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QUINTO DI TREVISO IN BICICLETTA
 
 

Caratteristiche tecniche del percorso

Lunghezza : 36

Tempo di percorrenza: 2 e 30 minuti

 

Il territorio e le acque. Il territorio di Quinto di Treviso, lambito dal fiume Sile, si trova nella parte meridionale della provincia di Treviso, ed è compreso tra Zero Branco, Morgano, Paese e Treviso. L’abitato presenta un andamento altimetrico assolutamente pianeggiante. La bellezza del posto non può essere disgiunta dall’importantissima risorsa idrica, il fiume Sile: risorsa ambientale e paesaggistica che nei secoli ha garantito la prosperità alla zona, ancora punteggiata di innumerevoli e antichi mulini. Il visitatore non potrà restare indifferente a questi paesaggi d’acqua dai colori tenui e avvolgenti che danno riparo a innumerevoli specie vegetali e animali: aironi, cigni, gallinelle d’acqua, martin pescatori.

Il Toponimo. Il nome, di derivazione latina “quintus ab urbe lapis”, stava a designare il quinto accampamento militare partendo da Treviso. Lo stesso toponimo ne denota le antiche origini romane: indicava infatti una mansio, ovvero una stazione di cambio posta a cinque miglia dalla città, probabilmente lungo la strada che conduceva a Padova attraverso LevadaLoreggia e la via Aurelia (da notare che in comune di Morgano si trova la località Settimo). Il nome Quinto viene citato però per la prima volta su un documento nel 1152: a quella data esisteva dunque un agglomerato costruito intorno alla chiesa di S. Cassiano, che insieme alle chiese di Santa Cristina e S. Giorgio costituirono i poli di attrazione intorno ai quali si è poi sviluppata la comunità di Quinto.

Un po’ di Storia. Rinvenimenti archeologici lungo le rive del Sile testimoniano presenze umane a partire dall’età del bronzo. Questi reperti, oggi sono in gran parte custoditi presso i Musei civici di Treviso. Nell’undicesimo secolo a.C. si stabilirono qui insediamenti paleoveneti. Tuttavia è sicuramente la dominazione romana che ha lasciato testimonianze più rilevanti. Anche durante il periodo romano la civiltà era fiorente, vista anche la vicinanza al municipium di Treviso. Decaduto l’impero romano a causa delle invasioni barbariche anche le colonie romane con la loro organizzazione economica e sociale conobbero il declino. A partire dal medioevo le vicende storiche seguirono quelle della vicino Treviso. Quinto rimase legata a Treviso anche nelle epoche successive. Un documento del 992 ricorda che i vescovi avevano alcune proprietà della zona e forse anche un fortilizio; poco dopo, le località vicine sono ricordate nell'atto di fondazione dell'abbazia di Mogliano a cui furono assegnate. Tuttavia bisognerà aspettare il 1152 per vedere citato il toponimo Quinto per la prima volta: il 3 maggio di quell'anno, una bolla di papa Eugenio III confermava la dipendenza della locale pieve di San Cassiano alla diocesi di Treviso. San Cassiano era inoltre sede di uno dei quattro arcipretati della diocesi, al quale erano sottoposte varie altre pievi, da Istrana a San Biagio di Callalta. Il Sile divideva però il territorio in due parti e ciò comportò non pochi problemi, legati alla difficoltà di comunicazione tra i due luoghi divisi dal fiume. Divenne opportuna l’edificazione di una seconda chiesa nel XIV secolo e l'antica pieve fu sostituita da una nuova chiesa intitolata a San Giorgio ed edificata vicino al centro. Il centro vitale del paese si spostò più a sud, lungo le rive del Sile. L'economia del paese si basò per secoli proprio su questo fiume, soprattutto tramite l'attività molitoria. La Serenissima potenziò ulteriormente l'economia agricola di Quinto e qui si stabilirono numerosi proprietari terrieri ergendovi le loro ville. Come il resto della regione entrò a far parte del Regno d’Italia. Nella sua storia seguente non si segnalano altri avvenimenti di particolare rilievo, allineandosi a quella del resto della provincia. Da ricordare poi che dal 1941 al 1947 Quinto di Treviso fu interessata dal passaggio della ferrovia Treviso-Ostiglia e dotata di una propria stazione.

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Partiamo allora: il nostro viaggio ha inizio come di solito dal centro amministrativo del territorio rappresentato dal palazzo municipale che si trova in via Ciardi. 

IL MUNICIPIO
Se ora diamo un’occhiata alla nostra destra ecco che ci compare, tra gli alberi e le piante, la sagoma di Villa Memmo-Giordani.

