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NERVESA IN BICICLETTA
 

 

Caratteristiche tecniche del percorso
Lunghezza: 68 km
Stagioni: tutte

GALLERIA DI IMMAGINI

TERRITORIO DI NERVESA

Il comune di Nervesa della Battaglia occupa un'area di circa 35 km² e si trova sulle pendici più orientali del Montello. Varia da una altitudine di 58 metri sul livello del mare e arriva ai 207 in zona Santi Angeli sul Montello. Il comune è delimitato a est dal fiume Piave, che proprio in questo punto inizia il suo corso nella pianura veneta, dopo aver attraversato il Quartier del Piave. Il territorio del Comune si estende a sud e ad est verso la pianura trevigiana, a nord e ad ovest assume i tratti del paesaggio collinare tipico della fascia prealpina, con boschi di robinia e querce. Le frazioni e le località sono: Bavaria, Bidasio, Dus, S. Croce, S. Andrea, Sovilla, SS. Angeli.

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IL TERRITORIO.jpeg

ACQUE DI NERVESA

 

Tre sono i principali corsi d’acqua del territorio: La Piave e da essa i canali artificiali denominati: “Canale della Vittoria di Ponente e Piavesella di Nervesa”.

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Piave

Da nord ovest a sud est scorre la Piave, fiume che da qui in avanti inizia il suo vero e proprio percorso in pianura.  La Piave nasce nelle Alpi Orientali e più precisamente nelle Alpi Carniche, alle pendici meridionali del Monte Peralba, nel comune di Sappada, a quota 2.037 m s.l.m. La sua foce è nel Mar Adriatico, a nord-est di Venezia, presso il porto di Cortellazzo fra Eraclea e Jesolo. È il quinto fiume d'Italia per lunghezza. Attraversa Sappada, il Comelico, il Centro Cadore e la Valbelluna in Provincia di Belluno e la pianura veneta nelle province di Treviso e di Venezia.  Nel tratto pianeggiante il fiume perde molta della sua acqua a causa dei prelievi idrici e dell'infiltrazione (il letto può allargarsi fino a diversi chilometri). Nell'ultimo tratto il Piave scorre tra alti argini, costruiti per contenerne le piene. Ripetuti interventi della Repubblica di Venezia tra il 1500 e il 1600, allo scopo di contenere l'apporto di detriti in laguna e l'interramento della principale bocca di porto, ne spostarono ad est la foce all'altezza di Cortellazzo. Nella seconda metà del Seicento i veneziani deviarono il Sile nell'antico alveo del Piave, portandolo a mescolarsi con le acque del suo vecchio ramo prima di sfociare nell'Adriatico tra Jesolo e Cavallino. Questa è la ragione per cui da quelle parti si incontrano ancora paesi che richiamano nel loro toponimo la vecchia sede del Piave. 

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Canale della Vittoria di Ponente

Il canale della Vittoria di Ponente è un corso d'acqua artificiale della provincia di Treviso. Esso si alimenta prelevando parte delle acque del Piave all'altezza di Nervesa della Battaglia (nello stesso punto tra l’altro ove si originano i canali Piavesella di Nervesa e della Vittoria). Segue per un tratto il perimetro meridionale del Montello e a Giavera, dopo l'immissione del canale del Bosco, piega verso sud sfiorando le frazioni di Camalò di Povegliano e Musano di Trevignano. Termina nella zona di Sala di Istrana, alimentando qui tutta una serie di canalette minori fondamentali per il sistema irriguo della zona più a sud. Il canale fa parte di un articolato sistema che assicura l'approvvigionamento idrico della zona posta tra il Piave e Treviso. Comprende, tra gli altri, la Brentella di Pederobba (che si divide nei canali di Caerano e del Bosco), la Piavesella di Nervesa e appunto, il canale della Vittoria. Ideato già nel 1886, il progetto si concretizzò trent'anni dopo grazie all'interessamento della Cassa di Risparmio della Marca Trivigiana. Gli eventi della grande guerra costrinsero a rimandare ulteriormente i lavori e solo nel 1921 venne costituito il Consorzio intercomunale destra Piave-Nervesa per la derivazione del Canale della Vittoria. L'opera fu terminata rapidamente e nel novembre 1925 fu inaugurata alla presenza niente di meno che di Vittorio Emanuele III re d’Italia.

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Piavesella di Nervesa

La Piavesella di Nervesa è un corso d'acqua della provincia di Treviso. È una delle tre diramazioni (le altre due sono il canale della Vittoria  e il canale della Vittoria di Ponente) del breve canale che, all'altezza di Nervesa della Battaglia, preleva circa 25 m³ di acqua al secondo dal Piave, da cui il suo nome: Piavesella appunto! Si immette nel Botteniga poco prima del centro storico di Treviso. È lungo poco più di 26 km. Poiché non è un fiume di risorgiva, ma un canale artificiale, si mostra visibilmente torbido sicché lo stesso Cagnan Grande, diramazione del Botteniga, gettandosi poco dopo nel Sile, crea un interessante fenomeno per cui le acque limacciose dell'uno a fatica si mescolano con quelle trasparenti dell'altro. La realizzazione del canale fu decretata l'8 agosto 1447 per irrigare le aride terre tra Treviso e il Piave. Secondo alcuni storici l'attuale Piavesella è identificabile con quello di un antico corso del Piave che da Nervesa si dirigeva a Treviso: "... è ormai assodato che in tempi remoti il Piave si accompagnava al Sile seguendo da Nervesa il corso dell'odierna Piavesella ..."  (I.Nono, 1931). Tuttavia, fu sfruttata anche per il trasporto del legname e, soprattutto, per muovere mulini, segherie e opifici e, a partire dal Novecento, venne potenziata e vi furono installate anche alcune centrali elettriche. Il primo progetto per un nuovo e più ampio canale, con maggior portata d'acqua, basato sull'antico alveo della Piavesella, risale al 1447 ad opera del notaio e nobile trevigiano Michele da Villorba.  E' di pochi anni successivi, del 1507, la relazione di Fra' Giocondo che descrive le caratteristiche fisiche e tecniche della Piavesella. Nel 1590 si formò, per lo sfruttamento di questo corso d'acqua,  anche un consorzio volontario tra i paesi limitrofi (il Consorzio della Piavesella) e fu così che in questa parte del territorio trevigiano delimitata a nord dall'abitato di Visnadello, ad ovest dalla strada  Pontebbana e a sud dalla Postumia romana, tra il '600 e l'800 troviamo, posti a cavallo del corso d'acqua della Piavesella e nel raggio di alcuni chilometri, numerosissimi opifici, tra cui ben quattro cartiere  tutte proprietà del patrizio veneziano Gritti, ma anche battiferro, segherie, folli da panni. Tra i più antichi siti archeo-industriali della Piavesella va sicuramente citato il sito della Cartiera Marsoni che vede il suo continuativo impiego fin dal 1468. L'antichissima "Cartara da carta strazza" divenne poi nell'800 la Cartiera Marsoni che è ancora attiva e che conta oggi oltre 200 addetti.  La Piavesella con il suo percorso parallelo alla direttrice Pontebbana (la S.S. n° 13), diventerà poi l'asse portante della prima industrializzazione di questo dopo-guerra, anche grazie alla presenza lungo il suo corso di alcune officine elettriche. Ancora nel 1913 rappresentava il secondo corso d'acqua artificiale della provincia, dopo la Brentella, per la presenza di attività industriali con 22 impianti idraulici e 42 industrie che davano lavoro a circa 1.600 operai. Non a caso, ancor oggi attraversa alcune zone industriali (quelle di Nervesa della Battaglia, Arcade, Spresiano, Villorba).

