.  Dobbiamo pensare che, quando è in piena, il Piave ha la capacità di distruggere tutto ciò che lo circonda. Dire il punto esatto dove si trovava questo centro abitato è difficile: diversi paesi sono scomparsi lungo le sue sponde”. Per quanto riguardo nello specifico Candugol, dai libri e dai documenti antichi del 1300-1400 questa località risulta coltivata alla pari del Montello.  In questa zona, nei campi e nei vigneti, sono state trovate nel corso degli anni diverse tombe di abitanti di un villaggio. Queste tombe dimostrano l’appartenenza di questi territori a dei nuclei abitativi. I reperti che si sono trovati e che sono custoditi oggi in vari musei e depositi sono importanti perché danno una testimonianza di sostanza in ordine al fatto che questa zona ha a che fare con Candugol.

Andiamo avanti per 100 metri: sulla nostra destra ecco la Parrocchiale di Crocetta, quella dedicata a San Giuseppe.

PARROCCHIALE DI CROCETTA

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La storia

La storia di questa chiesa è piuttosto recente, ma molto particolare per alcune curiosità che ne caratterizzarono sia la progettazione che la realizzazione.

La chiesa, su progetto di Griffini e Mezzanotte, avrebbe dovuto essere solenne, in stile romanico-gotico, e con guglie estremamente slanciate (per capirci, simile alla chiesa di Santa Cristina al Tiveron nei pressi di Quinto di Treviso). La prima pietra che fu collocata a un metro sotto il livello del Piave, lasciò particolarmente perplesso il vescovo di allora, Andrea Giacinto Longhin. Chiamato per la benedizione chiese al parroco dove lo stesse conducendo e perché volesse costruire tre chiese sovrapposte. E il parroco argomentò sul significato simbolico di questa costruzione: ci si era immaginati in altre parole una sorta di salita immaginaria dal livello del Piave fino ad arrivare al luogo del Divino Sacrificio dove il popolo di Dio si sarebbe unito in preghiera. Il salone al primo piano sarebbe servito per le attività parrocchiali (cinema, feste, ecc.). La parte centrale avrebbe dovuto ospitare l'ossario. Si arrivò agli anni 1920. Sin qui avevamo solo una cripta. La nuova parrocchia di Crocetta (dal 1922) usufruì di modesti risarcimenti dai danni della guerra essendovi ancora in piedi l'antica chiesa di San Nicolò.  Quindi la nuova chiesa fu completamente frutto di offerte, donazioni e particolari iniziative per racimolare la somma necessaria.

Il 15 febbraio 1925 viene collocata la salma di San Bonoso dietro l’altare maggiore della cripta, in maniera provvisoria. Il 25 settembre 1977 viene però trasferita sotto l’altare di San Giuseppe, in un’apposita urna.

Si arrivò al 1940 con la costruzione a piano strada. Perdute le speranze di risarcimenti ulteriori don Pietro Bergamo, insieme al sindaco Facchinello, scrisse a Benito Mussolini per richiedere aiuto per la sua chiesa-monumento-ossario. Ma Mussolini negò il suo aiuto e preferì concentrarsi sulla costruzione di un ossario nella zona di Nervesa, dove tuttora si trova, adducendo come causa l'eccessiva umidità per un ossario. Nel 1940 muore don Pietro. Il suo successore don Emilio Marcon si assunse l'onere di portare a termine la costruzione. Chiese ed ottenne aiuto anche dal Canapificio Veneto ma la situazione bellica ostacolò il progetto. Il tempo passò con qualche intervento di manutenzione di quanto già costruito. Il parroco, pur di ridestare interesse per questa complicata opera, fece inumare nella cripta anche alcune salme di Caduti della II guerra mondiale. Ma non se ne fece niente. Arriviamo al 1948: la costruzione non poteva più aspettare. Se ne parlò in tutto il 1948, furono redatti altri progetti meno impegnativi (uno dell'ing. Fausto Scudo). Ma ecco la sorpresa: la Curia di Treviso fece sapere che la nuova chiesa doveva essere eretta in centro al paese. Ma i parrocchiani di Crocetta furono irriducibili! La chiesa doveva sorgere nel luogo per i quali sia don Pietro che i parrocchiani avevano investito tutti i propri sforzi umani ed economici. Alla fine don Amedeo Cometto fece eseguire un progetto di massima dall'ing. Fernando Castagna e la chiesa parrocchiale di Crocetta finalmente arrivò al tetto. Era il 1949 e la solenne inaugurazione avvenne nel 1950. I lavori proseguirono fino al 1951. La Chiesa di San Giuseppe viene terminata nel 1950, sopra la cripta già esistente. Nel 1956, ci si attivò per lo spostamento della salma di don Pietro Bergamo dal cimitero di Ciano alla nuova chiesa, dove trovò finalmente riposo. Furono sepolti vicino ai soldati caduti, nella nuova tomba costruita in cripta su disegno dell'ing. Fernando Castagna. Dopo questi ultimi eventi la chiesa rimase grosso modo la stessa. (testo liberamente tratto da uno scritto di Attilio Dalla Rosa)