VILLA MEMMO-GIORDANI

Conosciuta dai residenti come Villa Giordani, Valeri, assieme a Villa Ciardi, rimane rara testimonianza della presenza di tante altre ville esistenti nel territorio di Quinto (se ne contavano alla fine del ‘600 più di una ventina, tra ville e case dominicali disseminate nel territorio comunale; in seguito la maggior parte di questi edifici furono distrutti o trasformati). La villa ha una storia plurisecolare tuttavia non si conosce esattamente l’anno della sua edificazione. Il più antico documento in cui viene citata la Villa è l’estimo veneto del 1682 che riporta il nome del proprietario: il Nobil Homo Costantino Memmo. La famiglia Memmo apparteneva al Libro d’oro delle 24 famiglie patrizie fondatrici di Venezia. La villa aveva una modesta proprietà di circa 13 campi tra parco e aree coltivate. Nell’estimo del 1714 risulta proprietaria della villa Marina Zen vedova di Costantino Memmo e la villa viene descritta come Casa Dominicale e da gastaldo (l’uomo di fiducia dei Memmo che gestiva la proprietà). Questo catasto riporta nella mappa allegata, l’immagine della villa, ove si può notare il corpo centrale a due piani con attico ad abbaino ornato e le due barchesse simmetriche porticate ai lati. La facciata principale della villa non era rivolta a sud, come l’attuale, ma a nord, verso la “strada padovana”, l’attuale castellana vecchia, a cui la villa era collegata da un lungo viale alberato prospettivo, con cancellata. L’oratorio fu invece edificato nel corso del ‘700, ma la data precisa di costruzione non si conosce, anche se viene citato nel 1779 durante la visita pastorale da parte del Vescovo Giustiniani. Nel catasto austriaco del 1849 la villa risulta in proprietà di Paolina Memmo figlia del Provveditore Andrea Memmo. Paolina sposa Alvise Martinengo, esponente della nobiltà bresciana, che aveva acquistato il titolo di patrizia veneto nel 1689 e porta in dota ai Martinengo il palazzo di Venezia e la villa di Quinto. Seguono vari passaggi di proprietà: agli inizi del ‘900 risulta proprietario Giovanni Girardi e successivamente passa in proprietà a Ettore Giordani, a seguito del matrimonio con la figlia di Girardi. Ettore Giordani fu Sindaco del Comune di Quinto negli anni della prima guerra mondiale (1915-1922) ed ebbe nel 1913 una bellissima figlia di nome Giannina che morì prematuramente all’età di 15 anni. Il padre in suo onore fece erigere a sue spese, la cappella della Madonna di Lourdes, nella chiesa di San Giorgio così come, dedicherà alla figlia la stessa villa ristrutturata, perché così si leggeva, in una iscrizione sul pilastro del cancello d’ingresso. Don Girotto, l’allora parroco della chiesa di S. Giorgio in riconoscenza del gesto del Commendator Giordani gli donò la parte centrale del trittico (olio su tela) del Pozzoserrato, raffigurante la Vergine immacolata e che divenne poi la pala dell’altare della cappella della villa. È nelle linee della ristrutturazione di Giordani che la villa giunge a noi: corpo centrale in stile neoclassico con portico di ingresso a colonne al pianterreno. Due barchesse laterali non simmetriche, di cui quella a “mattina” raccorda la villa alla cappella, con un unico grande e luminoso ambiente decorato da stucchi, adibito a sala musicale e per le feste. L’ambiente più pregevole è l’atrio d’ingresso della villa decorato con tele e stucchi del pittore veneziano Bressanin. Particolare attenzione merita la grande scena del “Cavadenti in piazza San Marco”, il piccolo ritratto di donna in maschera e le 4 stagioni dipinte nelle sovraporte. In particolare possiamo notare come la stagione dell’estate riporti quale sfondo, parte del paesaggio di Quinto, tanto caro anche al celebre pittore Guglielmo Ciardi, in particolare S. Cassiano perché si riesce ad intravederne la chiesa. Nel 1960 Giorgio Valeri acquista la villa che poi cederà al Luigi Cenedese nel 1991, il quale restituirà il dipinto della cappella alla chiesa di S. Giorgio. Successivamente la villa viene ceduta ad una società alberghiera, di cui troviamo traccia all’interno del fabbricato, per giungere poi finalmente in proprietà al Comune di Quinto. Antistante alla villa vi è una elegante vasca con fontana in pietra di Verona che risale agli anni trenta, all’epoca della ristrutturazione del Giordani.

Una curiosità che merita menzione è il fatto che la villa molto probabilmente, era frequentata d’estate dagli amici dei Memmo tra cui Giacomo Casanova.

VILLA GIORDANI
Dopo aver visitato questo “concentrato” di storia, è giunto il momento di pedalare verso ovest in via Ciardi. Siamo nel bellissimo borgo di Quinto. Circa 250 metri più avanti ci rituffiamo in un altro pezzo di grande storia: stiamo ammirando sul lato destro della strada Villa Ciardi.

BEPPE CIARDI E VILLA CIARDI

Uno degli edifici architettonici più significativi del territorio di Quinto è villa Ciardi, importante, oltre che per il pregio architettonico, per aver ospitato la famiglia veneziana dei pittori dai quali prende il nome, ed in modo particolare il celebre Giuseppe (Beppe) Ciardi. Preceduta da un piccolo parco, la costruzione presenta una facciata tipicamente neoclassica con colonne e timpani al piano primo e tre affreschi monocromi ad effetto di bassorilievo che rimandano alle arti della pittura, della scultura e dell’architettura. Il corpo centrale, così come lo vediamo oggi risale, probabilmente alla seconda metà del XVIII secolo (nel 1812 è presente nel catasto austro-napoleonico come “casa di villeggiatura”, di dimensioni minori rispetto all’edificio attuale, mentre posteriori sono le adiacenze laterali. Nel XX secolo diviene proprietà dei Ciardi, prima del pittore Guglielmo e dopo la sua morte dei figli, in particolare dal 1930 di Giuseppe Ciardi detto Beppe che lascerà un notevole segno nella produzione artistica veneta del primo Novecento. A sua memoria sono visibili sulla facciata un’iscrizione del Comune di Quinto risalente al 1935 e, in una teca incassata nel muro di una delle due barchesse l’ombrello ed il cavalletto che egli usava per dipingere.