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TOPONIMO

Il toponimo originario (Nervesa, fino al 1923) si ricollegherebbe al nome latino Nerva o Nervinius, forse un proprietario dell'epoca romana. La specificazione “della Battaglia”, aggiunta in epoca fascista, allude ai violenti combattimenti avvenuti lungo il Piave nel giugno del 1918, durante la prima guerra mondiale.

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STORIA (un po’ di storia)

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La preistoria

Grazie alla sua localizzazione alle pendici del Montello e sulle rive del fiume Piave, Nervesa è stata frequentata fin dall’epoca preistorica e vanta alcuni ritrovamenti tra i più antichi della provincia, con materiali litici risalenti al Musteriano rinvenuti in particolare nelle frazioni di Sovilla e Bavaria. Nell’epoca paleolitica media (70.000-40.000 anni fa) la zona del Montello e quindi anche Nervesa era popolata dall’uomo di Neanderthal. Certa è la presenza di insediamenti stabili di epoca Neolitica nella zona a partire dal V millennio a.C., soprattutto nell’area del terrazzamento prospicente al Piave sopra la grotta del Tavaran Grando, dove durante uno scavo dei primi anni del XIX secolo sono stati recuperati più di trecento reperti, conservati al Museo Civico di Treviso. Dagli studi è emerso che l’area ospitava un insediamento piuttosto vasto, databile al 5000 a.C. circa, ma tutte le tracce archeologiche in loco sono purtroppo andate perdute a causa dei combattimenti nella zona durante la Grande Guerra.

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Età del ferro –Paleoveneti

Alcuni ritrovamenti collegabili alla cultura Paleoveneta (Età del Ferro – IX-II secolo a.C.) e la posizione strategica della zona di Nervesa fanno pensare ad una continuità nell’insediamento anche in epoche più recenti, con intensi contatti con le miniere del Cadore e con i centri della pianura. Importanti centri Paleoveneti erano Este e Padova in pianura, mentre per la zona collinare è nota l’importanza di Montebelluna, sita a pochi km dal comune, centro di scambio e controllo tra l’area alpina e quella di pianura. I ritrovamenti sono scarsi e le uniche ipotesi che si possono fare riguardo la presenza di insediamenti sono legate alle potenzialità del territorio, naturalmente adatto allo sviluppo di centri abitati, sia per la vicinanza al fiume e al bosco, con le loro preziose risorse, sia per la localizzazione nei pressi di Montebelluna.

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Epoca Romana

Per quanto riguarda l’epoca Romana, reperti e strutture rinvenuti nella zona sono quasi assenti, anche se si ipotizza la presenza di un piccolo insediamento a carattere agricolo e rurale e si ha praticamente la certezza che l’area fosse centuriata (centuriazione = regolare disposizione, secondo un reticolo ortogonale, di strade, canali e appezzamenti agricoli). Nel corso del XX secolo sono state rinvenute alcune sepolture (tombe ad anfora o a cassetta) durante lavori di scavo agricolo profondo o per lavori edilizi.  Occorre ricordare che nel corso del II secolo dopo Cristo, con l’accentuarsi del pericolo costituito dai Galli, la politica espansionistica di Roma portò al controllo totale da parte dei romani di tutta la Pianura Padana. Nervesa entra in questa logica ed era parte di tutta quell’area che va da Treviso al Montello che si chiama agro trevigiano. Il territorio di Nervesa in particolare era attraversato dal penultimo decumano che correva ai piedi del Montello e le cui tracce sono rilevabili nel tratto coincidente con la attuale via Generale Asclepio Gandolfo.

IL PENULTIMO DECUMANO ROMANO.jpeg

Il decumano collegava il Porto sul Piave in Borgo Piave a Sant’Andrea. È il confine più importante e qui si attrassero quindi gli insediamenti più antichi di Nervesa e cioè Sant’Andrea e Borgo Piave. Degno di nota il sito di Sant’Andrea, area che sembrerebbe essere stata occupata tra il I e il II secolo d.C. da un edificio rustico con funzioni abitative e produttive e da una probabile area sepolcrale correlata. La stessa area presenta segni di rioccupazione nel IV secolo d.C., con l’esistenza di una parte residenziale e una produttiva, anche se la documentazione archeologica è sempre molto ridotta. Da segnalare la vicinanza di Nervesa all’ ipotesi di tracciato della Via Claudia Augusta Altinate.

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La via Claudia Augusta

È una strada romana la cui realizzazione risale alla prima metà del I secolo d.C. Tradizionalmente si ritiene sia stata costruita per mettere in contatto il mondo romano con quello germanico, partendo dalla Pianura Padana e raggiungendo, attraverso le Alpi, il Danubio in Baviera. La sua costruzione più precisamente è stata avviata nel 15 a.C. da Druso, generale di Augusto, durante alcune campagne militari che portarono alla conquista dei territori della Rezia e della Vindelicia (cioè il Tirolo occidentale e la Germania meridionale). È stata ampliata e quindi ultimata nel 47 d.C. da suo figlio, l'imperatore Claudio, dal quale ha preso poi il nome.

LA CLAUDIA AUGUSTA A NERVESA.jpeg

Prime tracce documentali: i Collalto

La prima indicazione documentale del nome di Nervesa (Nervisia) risale ad una bolla imperiale risalente al 954 d.c. e conservata presso l’archivio di stato di Rokycany in repubblica Ceka attestante l’avvenuta donazione del territorio da parte dell’imperatore Ottone III ai conti imperiali di Treviso, Regimbaldo di Treviso, poi divenuti Conti di Collalto. È da qui che inizia la storia scritta di Nervesa, legata intimamente ai Conti di Collalto, ai possedimenti ed al castello dominante la pianura posizionato sulle colline di Susegana. Storia intimamente legata ai centri religiosi, determinati dai Collalto, dell’Abbazia di Nervesa (di S. Eustachio) fondata nell’XI sec. e dalla Certosa del Montello presso la presa n. 4 sul Montello. Qui fu ritrovata, ed ora conservata presso il Castello di Collalto in Susegana, la tomba romana del liberto Ragoniae Tertulae del I° sec. d.c. attestante la presenza romana in un sito collocato in posizione predominante e quindi molto probabilmente fortilizio romano a difesa del territorio in cui gli agrimensori romani costruirono il contesto agricolo durante il I° sec. d.c. denominato centuriazione nord di Treviso.