 

Struttura ed interni

La pianta è a croce latina, composta da un’unica navata che si sviluppa secondo l’asse Est-Ovest, corredata da due cappelle laterali simmetriche e semicircolari. Essa si conclude con un presbiterio rialzato su cui si innesta un’abside semicircolare. 

Gli esterni

La facciata principale, collocata a Ovest, è anticipata da una scalinata, che permette di recuperare le differenze di quota del terreno e della cripta. Essa risulta tripartita e ospita un portale principale e due laterali: il primo è sovrastato da un ampio rosone, mentre i secondi da una trifora anticipata da archetti pensili. Il paramento murario è intonacato di bianco e decorato tramite sottili fasce orizzontali in laterizio. Dello stesso materiale sono anche le arcate cieche che concludono la facciata nella zona centrale e gli archetti pensili nelle zone laterali.

La cappella della Madonna

L’altare venne qui collocato nel 1954. Si sistema così la cappella, con il contributo delle donne del paese, e qui vi si colloca il relativo altare.

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Le statue lignee

Il ciclo di affreschi del Tiozzo da Chioggia

Risale al periodo 1978-1983. Parliamo dell’abside, dell’arco trionfale e delle lunette delle porte.

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L’abside

Il campanile

 

Nel 1922 un piccolo campanile viene costruito sul piazzale, nel luogo corrispondente all’alto pinnacolo frontale della nuova chiesa. Ma si tratta di un’opera provvisoria. La costruzione del campanile che oggi vediamo invece, avvenne in sei mesi nel 1956. E’ bello alto: sono ben 56 metri di torre. Il campanile si colloca a Sud della chiesa, allineato alla facciata Ovest. Esso è composto da un basamento a scarpa in pietra viva su cui si innesta un fusto a pianta quadrata intonacato e delimitato da fasce in pietra. La cella campanaria ospita una trifora per lato ed è completata da una copertura semplice.

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Diamo le spalle alla parrocchiale e prendiamo Via Antonini. Facciamo 300 metri e quindi andiamo a sinistra in via C. Battisti. Facciamo 150 metri e quindi a destra in via dei Martiri. Altri 150 metri e quindi a sinistra su via Erizzo. Pedaliamo in direzione sud per 300 metri. Sulla nostra sinistra l’ingresso per via della Rimembranza e alla nostra destra i luoghi ove aveva sede l’ex Mulino Sega. Cinquecento metri più avanti siamo nei pressi del Municipio di Crocetta, luogo di chiusura del nostro viaggio.

APPENDICE

In appendice indico ed integro alcuni luoghi di interesse che il nostro viaggio in bici (costretto da un po’ di minima circolarità), non tocca.

BORGO BOTTESELLE

Cosi denominato perchè in tempi remoti vi si insediarono alcune famiglie che si chiamavano «Botteselle». Si intravedono tracce di un’antica signorilità in un vecchio edificio, già sede di un convento e nel sottoportico di accesso al borgo stesso.

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In una di queste famiglie si conserva un cubetto in pietra d'Istria su una facciata del quale è scolpito, in bassorilievo, uno stemma di famiglia nobiliare quello dei “Della Rovere” avente nel campo un albero di quercia: il rimando potrebbe essere al bosco del Montello.

Lo stemma fu trovato, alcuni anni or sono, nella grave del Piave nell’architrave gotica d'un rudere di torre che si trovava verso la sponda settentrionale del fiume nei pressi di S. Mama. Ma poiché la famiglia dei «Della Rovere› non ebbe mai alcuna abitazione in questo territorio, si pensa possa provenire da una abitazione data in dotazione al Vescovo Zanetto di Treviso e usata durante i suoi viaggi o visite pastorali nel periodo che va dal 1478 al 1485.

(la fontana di Borgo Botteselle)

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