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Bepi Ciardi

Nato a Venezia nel 1875 e morto a Quinto di Treviso nel 1932 è stato un pittore italiano, figlio di Guglielmo Ciardi e fratello di Emma Ciardi, entrambi pittori. Portò avanti parallelamente lo studio dell’arte, con il padre Guglielmo, e quello per le scienze naturali all’Università di Padova. S’iscrisse poi all’Accademia di belle arti di Venezia. Si specializzò nel vedutismo e nel paesaggismo, divenendo uno dei principali interpreti veneti del primo novecento. In Toscana ebbe dei collegamenti e degli scambi culturali con i pittori postmacchiaioli. Partecipò a varie mostre in giro per il mondo, come l’Esposizione internazionale di Monaco (1901), e l’Esposizione internazionale di San Francisco. Nel 1912 fu presente alla Biennale di Venezia. Nonostante una carriera non troppo lunga, Beppe Ciardi riuscì a realizzare una copiosa produzione artistica, che ancora oggi gode di discreta considerazione da parte del mercato.

Procediamo ora per altri 250 metri sino a vedere sulla nostra sinistra vicolo Francesco Baracca. Andiamo avanti e dopo circa 150 metri ecco il primo incontro con uno dei numerosi punti di accesso al percorso costruito sopra la sede delle rotaie della vecchia Treviso-Ostiglia.

La Treviso-Ostiglia

 

Lunga 116 chilometri, la sua costruzione fu ideata, a fini strategici, dall'Esercito italiano in modo di poter dislocare velocemente le truppe in caso di guerra contro l'Austria-Ungheria. In un primo momento si decise di abbandonare l'idea e puntare piuttosto sul raddoppio della Padova-Bologna, ma alcuni parlamentari veneti si batterono affinché la ferrovia fosse realizzata. Il progetto fu sospeso dallo scoppio della prima guerra mondiale. Negli anni venti si intrapresero i lavori per la costruzione della ferrovia che terminarono solo agli inizi degli anni quaranta, nell'imminenza del secondo conflitto mondiale. Nella sua completa estensione, la linea ferroviaria ebbe poca vita, poiché fu pesantemente bombardata dagli alleati nel 1944 Treviso. Già nel settembre del 1946 poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, l'esercito degli Alleati riattivò la tratta tra Quinto di Treviso e Treviso Porta Santi Quaranta della sezione tra Grisignano e Treviso. Sembrò a quel punto che i lavori di ripristino dovessero procedere velocemente anche nel resto della parte "alta" della linea, ma invece furono immediatamente sospesi, tanto che la breve tratta riaperta fu chiusa dalle FS nel Dicembre 1947.

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Procediamo così per circa 400 metri e poi a destra in via Donatori del Sangue: avanti ancora 100 metri e siamo in via Francesco Baracca. Poco più avanti sulla nostra destra una graziosa chiesetta attira la mia curiosità.

Oratorio della Madre della Vita

La cappella viene costruita nel 1988 da Giuseppe Gatto e dalla moglie Maria Secco e successivamente donata alla parrocchia di Santa Cristina. L'edificio, dedicato alla "Vergine Maria, Madre della Vita", viene inaugurato il 28 ottobre dello stesso anno. Si tratta di un piccolo fabbricato a pianta rettangolare con un'abside semicircolare al quale si accede attraversando un poderoso arco in muratura. Le pareti sono realizzate in laterizi pieni a faccia vista recuperati, come quasi tutti gli altri elementi, dalla demolizione di edifici antichi. Al centro del prospetto è collocato l'ingresso caratterizzato dalla presenza, al di sopra del portale, di un'apertura a lunetta. Il fronte si conclude con un campanile a vela. Gli interni sono in parte intonacati. La copertura è realizzata con travi in legno a vista e trave di colmo recuperata dalla demolizione della vecchia chiesa in riva al Sile. I pavimenti policromi sono realizzati in lastre di marmo ad intarsio recuperati dalla rimozione dei pavimenti di un antico battistero. La porta d’ingresso è stata recuperata da una cella conventuale. Le finestre presentano vetri colorati piombati.

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Elementi decorativi

All'interno dell'oratorio sono presenti molti elementi, tra cui un'acquasantiera, un piccolo tabernacolo, iscrizioni, mensole, recuperati da altri edifici o oggetti d'antiquariato. Le dipinture interne ed esterne sono opera di Giuseppe Gatto. All’interno, riproducono opere esistenti come, ad esempio, nel paramento ovest, un crocifisso a parete della ex chiesa di Santa Caterina a Treviso.

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Sono presenti altre raffigurazioni ed iscrizioni in terra cotta che fanno esplicito riferimento all’anno mariano in cui è stata costruita, come la Madonna presente sulla parete est.

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La statua raffigurante la Madonna partoriente è opera di Maria Secco. Sulla finta porta esterna della facciata est è collocato un altro affresco di Giuseppe Gatto, raffigurante San Francesco.

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Visitata questa sorprendente chiesetta, è giunto il momento di tornare in bici, uscendo sulla principale e tenendo la direzione ovest. Poco oltre in prossimità di una spettacolare abitazione affrescata alla maniera di Michelangelo, noi teniamo la destra. Inizia da qui un bel chilometro di campagna, una pedalata “di siepi e campagne” davvero rilassante. Un buon chilometro sempre in direzione est sud-est sino ad uscire in una strada ora meglio segnata: lì giriamo a destra in direzione nord. Altri 300 metri ed eccoci ancora a destra in direzione nord per circa 400 metri. Attraversiamo l’incrocio e andiamo avanti dritti per altri 400 metri e ora a destra in via Trevisana. Facciamo ora circa 1,4 km in direzione est sino ad uscire sulla principale ove ci troveremo di fronte alla chiesa di San Cassiano.