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Il dominio della Serenissima, i boschi e la pubblica osteria di Nervesa

La Repubblica di Venezia entra in gioco nel 1339 con l’asservimento della Marca Trevigiana alla Serenissima e quindi alla giurisdizione diretta della Repubblica sul territorio. È con provvedimento del 1470 (“provisio quercuum”) che veniva riservato all’Arsenale il patrimonio forestale del Montello e più precisamente con il decreto del 27 dicembre 1471 in cui il Consiglio dei Dieci riservava la totalità del patrimonio boschivo disponendo pene severissime contro chi osava tagliare alberi entro tale territorio. La qualità del legname e la vicinanza strategica del bosco alle vie fluviali del Piave erano fondamentali per la Repubblica e per il suo arsenale. Il bosco venne persino recintato nel 1591! E al controllo di questo patrimonio furono creati da Venezia degli appositi Provveditori che non si limitavano al controllo del bosco, ma ai quali vennero affidate tutta una serie di incombenze in ordine alla vita quotidiana e alla sopravvivenza delle popolazioni compresa la vendita di generi alimentari di prima necessità come il pane ed il vino attraverso la pubblica osteria di Nervesa. La pubblica osteria era di giurisdizione demaniale; veniva affittata a privati con vere e proprie gare d’appalto e contratti di cinque anni. Ai conduttori veniva riservata in via esclusiva la vendita di pane, vino, carni e latticini. Ma già sotto i Collalto il bosco cominciò a subire diversi attacchi da parte delle popolazioni che, spinte dalle misere condizioni e dal bisogno attentavano continuamente alla integrità del bosco stesso tagliando alberi e disboscando.

 

La fine della Serenissima e l’ottocento

Il dominio della Serenissima perdurò per molti secoli fino alla sua caduta per mano napoleonica. Proprio sul Montello si svolse una delle numerose battaglie per la conquista del territorio. Il bosco, per la verità, continuò ad essere preservato anche sotto la dominazione austriaca continuando a dare cospicue forniture di legnami a Venezia dominata. La morte dell’antica foresta avviene dopo la costituzione del regno d’Italia e precisamente ad opera di una legge istituita nel 1892 dal parlamento Italiano. La legge Bertolini aveva l’obbiettivo di concedere, alle popolazioni residenti attorno alla collina, dei terreni in cui sviluppare un’agricoltura, che per la forte acidità dei terreni e l’intenso carsismo, non avrebbe avuto nessuna possibilità di sviluppo anche in una economia di bassissima energia. Le popolazioni ridotte alla fame (“bisnent” – due volte niente-) avevano come unico sostentamento, il valore del bosco, cioè legnami e frutti, che in pochissimo tempo fu ridotto ad una landa desolata.

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Il Novecento

All’inizio del secolo scorso l’attività prevalente di Nervesa è l’agricoltura, che scandisce anche i ritmi della vita sociale del paese: il mercato del lunedì, preziosa forma di commercio ambulante che consente alle popolazioni di acquistare attrezzi, oggetti d’uso comune e derrate a volte di difficile reperimento; e quindi la sagra di San Girolamo di fine settembre, il Fogaron di Sant’Antonio a Sovilla e le processioni religiose e propiziatorie delle maggiori festività cristiane legate ai cicli di lavorazione della terra. Ma anche il commercio non è da meno in queste zone, perché Nervesa è porto per le zattere che dal Cadore portano merci e materiali in pianura. È un passo barca per le merci da e per la sinistra Piave. Questa posizione combinata al clima salubre favorisce l’insediamento nell’area di famiglie ricche o nobili che qui vi edificano o riadattano suntuose ville come Villa Soderini-Berti, Villa Volpato Panigai, Villa Sfoglio Antonini, Villa “La Rotonda” Bidasio e Villa Battistella.

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La prima guerra mondiale

Il paese di Nervesa venne completamente distrutto durante la prima guerra mondiale, essendo situato sulla linea del fronte nel corso della battaglia del Piave o Battaglia del Solstizio svoltasi tra il 15 e il 21 giugno del 1918. Il conflitto arrivò a Nervesa subito dopo la disfatta di Caporetto ai primi di novembre del 1917. Le popolazioni dei paesi che si trovavano lungo il fiume Piave vennero allontanate in luoghi più sicuri nelle retrovie e disperse praticamente in tutta la penisola italiana. Le prime cannonate del nemico giunsero sulle case ormai abbandonate già in quel tragico novembre. Ottenne la Medaglia d’Oro al Merito Civile poiché «centro strategicamente importante tra il Piave ed il Montello, durante la prima guerra mondiale, fu teatro di violenti scontri tra gli opposti schieramenti che causarono la morte di numerosi concittadini e la totale distruzione dell'abitato. La popolazione costretta allo sfollamento e all'evacuazione, nonché all'abbandono di tutti i beni personali, dovette trovare rifugio in zone più sicure, tra stenti e dure sofferenze. I sopravvissuti seppero reagire, con dignità e coraggio, agli orrori della guerra e affrontare, col ritorno alla pace, la difficile opera di ricostruzione. Ammirevole esempio di spirito di sacrificio ed amor patrio». Durante il fascismo venne aggiunto "della Battaglia" al nome ufficiale del comune, in ricordo di questi avvenimenti.

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(Rovine del Municipio a seguito dei bombardamenti della prima guerra mondiale)

Il primo dopoguerra e la ricostruzione

La battaglia del Solstizio in particolare aveva causato la completa distruzione del borgo di Nervesa e di parte di quello di Sovilla. Al loro ritorno i profughi di Nervesa, finita la guerra non trovarono che cumuli e macerie. Il rifugio fu costituito da un sistema di baracche mandate dal Governo. Due anni dopo la fine del conflitto erano ancora molti i cumuli e le macerie in giro e molti giovani nervesani scelsero la via dell’emigrazione. La miseria era davvero tanta al punto tale che Nervesa venne definita “il paese dei sachet”, perché molti poveri vivevano elemosinando un pugno di farina che raccoglievano in un sacchetto di tela. Ma era necessario ripartire e a questo contribuì in maniera importante sia per l’impiego di manodopera che per gli effetti sulle colture, la costruzione terminata nel 1923 del Canale della Vittoria.

MESSA IN INAUGURAZIONE DEL CANALE ELLA VITTORIA 1923.jpeg

 In quegli anni venne poi riedificato come era il palazzo municipale, rifatta la chiesa parrocchiale e, in altro luogo la nuova chiesa di San Nicolò (1926) dedicata quindi al patrono degli zattieri.  Si costruì un opificio industriale e cioè la filanda, di fondamentale importanza per l’economia di questa zona anche perché occupava manodopera femminile altrimenti esclusa dal grande ciclo produttivo.

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La seconda guerra mondiale

Durante la seconda guerra mondiale Nervesa, come molti altri paesi della Provincia fu ai margini delle grandi vicende del conflitto. In particolare ricordiamo qui alcune circostanze avvenute dopo l’occupazione tedesca all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943. A Sovilla per esempio venne creato un ufficio dell’organizzazione Todt che sovraintendeva a lavori di ripristino e realizzazione di installazioni belliche. L'Organizzazione Todt fu una impresa di costruzioni che operò, dapprima nella Germania nazista, e poi in tutti i paesi occupati. Creata da Fritz Todt, (Ministro degli Armamenti e degli Approvvigionamenti), l'organizzazione operò in stretta sinergia con gli alti comandi militari durante tutta la seconda guerra mondiale, arrivando ad impiegare il lavoro coatto di più di 1.500.000 di uomini e ragazzi.

Il principale compito dell'impresa era la realizzazione di strade, ponti e altre opere di comunicazione, vitali per le armate tedesche e per le linee di approvvigionamento, così come della costruzione di opere difensive: la Linea Gustav e la Linea Gotica sono alcuni significativi esempi delle opere realizzate dall'Organizzazione Todt.  A fronte di un esiguo numero di ingegneri e tecnici specializzati, gran parte del "lavoro pesante" era realizzato da un'enorme massa di operai (più di 1.500.000 nel 1944), molti dei quali prigionieri di guerra, detenuti nei lager. Da ricordare altresì che nella casa del Fascio, per un piccolo periodo si insediò un reparto della polizia militare tedesca.  Ma sono anche gli anni in cui si organizza la liberazione; da ricordare l’incontro tra Partito d’Azione, Partito Comunista e Partito Liberale avvenuto nel 1943 in canonica a Sovilla ove si costituì uno dei primi Comitati di Liberazione del Veneto.

 

E torniamo al territorio…

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GROTTE DEL MONTELLO

Da sempre le grotte hanno esercitato un fascino misterioso sull'uomo, che ad esse ha iscritto molteplici significati: dal culto della vita con il dio Mitra e con la Sacra Natività, a quello della morte, con l'identificazione in esse degli inferi o delle tane dei draghi. Sul Montello, l’attività della natura e il trascorrere del tempo, modellarono il colle con ampie valli a “V” nei versanti centrali, e numerose doline sulla sua superficie, mentre il lavoro di erosione andava a formare le grotte nel sottosuolo. L'esplorazione delle grotte del colle è un'attività relativamente giovane, che iniziò a cavallo tra 1'800 e il `900. Infatti prima di allora il colle era un'area di demanio, prima della Serenissima Repubblica di Venezia e poi dell’Impero Austroungarico. Oltre 60 grotte naturali possono essere ammirate poiché comunicanti con l'esterno e per lo più accessibili all'uomo. Le loro dimensioni variano da pochi metri fino agli oltre 8 km del "Castel Soto Tera", una delle più grandi grotte al mondo in conglomerato. Numerose di queste cavità, prevalentemente sul versante settentrionale, furono impiegate come ricoveri o postazioni durante la Prima Guerra Mondiale e alcune recano ancora le opere di fortificazione che le hanno profondamente trasformate. Ad esse si affiancano anche diverse cavità artificiali costruite nello stesso periodo ed adibite a postazioni di mitragliatrici o usate come osservatori.

Ma gli ambienti carsici, come il Montello, sono anche ricchi di sorgenti e queste sono presenti in gran numero, sia alle quote più alte che lungo la base. L'abbondanza di acqua e di ricoveri naturali favorì la presenza dell'uomo fin dalla preistoria e numerosi reperti latici, qui ritrovati, sono visibili nei musei locali a testimonianza degli antichi cacciatori.

Ebbene Partiamo e facciamo conoscenza con questo territorio così carico di storia e natura! Il punto di partenza scelto è quello del municipio e cioè Palazzo Volpato Panigai.

PALAZZO PANIGAI VOLPATO IL MUNICIPIO

IL MUNICIPIO - PALAZZO PANIGAI VOLPATO (4).jpg

Palazzo Volpato Panigai è stato costruito alla fine del XVII secolo. Il progetto è opera dell’architetto Pietro Simoni. In origine sorgeva in un giardino (parte dell’attuale Piazza La Piave) e vi si accedeva attraverso una maestosa scalinata (parzialmente oggi visibile). Il Palazzo rimane di proprietà della famiglia Volpato Panigai fino al 1893, quando la vendono a Bernardi. Il 18 Dicembre 1909 il Palazzo viene acquistato dal Comune di Nervesa per destinarlo a sede Municipale. Durante la Battaglia del Solstizio (15-23 Giugno 1918) fu raso al suolo. Fu ricostruito com’era, con il solo rialzo di un piano della torre, e inaugurato il 15 giugno 1923. L’aspetto attuale è dovuto ad un intervento di ristrutturazione progettato dall’architetto Toni Follina e ultimato nel 1998.

 

Le opere

I Monocromi del Tiepolo.

Nel 1754 vengono eseguiti da Giandomenico Tiepolo gli affreschi nella sala dei Satiri. Si tratta di 22 monocromi ad affresco di carattere mitologico, il cui nucleo principale è ora conservato alle Gemäldegalerie di Berlino. Questi affreschi si conservarono miracolosamente dalle bombe in quanto agli inizi del ‘900 vennero staccati dal muro e venduti dal mercante veneziano Antonio Carrer al Museo dell’imperatore Federico a Berlino. 

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I tre tondi di Paolo Scarpa.

Gli affreschi che arricchiscono il portico d’ingresso sono opera del maestro Paolo Scarpa; sono tre tondi, il primo rappresenta la storia (abbazia e Collantino di Collalto, Gaspara Stampa, Monsignor della Casa e un frammento del monocromo di Giandomenico Tiepolo), il secondo rappresenta Nervesa rinata dopo la 1^ Guerra Mondiale, il terzo rappresenta il futuro di Nervesa (con al centro la riproduzione della struttura sospesa nel salone al piano primo). Nel salone centrale è infatti inscritta una struttura appesa a forma di diamante realizzata in acciaio e legno subito battezzata dalla comunità “il lampadario”

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Dall’altra parte della strada la sede della Biblioteca Comunale.

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Visitato Palazzo Volpato, diamo le spalle al suo ingresso e ci rechiamo a destra in via (Piazza) del Piave; qualche metro in forte salita e alla nostra destra ecco la chiesa di San Nicolò.

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CHIESA DI SAN NICOLO’

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San Nicolò del Borgo Piave era un antico capitello dei barcaioli e degli zattieri, e diventa Oratorio all’inizio del XVII secolo. Dopo il 1917 Nervesa diviene uno dei punti più bersagliati dal nemico e, nel giugno del 1918, l’oratorio si trova nel centro della battaglia del Solstizio subendo la sua distruzione. A guerra finita si stabilisce di erigere una nuova chiesa sullo spalto del paese, di fronte al fiume Piave, su progetto dell’Ing. Gino Pillon. La chiesa di S. Nicolò è in stile romanico a navata unica scandita da otto campate e abside a forma semicircolare rialzata rispetto all'aula di tre gradini. La facciata è in mattoni faccia a vista su tutta l’altezza, ad eccezione della fascia inferiore sulla quale sembrano essere stati rimossi. Sopra il portale d’ingresso è presente un rosone vetrato inquadrato da una cornice alla quale sono collegati dei piccoli pilastrini che s’incontrano verso il centro, posizionati a raggiera. In sommità è presente una decorazione ad archetti, e in cima alla copertura un crocifisso.

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Ora scendiamo in direzione sud e andiamo a destra in via Rimembranza. Proseguiamo per 100 metri e quindi a sinistra in via Cortivi. Avanti per 200 metri e quindi a destra in via Zateri per 300 metri. Ora a destra ancora e avanti per 100 metri. Sulla nostra destra il Sacello di Sant’Andrea. 

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ORATORIO DI SANT’ANDREA

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La chiesa è nominata, insieme alle cappelle di San Giovanni e di Sant'Andrea nella bolla di Gregorio IX dell’anno 1231 che riconosce le chiese di giurisdizione della Badia Nervisiana. L’Oratorio di Sant’Andrea è molto semplice, ha facciata con timpano triangolare, un portone centrale in legno e ai lati due finestre con inferriate. Internamente, sotto l'imposta delle travi in legno a vista, lungo tutto il perimetro, è presente una fascia di decorazione affrescata, mentre lungo i lati più lunghi sono presenti due finestre ad arco riquadrate da un sottile bordo dipinto in color mattone.