La chiesa di San Cassiano

La chiesa di San Cassiano martire, nei pressi del cimitero, era l'antica pieve di Quinto. Di origini molto antiche, conserva alcuni pregevoli opere: l'altare ligneo, con un polittico di un maestro veneziano XVI secolo; il soffitto è di Jacopo Guarana (1758), e da ricordare sono pure le tele di Lattanzio Querena e Ascanio Spineda. Degno di nota è pure il fonte battesimale in pietra d'Istria (datato 1317) e l'ottocentesco organo "fonocromico" di G.B. De Lorenzi. Il campanile, che è di origini medievali, conserva tre campane.

SAN CASSIANO
Guardando ora in direzione nord scorgeremo sulla nostra sinistra una stradina. La prendiamo: 250 metri avanti e poi al successivo incrocio andiamo a sinistra. Siamo ora in via Fornaci e stiamo sconfinando nel vicino territorio del comune di Paese. Facciamo circa 1 km e quindi nei pressi di una piccola area verde giriamo a sinistra in via Levade. A sud per circa 700 metri e quindi a destra: avanti ancora sullo sterrato per circa 900 metri sino ad uscire sulla rotonda; lì giriamo a sinistra e procediamo sulla principale per circa 700 metri ed ecco sulla nostra destra la piccola chiesa-oratorio di San Bernardino.

LA CHIESETTA ORATORIO DI SAN BERNARDINO

La tradizione vuole che l'oratorio collocato a lato di via San Bernardino venga fabbricato nel 1457 in occasione della predicazione di San Bernardino nel territorio trevigiano, ma tale data non coincide con la biografia del Santo (nato nel 1380 e morto nel 1444), e inoltre postuma a quella della sua canonizzazione avvenuta nell'anno 1450. Si tratta di un edificio composto da un'aula a pianta rettangolare a cui si collega un'abside quadrata con volta a vela sulle cui quattro vele sono dipinti i ritratti dei quattro evangelisti. In prossimità dell'abside, sul lato est, è collocato un piccolo campanile, probabilmente aggiunto o ricostruito, caratterizzato da una cuspide a cipolla sopra il tamburo sovrastante la cella campanaria. Una piccola sacristia è addossata sul lato ovest.

La facciata è caratterizzata da due lesene laterali sormontate da capitelli decorati sorreggenti una fascia decorativa a rilievo con motivi ornamentali. Al di sopra del portale è collocata una nicchia ospitante una statua di Madonna col bambino. La nicchia è incorniciata da due fasce decorative con elementi fitomorfi. La copertura è a due falde, con struttura in legno e manto di copertura in coppi. L'altare in marmo, preconciliare, è stato realizzato tra gli anni Venti e Trenta. La chiesa è dotata di altare mobile, realizzato con due elementi metallici verticali che sostengono la mensa, collocato su una pedana in posizione rialzata rispetto all'aula.

SAN BERNARDINO
SAN BERNARDINO
Visitata la chiesetta di San Bernardino procediamo in direzione sud per altri 650 metri circa. Ora giriamo a destra in via Castellana e pedaliamo per circa 850 metri. Girando a sinistra siamo ora in via Cacciatori: pedaliamo per circa 700 metri e quindi a destra in via Ponti Settimo (superiamo i due ponti sul Sile). Procediamo per circa 600 metri e poi attraversiamo la strada: siamo ora in via Ostiglia. Procediamo dritti per circa 750 metri e quindi a sinistra nuovamente sul percorso della Treviso-Ostiglia. Avanti così per circa 700 metri e andiamo a sinistra: poco oltre sulla destra ecco l’ingresso dell’Oasi Cervara.

L’OASI DEL MULINO CERVARA

All'interno dell'Oasi del Mulino Cervara, si estende un'altra delle grandi paludi che caratterizza l'alto corso del Sile. È semisommersa e ricca di tutte le specie animali e vegetali tipiche di questo biotopo e, grazie ad un percorso naturalistico allestito dal Gruppo Ecologico "Tiveron", si presta ad interessanti esperienze didattiche e ricreative. Notevole la garzaia di Aironi cenerini grazie all'abbondanza di cibo che essi riescono a trovare nelle acque vicine. Una piccola oasi dove protagonista è l'acqua. Un tempo, il suo scorrere faceva girare le ruote dei mulini, numerosissimi lungo il Sile ed in particolare a Quinto, cosa per la la cittadina era giustamente famosa. Il mulino che troviamo all’interno dell’oasi era già funzionante sul finire del 1300 e svolse la sua attività fino all'inizio del secolo scorso, quando venne dismesso ed utilizzato come magazzino. A fianco troviamo una costruzione adibita a centro visitatori. Una stradina s'inoltra tra una fittissima vegetazione d’alti alberi con a lato due canali d'acqua splendida e viva. Quindi si arriva all'argine del canale principale dove si trovano tutte diramazioni del Fiume Sile, e da dove si può proseguire ancora un po', oppure andare a visitare il museo.