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Torniamo ora sui nostri passi e ci dirigiamo in direzione est su via Brigata Piemonte. Circa 300 metri più avanti transitiamo su un ponte ove sotto passa il Canale della Vittoria di Ponente. Andiamo ancora avanti per 100 metri e alla rotonda teniamo la prima uscita. Ora si va a sud per 300 metri e ora a sinistra sullo sterrato: siamo sulla Tradotta.

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LA TRADOTTA

La Tradotta è la pista ciclopedonale che collega Montebelluna a Bidasio. E’ stata denominata La Tradotta in quanto la linea ferroviaria, di cui segue il tracciato, fu realizzata per la Prima Guerra Mondiale e ricopriva gli ultimi km percorsi dalle tradotte militari, prima di andare in Guerra.

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Entriamo e andiamo a sinistra per circa 1,7 km e usciamo ora a sinistra in via Madonnetta. Siamo nel tracciato della antica Claudia Augusta Altinate. Facciamo 300 metri e all’incrocio giriamo a destra per qualche metro. Ora prendiamo a sinistra la ciclopedonale. (Sulla nostra destra il grande complesso coperto). Siamo nei luoghi della ex Villa la Rotonda di Bidasio. Siamo in località Bidasio.

VILLA BIDASIO - LA ROTONDA

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Quello che resta della villa si trova nella omonima località di Bidasio. La famiglia Priuli la fece edificare agli inizi del XVII secolo ed era composta da due edifici identici disposti in modo speculare rispetto ad un viale di accesso centrale che terminava in una edicola. L’area di pertinenza della villa era racchiusa da un muro semicircolare, all’‟esterno si trovava la chiesa dedicata alla Madonna del Rosario e gli edifici destinati a cantina e granaio e alcune case dei contadini. I due fabbricati, identici nella dimensione e nella fattura erano molto probabilmente uno destinato a residenza e uno destinato a magazzino. La proprietà passo ai Foscarini, poi ai Verri e in ultima ai Bidasio degli Imberti. Un fabbricato venne distrutto  però, già alla fine del settecento, mentre l’altro subì gravi danni durante la Battaglia del Solstizio (15-23 Giugno 1918) e fu successivamente demolito. Oggi del complesso originario rimane parte del muro semicircolare che circondava il complesso, l’ingresso del viale monumentale, la Chiesa del Rosario, l’edicola e la cantina e il granaio e alcune case di contadini. L’area oggi, è per gran parte di proprietà del Comune di Nervesa. Della villa oggi non rimane nulla.

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Nei pressi, sul lato sud una stele a ricordo degli avvenimenti della prima guerra Mondiale

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Tenendo la sinistra sempre sulla ciclabile ecco sempre a sinistra l’Oratorio della Madonna del Rosario.

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LA CHIESA DELLA MADONNA DEL ROSARIO

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La Chiesa dedicata alla Madonna del Rosario sebbene ha subito gravi danni durante la 1^ guerra mondiale è stata ricostruita e conserva al suo interno un altare in marmo attribuito al Comin.

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Continuiamo dritti per 600 metri e quindi svoltiamo a sinistra in via XXIV Maggio. Circa 1,8 km più avanti ecco il Capitello di Sant’Antonio

 

CAPITELLO DI SANT’ANTONIO

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A ricordo di un antico “compitum” cioè di un tempietto ai Lari protettori poso solitamente all’incrocio tra un cardine e un decumano.

Davanti a noi in direzione nord ecco una strana barca di ferro.

BARCONE GENIO PONTIERI

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Andiamo avanti e attraversiamo la strada cominciando poco dopo a pedalare sul lato sinistro del canale.

Andiamo avanti per circa 500 metri e quindi a sinistra in via Annunziata Colmello. Fatti circa 200 metri sulla nostra sinistra quel che resta di Villa Soderini Berti.
 

VILLA SODERINI BERTI

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La Villa si trova in Piazza Berti e chiude prospetticamente Via Tiepolo in direzione Sud. L’edificio originario fu costruito alla fine del ‘400 dalla famiglia di Gerolamo da Bologna, letterato e poeta, e successivamente nel ‘700 da Gaetano Soderini, che l’ampliò e la trasformò in una fastosa residenza con affreschi di G.B. Tiepolo, A. Canal, F. Zugno, Canaletto e stucchi del Mengozzi-Colonna e altri artisti dell’epoca. Il complesso della Villa era costituito da un edificio centrale articolato su tre piani e due avancorpi laterali di due pani. Era completata poi da un vasto giardino con un laghetto ed un oratorio. Successivamente passò alla famiglia Berti. Fu il luogo dove si combatté buona parte della battaglia di Nervesa. Il 26 Novembre 1917 una granata incendiaria austriaca colpì la Villa e successivi colpi di artiglieria la ridussero ad un cumulo di macerie. Oggi della Villa non rimane che l’ala destra che dà su piazza Berti e qualche frammeto di affresco.

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( La villa prima del bombardamento del 1917)

Andiamo avanti sull’incrocio e ora a destra su via Roma per 400 metri. Al semaforo andiamo a destra per 100 metri. Ora a sinistra e sulla destra ecco il Monumento all’artigliere.
 

IL MONUMENTO ALL’ARTIGLIERE

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Andiamo ora avanti per 300 metri. Siamo nei luoghi del vecchio porto fluviale Veneziano e del grande sbarramento.

 

LO SBARRAMENTO DI NERVESA

La presa del Consorzio Destra Piave, ultimata nel 1925 è il risultato di una lunga battaglia portata avanti dalla tenacia dello scrittore trevigiano Antonio Caccianiga e dal nipote avv. Gino Caccianiga, fondatore tra l’altro della Cassa di Risparmio della Marca Trevigiana, che dopo anni di lotte, riuscì ad ottenere l’approvazione dell’opera da parte del Governo con un parziale contributo.

L’opera iniziale consisteva nella realizzazione di una rosta in calcestruzzo ancorato con una tripla fila di palificate legate tra loro, una diga in calcestruzzo rivestito in roccia, un callone di scarico ed il vero e proprio edificio di presa in cui erano inserite le paratoie di derivazione per il canale irriguo denominato “Canale della Vittoria”.

L’acqua derivata serviva, oltre che per l’uso irriguo, anche per l’alimentazione di due centrali idroelettriche ricavate da due salti d’acqua ricavati sul canale Priula, successivamente cedute alla S.A.D.E. (ora ENEL). Da qui derivano le sue acque il Canale della Vittoria di Ponente e la Piavesella

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Torniamo sui nostri passi per 100 metri e andiamo a destra sul ponte, quindi a destra ancora: siamo in via Battistella. Circa 200 metri più avanti siamo in Piazza San Nicolò.

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PIAZZA SAN NICOLO'

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Qualche metro più avanti possiamo ora ammirare la grande struttura del Canale della Vittoria da qui si dipartono i tre grandi canali irrigui destinati alle campagne a sud.
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Qualche metro più avanti ancora il grande invaso creatosi a seguito della costruzione dello “SBARRAMENTO – DIGA”.
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Finita piazza san Nicolò, comincia un tratto che corre dapprima lontano e quindi a ridosso del Piave.
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La prima tappa dopo circa 500 metri è sulla nostra sinistra ma francamente poco visibile perché posta più in alto entro il bosco, la sorgente del Caseon.