OASI CERVARA
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Lungo il sentiero si può incontrare il tipico casone di palude. Esso è costruito in legno e canna palustre. A breve distanza inoltre, si trova la cavana, un ricovero per le tipiche barche a fondo piatto che sono le pantane. Poco più in là l'osservatorio ornitologico dove si possono ammirare le numerose specie di uccelli che vi svernano o nidificano come il Martin Pescatore, il Tuffetto, il Cigno reale ecc. Alcuni cigni reali incedono poi eleganti nelle acque in prossimità delle ruote del mulino.  All'interno del parco vi è inoltre l'orto botanico dove sono raccolte e classificate circa 50 specie di vegetali, alcune delle quali molto rare, e più in là bellissimi stagni. Negli stagni si possono ammirare diverse specie di anfibi e rettili come la rana, la raganella e la tartaruga. Proseguendo poi si arriva nella passerella sui 'fontanazzi', la costruzione di un camminamento che permette di osservare da vicino l'interessante fenomeno naturale delle risorgive. Motivo d'interesse è l’osservare e soprattutto, l'ascoltare lo scorrere lento, ma allo stesso tempo vigoroso, dell'acqua. Un'acqua bellissima che affascina. Un luogo dove incedere lenti, senza fretta, gustando fino in fondo lo scorrere del tempo. Lenti appunto!

LA PANTANA

L’Oasi e la sua storia

Nel medioevo, il villaggio di Cervara si trovava al confine di un’estesa zona boscosa. Il suo nome è probabilmente legato proprio alla parola “cervo”, a testimonianza della ricchezza di vita selvatica di queste terre, a quel tempo per buona parte occupate da paludi e boschi. Infatti, secondo un catasto dei beni della Trevisana del 1486, a Costamala (un’altra località nei pressi di Quinto di Treviso) e a Cervara erano presenti due boschi di cento campi ciascuno. Del bosco di Cervara nel XVIII secolo rimangono 24 campi “di roveri et legne dolci da frassinare” di proprietà delle monache del monastero di San Paolo in Treviso. Ma del Mulino di Cervara esistono riferimenti storici che ne documentano l’attività già nel 1325. Da allora, il Mulino ha attraversato gli ultimi sette secoli trasformandosi in funzione delle esigenze del lavoro e delle tecniche dell’arte molitoria rimanendo produttivo sino agli inizi del’900 quando, progressivamente, venne abbandonato.

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Con il passare del tempo andarono distrutti gli impianti, le ruote e quanto altro costituiva l’attrezzatura interna, cosicché il mulino fu adibito a magazzino e stalla, finché il Comune di Quinto lo acquistò agli inizi degli anni ’80.

Lasciato il mulino Cervara, ci dirigiamo in direzione est cioè a sinistra per via Cornarotta e procediamo per circa cento metri fino all’ingresso segnalato nei pressi di una sbarra di legno. Ci stiamo dirigendo verso una piccola area davvero sorprendente per la varietà di paesaggio. Poco più di 200 metri di percorso ricavato lungo il vecchio percorso della ferrovia Treviso-Ostiglia. Merito all’iniziativa delle autorità competenti che ne hanno fortemente voluto la realizzazione. Lascio alle immagini il racconto di questo brillante angolino posto al confine est del Mulino Cervara. Siamo nel punto esatto in cui sorgeva il ponte ferroviario sul Sile, bombardato nel biennio 1944-1945 dagli alleati e mai più ricostruito.
PONTE CERVARA A QUINTO
Ma usciamo dal Ponte e dirigiamoci a sinistra in direzione nord per circa 0,4 km. Ci aspetta, quella che secondo me, è una delle più belle parrocchiali della zona e non solo: la parrocchiale di Santa Cristina di Quinto.

LA PARROCCHIALE DI SANTA CRISTINA

“Maestosa, particolare, unica nel suo genere, e piena di guglie, una specie di piccolo duomo di Milano"

In antichità la parrocchiale di Santa Cristina non era altro che una cappella della pieve di Quinto. Le prime notizie della Chiesa risalgono al 1125, quando un gruppo di monache qui vi costituì un proprio insediamento. Ma fu tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500 che la Chiesa subì importanti ristrutturazioni e venne arricchita con un nuovo campanile; in quell’occasione fu commissionata a Lorenzo Lotto la Pala di Santa Cristina. L'attuale edificio è però ancora più recente: viene completamente riedificato in stile eclettico tra il 1925 e 1933 per volontà di Monsignor Tognana, in sostituzione di quello precedente, situato sulle rive del fiume Sile e demolito nel 1938. La chiesa viene consacrata nel 1933 dall'arcivescovo Andrea Giacinto Longhin, vescovo di Treviso.  L'interno è composto da tre navate separate da due file di sei colonne sormontate da elaborati capitelli sopra i quali sono disposti gli archi caratterizzati da una marcata decorazione pittorica. Il presbiterio è rialzato rispetto al piano riservato all'assemblea e presenta ai lati due “navatelle” simmetriche. L'esterno presenta paramenti in mattoni a vista con guglie e pinnacoli in copertura. La facciata è caratterizzata dalla presenza di uno slanciato campanile la cui base funge anche da nartece per l'accesso alla chiesa. La chiesa conserva importantissime opere: la pala (Madonna in trono col Bambino tra i Santi Cristina, Pietro, Liberale e Girolamo) e la lunetta (Cristo morto e gli angeli) poste dietro l'altare, sono opere di Lorenzo Lotto (1505); le cantorie sono invece settecentesche. Di notevole pregio l'organo Tamburini, inaugurato nel 1899 da Lorenzo Perosi.