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LA SORGENTE DEL CASEON

Siamo in realtà alle basi di quella che qui si chiama Riva dei Croderi

 

RIVA DEI CRODERI

Si chiama così per identificare quella parte della “scarpata di Nervesa”, ove per secoli si è sfruttata una sorta di cava di roccia conglomeratica. Blocchi o “crode” sfruttati per le costruzioni (materiale che presenta forti connotazioni cementizie).

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Circa 600 metri più avanti seguendo l’indicazione a destra potremmo entrare nell’area della Fondazione Jonathan Collection Aerei che troveremo dopo circa 500 metri.

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LA FONDAZIONE “JONATHAN COLLECTION”

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La Fondazione “Jonathan Collection – Aerei Storici Famosi – O.N.L.U.S.” è una organizzazione costituitasi con lo scopo di divulgare la memoria storica dell’aviazione e di promuovere l’attività di volo come valore storico e sociale. Tra gli obiettivi dell’organizzazione vi è il mantenimento del patrimonio storico aeronautico e mostrare in volo i velivoli d’epoca che sono ospitati all’interno di una preziosa struttura unica al mondo: l’hangar Bessoneau Tipo H, ultimo esemplare originale della prima guerra mondiale ad essere impiegato in questa funzione.

 

Ritorniamo sui nostri passi, usciamo dall’area della fondazione e ripresa la principale teniamo la destra. Facciamo ora circa 3 km in falso piano con lo scorrere intenso della Piave sulla nostra destra fino a cominciare una salita in mezzo al bosco.

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Dopo circa 100 metri ci ritroveremo in mezzo al bosco intenso e nei pressi del Bunker Busa de Banes

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IL BUNKER BUSA DE BANES

Il bunker racchiudeva una postazione di mitragliatrici scavata all’interno di uno sperone di roccia, denominato storicamente “Busa de Banes”, con un’entrata, nel lato sud, a ridosso della scarpata del Montello ed un’apertura, nel lato nord, verso il Piave, dove erano posizionate le mitragliatrici puntate contro il nemico. 

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Torniamo sui nostri passi e riprendiamo a salire tenendo la nostra destra. La salita è molto ripida e ci vuole pazienza (magari scendiamo dalla bici per un po’). Ancora 300 metri e usciremo dal bosco (l’ultimo tratto è ripidissimo). Sulla nostra destra poco oltre una casa: è la casa De Faveri.

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CASA DE FAVERI

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Questa casa fu in prima linea durante la Battaglia del Solstizio e venne adibita ad ospedale dalle truppe austro-ungariche. Nel 2012 questo luogo fu scelto per ambientare alcune scene del documentario "My name is Ernest Hemingway e l’Italia" che narra le vicende venete del celebre scrittore.

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Teniamo ora la sinistra in via Lama…

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Facciamo 500 metri e alla nostra sinistra ecco la parrocchiale di Santa Croce.

 

CHIESA DEL SANTISSIMO REDENTORE SANTA CROCE DEL MONTELLO

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La prima chiesa di Santa Croce viene costruita a partire dal 1899 ed aperta al culto il 14 settembre 1900, durante l'Anno Santo del Redentore. La chiesa, in stile neoromanico, è costituita da un'unica navata, il presbiterio e due cappelle laterali. La chiesa viene ricostruita dopo il primo conflitto mondiale sulle stesse fondamenta della precedente, quasi totalmente distrutta, della quale rimangono soltanto la sacrestia ed alcune murature. Negli anni trenta del Novecento l'edificio viene ampliato con le navate laterali ed il campanile. Al suo interno due cappelle: a destra quella dedicata alla Vergine Maria, costituita da un altare con tabernacolo e ciborio, a sinistra quella dedicata a Sant'Antonio da Padova. La chiesa sorge in un luogo un tempo dedicato alle rogazioni presso un capitello che era preesistente alla chiesa stessa.

 

Sull’altro lato della strada il monumento dedicato a E.A.Mario, autore dell’Inno del Piave.

 

MONUMENTO A E.A.MARIO

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SCENDIAMO IL MONTELLO

Teniamo ora la sinistra in via VIII Armata. Riprendendo via VIII Armata scendiamo per 4,4 km e quindi a questo punto giriamo a sinistra per 200 metri. Prendiamo ora a destra la provinciale per 900 metri sino a giungere a vedere sulla nostra sinistra l’Oratorio di Sant’Antonio Abate.

 

ORATORIO DI SANT'ANTONIO ABATE

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Nel 1649 il Comune di Nervesa fa costruire l’Oratorio sopra il preesistente la cui datazione non è rilevata. In tale occasione viene dedicato a S. Antonio Abate e all’Addolorata. La chiesa viene ricostruita tra il 1917 e il 1919 a seguito dei danni di guerra. L'edificio è costituito da un'aula a navata unica a base prismatica, da un presbiterio quadrato rialzato rispetto all'aula di uno scalino e da una sacrestia che si sviluppa sul lato destro del presbiterio dalla quale si accede al campanile. La parete dietro l'altare è addossata ad un immobile di altra proprietà. La facciata principale è tripartita in quanto segue l’andamento della pianta semiesagonale. Presenta, nella parte centrale, un portone d’ingresso in legno rialzato di tre gradini rispetto al sagrato e sormontato da un timpano triangolare con inscrizione al suo interno.

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Scendiamo ora in via Lasinio per circa 300 metri e dopo aver superato un ponte sul Canale della Vittoria, teniamo la destra ed entriamo nel percorso della “Tradotta” per circa 1,3 km. Ora a destra per 150 metri. Superiamo la Regionale Schiavonesca e procediamo dritti in via Palazzina.Proseguiamo in direzione nord per 600 metri. Poco oltre l’incontro con il Canale della Vittoria di Ponente

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E quindi a destra in via Francesco Baracca. Circa 1,4 km più avanti sulla nostra destra la Parrocchiale di Nervesa.

CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA (la parrocchiale di Nervesa)

La Chiesa di San Giovanni Battista è stata edificata tra il 1583 e il 1585 sopra un preesistente oratorio risalente al XIV secolo. È una basilica a pianta rettangolare a tre navate divise da file di pilastri con copertura in capriate di legno sostenenti un tetto a due falde con la navata centrale più alta di quelle laterali. L'edificio è in stile neo-rinascimentale con facciata principale scandita da paraste e una sorta di doppio ordine di paraste con capitello corinzio. Ai lati del portone d’ingresso, tra due paraste, sono presenti due nicchie ad arco e, in corrispondenza degli ingressi laterali sopra le porte d’accesso, sono presenti delle finestre ad arco in vetro colorato. Il prospetto termina nella parte centrale con un timpano triangolare dentellato sul cui vertice è posizionato il crocifisso.

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Internamente la copertura delle navate laterali è a volta a crociera, mentre la copertura della navata centrale è a botte; il transetto posto al termine delle navate, presenta una copertura a botte della stessa altezza della navata principale: nell'intersezione tra il transetto e la navata si erge una cupola semisferica con sovrastante cupolino finestrato.

 

Le opere

L’interno della cupola è decorato con disegni geometrici e figure di angeli, mentre nella copertura dell’abside è raffigurato il battesimo di Gesù sulle rive del Giordano con ai lati due angeli e sopra la scena del battesimo è raffigurata una colomba, rappresentante lo Spirito Santo.