SANTA CRISTINA
SFUMATURE DI SANTA CRISTINA

La Pala del Lotto

Posta nell’antica chiesa nel 1507, la pala del Lotto lì rimase fino agli anni ’30 e poi spostata nella nuova ed attuale Chiesa di Santa Cristina. La Pala di Santa Cristina al Tiverone è un dipinto a olio su tavola di Lorenzo Lotto. La grande pala d'altare, la prima di queste dimensioni dell'artista, venne forse commissionata verso il 1505, per intercessione del vescovo di Treviso Bernardo de' Rossi, nella cui piccola corte era attivo il giovane pittore veneziano. Venne consegnata il 14 maggio 1506 poco prima della partenza dell'artista per Recanati. Nel 1507 fu posta in chiesa, nella vecchia chiesa di Santa Cristina. Alla Pala di Castelfranco di Giorgione sembra ispirarsi la figura del santo cavaliere Liberale, patrono di Treviso, che tiene un modellino della città in mano. Il Bambino tiene in mano un cardellino, simbolo della sua futura passione. Il lato destro dell'architettura classicheggiante mostra una veduta esterna, che dà su un muretto coperto da erbe. La Pietà invece, si rifà a modelli belliniani, con il Cristo morto sorretto da due angeli, seduto su un ripiano su uno sfondo scuro. Ma chi era Lorenzo Lotto?  Lorenzo Lotto (Venezia 1480– Loreto 1556) è stato un pittore italiano. Egli trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Venezia dove avviene la sua formazione artistica. Tra il 1503 e il 1504 è documentato per la prima volta come pittore a Treviso, dove esegue, nel 1505, il Ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi.  Successiva è la grande pala della chiesa di Santa Cristina al Tiveron, una solenne Sacra Conversazione del 1505.

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La Chiesa demolita di Santa Cristina del Tiveron

Nel 1933 fu inaugurata la nuova chiesa di Santa Cristina, eretta in un luogo alquanto discosto dal Sile e dalla vecchia chiesa, che fu, qualche anno dopo, demolita fino alle fondamenta, dopo che ne erano stati trasportati nella nuova arredi suppellettili e opere d'arte. Di questa chiesa demolita non rimangono, a quanto risulta, testimonianze fotografiche: la troviamo tuttavia riprodotta, non è dato sapere con quanta fedeltà, nello sfondo della pala di Sant'Osvaldo, proveniente dalla vecchia chiesa e conservata nella sacristia della nuova parrocchiale. Vi si scorge una chiesetta assai semplice, ad unica navata, fiancheggiata da uno slanciato campanile, sulla sponda del fiume, da cui è separata da un muro digradante; il brano paesaggistico è completato da un altro edificio su un piano più arretrato (si vuole popolarmente trattarsi dell'antico convento camaldolese di San Parisio) e dalla ricca vegetazione delle rive. La pala di Sant'Osvaldo sembra opera del secolo XVII e dunque quella riprodottavi sarebbe la chiesetta di Santa Cristina del Tiveron intorno alla metà del Seicento. Rimane però anche una testimonianza pittorica più recente: una tavoletta ad olio, di proprietà del Parroco, tradizionalmente attribuita a Beppe Ciardi, ce la mostra ai primi del Novecento e, quantunque si tratti di un bozzetto svolto con tratti rapidi e sommari, ci permette di coglierne con sufficiente approssimazione la struttura architettonica. Soccorrono inoltre nella ricostruzione ideale dell'edificio documenti d'archivio e le note storiche pubblicate dal Fapanni e dall'Agnoletti. Infine vaghe tracce del pavimento e dell'abside era dato fino a qualche anno fa riscontrare nel luogo dove sorgeva: che è, come testimonia una vecchia carta della zona, sulla riva sinistra del Sile, circa 600 metri a valle del ponte del Tiveron.

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Lasciamo ora alle nostre spalle la parrocchiale di Santa Cristina e dirigiamoci in direzione est sulla principale. Pedaliamo per circa 450 metri e andiamo quindi a destra in via Chiesa Vecchia per circa 150 metri. Lì giriamo a sinistra e riprendiamo la Treviso- Ostiglia. Facciamo così circa 1,1 km e quindi a destra in via Donatori del sangue. Proseguiamo dritti per 250 metri e poi giriamo a destra seguendo la staccionata di legno. Proseguiamo per altri 0,4 km e all’altezza di un’ampia curva troviamo sulla nostra destra un ponte di legno che segna l’ingresso del Canoa Club di Quinto. Entriamo ad ammirare e a riposarci un po’!
CANOA CLUB
Ritorniamo ora sui nostri passi e proseguiamo sulla nostra destra riprendendo la stradina sterrata lasciata. Proseguiamo per circa 0,8 km seguendo il tracciato che via via si fa più stretto in mezzo alla campagna di Quinto. Finita la stradina giriamo a destra e proseguiamo per altro 0,1 km. Teniamo la destra e ci troveremo davanti ad un mulino: siamo alla rosta di Quinto di Treviso. Il ponte che troviamo davanti è percorribile per 30 metri solo a piedi. Da questo punto d’osservazione davvero piacevole è la vista di splendidi esemplari di cigni reali.
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Ma è questo il luogo anche di due importanti mulini.

 

IL MULINO FAVARO

 

Piacevole, dopo il restauro che lo ha trasformato in ristorante, è il mulino Favaro che conserva, naturalmente inattiva, la suggestiva ruota. In questa zona il Sile si divide in due rami, dando origine ad un’isola ricoperta di vegetazione

MULINO FAVARO

IL MULINO RACHELLO

Situato sulla sponda opposta rispetto al mulino Favaro, ma ad esso collegato mediante una passerella in legno, il Molino Rachello. È l’unico ad essere tutt’ora attivo nel territorio di Quinto. È un mulino a cilindri ad alta macinazione: le ruote sono scomparse dopo che nel ’36 sono state sostituite dalla turbina idraulica e nel ’99 da un generatore termoelettrico.       

RACHELLO
Riprendiamo il nostro viaggio dopo aver gustato questi due splendidi mulini. Dopo aver attraversato il ponte della Rosta, alla nostra destra entriamo in corrispondenza dell’immagine che segue.
INIZIO ROSTA
Ci stiamo dirigendo verso il piazzale degli Alpini ex cave Biasuzzi. Proseguiamo quindi per altri 0,6 km e saremo arrivati al piazzale degli Alpini. Poco oltre usciamo in via Costamala e giriamo a destra. Proseguiamo per circa 1 km e scendiamo a sinistra in via Maggioli. Procediamo in direzione sud per circa 750 metri e quindi dritti a sud dove la strada ora assume la denominazione di via Mestrina. A sud, sud-est per un altro chilometro e mezzo circa e ora la via si chiama via Burchielli. Giriamo ora a sinistra sulla principale a sinistra e poco oltre entriamo a destra in via Pitter. Giochiamo tra queste campagne pedalando per circa 1,5 km. Ora attraversiamo la principale e andiamo in via Michieletto per circa 900 metri e quindi a sinistra in via San Vitale a nord per circa 350 metri. Ora svoltiamo a sinistra e andiamo in via Zagaria per circa 1,6 km sino ad un gruppo di case ove terremo la destra e procederemo a nord per altri 800 metri. Siamo ora sulla provinciale che da Quinto porta a Canizzano e quindi a Treviso. Proprio davanti a noi ecco una stradina che ci porterà dopo qualche metro al Mulino Granello, ora abitazione privata

IL MULINO GRANELLO

Il mulino Granello: uno dei mulini tra Quinto e Canizzano, purtroppo chiuso nel 1985, l’ultimo a esser chiuso, e ora proprietà privata.

GRANELLO
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Torniamo ora in via Giorgione usciti dal Mulino e girando quindi a destra. Pedaliamo per circa 1 km e quindi andiamo a destra in via Contea. Di lì avanti per circa 150 metri sino ad una curva a novanta gradi. Noi andiamo dritti ed entriamo sullo sterrato. Stiamo per arrivare all’Oasi di San Giorgio.

L’OASI DI SAN GIORGIO

“Ciò che più sorprende di quest’incantevole scorcio di Sile, è il luogo in cui è posto: siamo a non meno di duecento metri in linea d’aria dal pesante traffico della Strada Noalese, appena dietro la parrocchiale di Quinto. In pochi attimi, dal catrame al verde, dall’inferno che ci siamo costruiti attorno, all’accenno di paradiso che abbiamo lì a due passi. Quale direzione prendere? Io non ho dubbi. 

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Invertiamo ora la nostra marcia, usciamo in via Contea e andiamo a destra per circa 650 metri: sulla nostra destra ecco la parrocchiale di San Giorgio.

LA PARROCCHIALE DI SAN GIORGIO A QUINTO

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Originariamente cappella comparrocchiale della Pieve di S. Cassiano, l’antica chiesa di S. Giorgio è documentata già nell’anno 1314. Nel corso del XVIII secolo il manufatto è soggetto ad alcuni interventi di modifica e di abbellimento.  Tra il 1925 ed il 1958, viene ricostruita la chiesa intervenendo sulla facciata, ampliando la navata e operando su transetto, absidi, presbiterio e campanile. I lavori vengono seguiti dall’architetto Antonio Beni, che aggiunge una nuova campata. Al posto dell’antica abside viene costruito un nuovo transetto con absidi terminali poligonali. L'attuale chiesa è frutto quindi di numerosi interventi effettuati nel XX secolo, che hanno modificato la facciata e le dimensioni in pianta. Essa, orientata lungo l’asse Est-Ovest, presenta un impianto a croce latina a tre navate. Quella principale è divisa da quelle laterali tramite cinque arcate ad ogiva. Il transetto, aggiunto dopo la ricostruzione della chiesa, termina con due absidi poligonali. Anche il presbiterio, rialzato, si conclude con un’abside della stessa forma e presenta ai lati due deambulatori che si chiudono con delle corte absidi. La facciata principale è in mattoni faccia a vista e si articola secondo un profilo a salienti. La parte centrale ospita il portale d’ingresso, preceduto da alcuni gradini. Questo è sovrastato da una fila di archi ciechi e da un registro decorato in cotto e in pietra bianca. Sopra questo cornicione è inserita una composizione a bassorilievo. La facciata è conclusa da un profilo a capanna annunciato da archetti pensili, dentelli e decorazioni in cotto. Il campanile, posto a Nord, è a pianta quadrata e si raccorda con la chiesa grazie al paramento faccia a vista. L’ingresso, preceduto da una modesta scalinata, trova posto all’interno del basamento lapideo ed è riquadrato con lo stesso materiale. Il fusto è decorato da lesene che mantengono l’unita materica e ospita un orologio. La cella campanaria, in continuità con il fusto, è aperta da una trifora per lato ed è coronata da una copertura a padiglione estremamente ribassata.