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Sulla sinistra ecco l’accesso per l’Abbazia di Sant’Eustachio. Ci si arriva a piedi lasciando la bici per un po’.


L’ABBAZIA DI S. EUSTACHIO (LA PIU’ ANTICA CHIESA MONASTICA DEL TREVIGIANO)

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L’Abbazia, costruita nei primi anni del XI secolo per volontà di Rambaldo III di Collalto, è stata donata ai monaci benedettini e diventata quindi da quell’epoca un insediamento monastico. Dedicata a S. Eustachio, soldato-martire protettore dei combattenti, ha avuto essa stessa un destino di distruzione. La leggenda vuole che custodisse la reliquia del braccio di S. Eustachio. Grazie alle ricche dotazioni di Rambaldo III, signore e conte di Treviso, l'insediamento originario accresce d'importanza e diviene sede di un importante cenobio di monaci Benedettini-Cassinesi ed assoggettato all'ordine direttamente controllato dal papato. Con i potentissimi Conti di Collalto, le cui proprietà si estendevano per gran parte dell'alta provincia di Treviso e su tutto il Montello, il monastero diviene una importantissima Abbazia meta di pellegrinaggi e "ritiri" per i potenti personaggi locali oltre che luogo di fede per le genti del Montello e della pianura d'innanzi. La guerra Guelfo-Ghibellina del 1229 non trascurò nemmeno questa oasi di fede, anzi fu pretesto per distruzioni e saccheggi, e vide tra i protagonisti Ezzelino III da Romano che a quel tempo stava per imporsi come il più importante personaggio dell'orizzonte veneto e cardine della svolta filosofico-politica tra profondo medioevo e prime luci rinascimentali. Una seconda distruzione avvenne durante la guerra tra le truppe imperiali Ungare e le armate della signoria Trevigiana nel 1358. Come sempre gli instancabili monaci non si persero d'animo e ristrutturarono ed abbellirono prontamente l'abbazia.

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Quindi il lungo periodo di pace proprio mentre si rafforzava prepotentemente il "dominio di terra" della Serenissima (Venezia). Ospiti illustri si ritirarono tra le austere mura monastiche, tra essi Monsignor Della Casa, noto per aver scritto il primo libro sul galateo, le buone maniere e la buona educazione (dei nobili... ovviamente). Fu quello del 1509 l'anno più critico per la Serenissima, una grande crociata, la Lega di Cambrai, capeggiata da Massimiliano d'Austria, devastò il Veneto e s'infranse sulle possenti difese erette a Padova e a Treviso. Venezia fu ad un soffio per essere conquistata e distrutta. Anche a seguito di questi avvenimenti, nel 1521 si ebbe una gravissima crisi istituzionale tra repubblica ed istituzioni religiose. L'abbazia venne soppressa e sciolto il monastero, gli edifici furono ridotti a semplice luogo di culto. Fu l'inizio del decadimento e dell'inevitabile rovina. Nei primi anni del 1800 il colpo di grazia dovuto all'invasione napoleonica e al successivo palleggiare tra governo austriaco e Regno Italico. Tutti i diritti religiosi e le proprietà ecclesiastiche vennero confiscate e spogliate, gli ormai vetusti muri di quella che fu una splendida abbazia vennero abbandonati all'incuria e alla rovina. Infine le grandi battaglie della I guerra mondiale, tra il Piave ed il Montello ridussero quel che restava ad un fatiscente e struggente ammasso di rovine, buono come cava di materiale da costruzione.

Usciti dall’area della Abbazia, teniamo la sinistra e proseguiamo ora per circa 400 metri e quindi andiamo a sinistra in via Ossario.
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Su per 200 metri e quindi a destra sino a raggiungere dopo circa 600 metri il Monumento Ossario.
 

IL MONUMENTO OSSARIO

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Fu progettato dall'architetto romano Felice Nori e venne ultimato nel 1935 sul “Colesel delle Zorle “per accogliere le spoglie dei soldati italiani e austro-ungarici della prima guerra mondiale. Vi riposano 9325 salme e solo 7.200 identificate (oltre 3.000 sono di ignoti). I caduti ignoti sono riuniti in grandi tombe collettive su cui vi sono scolpiti epigrafi tra gli altri di Gabriele D’Annunzio. Il sacrario del Montello è uno dei principali ossari che raccolgono le spoglie dei caduti italiani durante la prima guerra mondiale. La sua forma è simile a quella di altre costruzioni del genere: è una struttura cubica con un ampio piazzale in cemento, vuota al centro, attorno alla quale girano le scale. Il complesso si divide in due parti: quella inferiore, di tre piani, custodisce le salme in celle singole o comuni con rivestimenti in marmo; quella superiore è un ampio torrione da cui si può ammirare il paesaggio che fu al centro dei combattimenti. All'interno del mausoleo, nella parte cava, vi è una piccola cappella. Vi è anche una parte adibita a museo che raccoglie reperti e notizie riguardanti la battaglia del Solstizio. Una curiosità: l’asse principale dell’ossario è orientato nella direzione di Venezia verso il campanile di San Marco di cui è possibile la visione nelle giornate in cui l’aria è pulita.

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Torniamo sui nostri passi e dopo aver superato l’area su cui insiste il monumento teniamo la sinistra in via degli Eroi.

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Facciamo 1,2 km: ora siamo in via Castelviero. Notiamo sulla nostra sinistra una stradina appena accennata che scende. La prendiamo. Stiamo andando verso la fontana di Val Posan. Ci si arriva dopo circa 200 metri (meglio lasciare la bici e dirigerci in auto).
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LA FONTANA DI VAL POSAN

Grotta conosciuta anche con i nomi "I Posanchi" e "Fontana di Val Posan". L'ingresso si apre sul fondo di una ripida e profonda dolina la quale intercetta il corso di un ruscello che percorre la grotta in senso contrario l'accesso e che scompare dal lato opposto. La progressione è resa disagevole da un soffitto molto basso e dal ruscello che occupa quasi interamente l'alveo.

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Dopo essere ritornati sulla strada facciamo teniamo la sinistra e andiamo avanti per 500 metri circa. Ora a destra su via Castelviero per 400 metri. Superiamo via dei Frati.
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 La superiamo andando dritti:sulla nostra sinistra un capitello dedicato alla Madonna.
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 Avanti 400 metri e quindi a destra per 400 metri. Annunciata da un doppio filare di cipressi, ecco la discesa molto ripida che ci porterà dopo 150 metri nei pressi del Monumento a Francesco Baracca.

MONUMENTO A F. BARACCA

Francesco Baracca nato a Lugo di Romagna il 9 maggio 1888 fu un pilota capace e temerario durante la prima guerra mondiale. Partecipò a 63 combattimenti aerei, abbattendo 34 velivoli nemici. Il suo primo abbattimento venne effettuato sopra Gorizia. Dopo vari minuti di ingaggio riuscì a portarsi con una cabrata in coda al velivolo nemico e con 45 colpi lo abbatté. Baracca atterrò subito nei pressi dello schianto per verificare le condizioni del pilota nemico. Questo gesto non fu isolato, infatti sosteneva “è all’apparecchio che io miro non all’uomo “Fu abbattuto il 19 giugno 1918 a Nervesa della Battaglia sul Montello, sopra il “Colle Val dell’acqua “durante una missione di mitragliamento a bassa quota, mentre con il suo “SPAD S.XIII “sorvolava sopra le trincee nemiche. Si dice da un colpo di fucile sparato da terra. Grazie all’audacia, abilità e coraggio ricevette numerose onorificenze tra le quali la medaglia d’oro al valor militare e passò alla storia come il primo pilota italiano da caccia. Nel luogo dove presumibilmente cadde, venne costruito il Monumento, su disegno del geom. Marabini di Lugo di Romagna. (Tratto dal sito comunale di Nervesa della Battaglia).