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Gli interni della chiesa sono decorati in maniera semplice, con i paramenti intonacati di bianco. Le arcate sono sottolineate da un profilo a dentelli incrociati e poggiano su colonne in pietra rossa. I capitelli sono di altezza ridotta, decorati da piatte volute. Le pareti interne sono aperte da una fila di finestre a tutto sesto che anticipa una fascia decorativa su cui si innesta la struttura a capriate lignee. Le cappelle che ornano le navate secondarie sono delimitate da colonne lapidee sui toni del blu mentre quelle che separano l’abside dal deambulatorio si accordano sui toni del verde. Le absidi del deambulatorio ospitano due piccoli altari dedicati a San Valentino e probabilmente a Sant'Antonio, mentre, in quelle del transetto, sono stati inseriti due altari secondari dedicati rispettivamente alla Madonna di Lourdes alla destra, opera del pittore Carlo Vendramin e del Sacro Cuore con Santa Margherita Maria Alacoque alla sinistra, opera del pittore Mario Barberis. L’opera artistica di maggior rilievo è rappresentata dal trittico di Lodovico Pozzoserrato, che raffigura in tre tele la Madonna con bambino attorniata da angeli, e ai lati Santa Caterina d’Alessandria e Santa Lucia. Quest’opera si trova in sagrestia.

 Nell’abside è presente una pala raffigurante il Crocifisso con i Santi Valentino, Francesco e Borromeo mentre, sopra l’altare è sospeso un crocifisso ligneo dorato. Un altro altare si trova in fondo alla chiesa, di fronte alla Cappella del Battistero, ed è dedicato alla Madonna Addolorata, racchiudendo la statua lignea opera dello scultore Guido Cadorin. Sulla controfacciata è stato ricomposto quanto recuperato del vecchio polittico, simile a quello di San Cassiano, eseguito dallo scultore Paolo Campsa tra il 1520 e il 1530, raffigurante San Sebastiano, Sant’Antonio abate, San Rocco, San Cassiano vescovo e San Giorgio a cavallo che infilza il drago. Sopra, a mezzo busto, si possono identificare i santi ausiliatori originariamente ai lati di una Madonna con bambino, oggi perduta, e il Battesimo di Cristo che completa la composizione. L’ingresso è seguito da una bussola in legno e vetro. Due piccoli affreschi, staccati dalle pareti della vecchia chiesa, sono conservati nella sacristia.

Se ora usciamo dalla chiesa davanti a noi, al di là della strada potremmo notare una piccola via: è via Rosta. La prendiamo! Circa 300 metri più avanti potremmo notare sulla nostra sinistra un passaggio posto nei pressi di un’area attrezzata a parco giochi: stiamo per iniziare una breve ma rilassante camminata tra boschi di città ed acqua di risorgiva. Il percorso ci impegnerà per circa 300 metri sino ad uscire sulla strada Noalese, lì attraversiamo la strada perché proprio davanti a noi potremmo ora ammirare il Mulino Grendene.

I MULINI GRENDENE

L’attività del mulino Grendene, che si trova in via Graziati, vicino alla Chiesa Parrocchiale di S. Giorgio, ha conosciuto un andamento altalenante nel corso del tempo, con lunghi periodi di inattività ed abbandono alternati ad altri di grande operosità, fino al 1784 circa quando il complesso in disuso fu inghiottito dalla corrente. La struttura è stata ricostruita dopo il 1811 ed attualmente è adibita, dopo essere stata restaurata, a centro residenziale. Caratteristico il ponticello di legno che attraversa il fiume a fianco all’ex mulino e che termina a ridosso dell’altro famoso mulino posto sulla sponda destra del Sile, il Bordignon.

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IL MULINO BORDIGNON          

Esso conserva a tutt’oggi il nome del mugnaio (Gaudio Bordignon) che all’inizio del XVIII secolo lo conduceva, allora a tre ruote. Nonostante che a tutt’oggi si possano ammirare le due grandi ruote con pale metalliche, delle quali una è tuttora in movimento, la sua attività molitoria è cessata nel ’92 e già a metà del secolo scorso era stata affiancata l’energia elettrica alla potenza dell’acqua ed erano da tempo state sostituite, con meccanismi più moderni, le originarie macine in pietra

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Lasciamo ora il Mulino Bordignon e torniamo sulla statale noalese. Con un po’ di pazienza percorriamo la regionale per circa 600 metri sino a prendere sulla nostra sinistra via Boiago. Procediamo sempre dritti per circa 1 km e quindi prendiamo a destra il sentiero della Treviso-Ostiglia. Pedaliamo fino alla fine del tratto percorribile per circa 1,8 km e alla fine giriamo a sinistra prendendo Strada Boiago. Facciamo ora 1 km sino a un piccolo borgo e ad un incrocio. Lì giriamo a sinistra e 400 metri dopo eccoci al centro del borgo di Boiago. Continuiamo ora il nostro viaggio che ormai è di ritorno verso il punto di inizio del nostro percorso. Proseguiamo quindi a sud per circa 800 metri e quindi svoltiamo a destra. Siamo ora in via Montello e pedaleremo per circa 400 metri e quindi gireremo a sinistra in via dei Pradazzi. Giù ancora per circa due chilometri buoni e quindi a sinistra in via Biasuzzi per circa 200 metri: lì quasi un’inversione a “u” e quindi a destra ancora una volta sulla Treviso-Ostiglia. La percorriamo per circa 900 metri e usciamo quindi a sinistra in via San Cassiano. Andiamo a sinistra e quindi ancora a sinistra: siamo ora in via Piave. Ancora 500 metri ed eccoci a destra in via Gabriele D’Annunzio. Giù per altri 300 metri ed eccoci quindi nei pressi del Municipio, la fine della nostra pedalata a Quinto di Treviso.
PIAZZA
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