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Risaliamo e alla fine della dura ma breve salita teniamo la sinistra ove vi è il parcheggio del Monumento. Sulla estremità destra del piazzale, qua all’inizio e vicino a una rete di recinzione, noteremo un passaggio solo accennato all’interno del bosco. Scendiamo dalla bici e lo affrontiamo.
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Muoviamoci da qui con attenzione! Siamo nel profilo ovest di un vigneto e quindi probabilmente in proprietà privata. 50 metri dopo però la stradina si evidenzia un po’ di più e si apre un bel panorama.
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Fatti altri 200 metri all’incrocio che segue teniamo la destra in via Alessi.
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Procediamo per 300 metri e in via dei Frati giriamo a sinistra in salita. E’ un luogo caratterizzato dalla coltivazione dell’ulivo. Altri 800 metri e quindi all’incrocio che segue andiamo a sinistra. Stiamo andando verso i luoghi denominati “Percorso della Certosa”.
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Via dei Frati ne richiama la presenza.
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 Pedaliamo! Siamo in via Umberto Sacco
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Circa 1,2 km siamo nei pressi della grotta Bus delle Fratte.

 

GROTTA BUS DELLE FRATTE

La grotta si apre all'interno di una. Si tratta di una cavità di sviluppo modesto ma molto interessante per le forme presenti: l'ingresso è stretto e molto freddo, tanto che nei primi metri sono presenti alcune concrezioni di ghiaccio. Proseguendo per alcuni metri il cunicolo diventa più ampio e quindi ci si può alzare in piedi. Sul fondo scorre un piccolo rigagnolo d'acqua. La galleria prosegue con un meandro molto tortuoso che si immette in un'ampia sala di crollo impostata su un interstrato. Discendendo trai blocchi della frana si raggiunge nuovamente l'acqua che riprende a scorrere in meandro. Si arriva infine ad una cascata di circa 10 metri alla base della quale si trova un salone senza ulteriori prosecuzioni. (per esperti, a noi basta sapere che è qui in zona)

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Scendiamo ancora per 850 metri. Sulla nostra destra una chiesetta. E’ il capitello della Madonna del Bosco.

CHIESETTA MADONNA DEL BOSCO

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Prendiamo ora a sinistra via U.Sacco. In piano e poi in discesa per 700 metri. Ora l’incrocio con via Francesco Baracca. Poco più avanti sulla destra la Parrocchiale di Bavaria.
 

LA PARROCCHIALE DI BAVARIA

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La parrocchiale di Sant'Urbano ha origini molto antiche, essendo in passato dipendenza della pieve di Cusignana (come Nervesa stessa). Sino al 1593 vi si conservava una pala d'altare del Ludovico Fiumicelli che raffigurava i santi Sant'Urbano e San Vincenzo. Gli altari laterali erano intitolati l'uno a questi ultimi e l'altro a san Gottardo; successivamente, il primo venne dedicato alla Resurrezione prima e al Rosario poi, mentre il secondo a san Valentino. L'altare maggiore, in marmo, proviene dalla certosa del Montello, demolita dopo le soppressioni napoleoniche. Attorno al 1820 l'edificio fu ampliato e affiancato da un campanile, andato distrutto durante la prima guerra mondiale. Durante l'anno 1939 fu completato il nuovo pavimento della chiesa. Nel 2008 è stata ristrutturata la facciata.

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Torniamo ora sui nostri passi e prendiamo a sinistra via B. Canal. Fatti circa 400 metri sulla nostra sinistra ecco Villa Sfoglio. Ci passiamo sul retro.

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VILLA SFOGLIO a Bavaria

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La Villa si trova a Bavaria lungo la vecchia strada (attuale via G.B. Canal) che conduce alla Chiesa di S. Urbano. È stata costruita alla fine del „600 dalla famiglia nobile Sfoglio, nell’ottocento passò agli Antolini. La Villa è composta da un palazzo centrale, articolato in un salone centrale e stanze laterali, e da barchessa laterale a ridosso della strada. Il salone centrale è stato affrescato da G.B. Canal. Subì dei danni durante la Prima Guerra Mondiale, ma fu prontamente ristrutturata. Attualmente la Villa è completamente restaurata ed è di proprietà privata. La Villa è l’unica rimasta delle numerose Ville che esistevano a Nervesa avanti Caporetto e che fecero definire Nervesa come la “perla del Piave”.

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Andiamo avanti ancora qualche metro e usciamo a destra in via Genio Zappatori. Giù per 500 metri e davanti a noi l’Oratorio di San Valentino e il monumento ai caduti.

 

IL MONUMENTO AI CADUTI DI BAVARIA

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Costruito sui resti di una Chiesa del XVII° secolo intitolata a S. Mauro che divenne nei giorni della Battaglia del Solstizio un caposaldo dell’invasione austo-ungarica dopo l’attraversamento del Piave. L’Oratorio a S. Mauro fu oggetto di intensi combattimenti e bombardamenti tanto da distruggerlo quasi completamente. Nel 1925 venne posta la prima pietra per la costruzione dell’attuale Monumento dedicato a tutti i Caduti in Guerra di Bavaria. Vi riposano le salme di 35 soldati della prima e seconda Guerra Mondiale.

 

 

ORATORIO SAN VALENTINO A BAVARIA

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Chiesa della Madonna di Fatima e San Valentino: chiesa-monumento edificata nel 1925 e intitolata alla Madonna di Fatima e a San Valentino, compatrono del paese

TRA SALITE, DISCESE E GROTTE DEL MONTELLO

La parte di Nervesa che percorreremo in questa ultima fase del racconto, ha come tema principale le bellezze naturalistiche del Montello ed in particolare delle sue “buse” o grotte che non sono esattamente facili da trovare.

 

Per farlo, cioè per ritornare sul Montello, per parte dovremmo percorrere a ritroso la strada che ci ha portato alla Chiesa della Madonna di Fatima e San Valentino a Bavaria. Diamo quindi le spalle alla chiesa, attraversiamo la rotonda e iniziamo ad andare verso il Montello prima in piano e poi in leggera salita. Fatti 500 metri, subito dopo il ponte sul Canale della Vittoria di Ponente teniamo la sinistra su via Bernardo Canal. Saliamo quindi per 400 metri e quindi a sinistra su Via Arditi. Avanti così per circa 1 km e quindi a destra su via Luigi Lama. In leggera salita ora.

Raggiungiamo quindi, dopo 400 metri  il bivio con Via Lancieri e teniamo la sinistra. La strada comincia a salire, ma la fatica lascia ben presto il posto alla bellezza di boschi che in autunno sono “il festival di tutte le  tonalità del rosso”.

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Salendo, circa 800 metri,cominciamo ad intravedere la pianura lì in fondo!
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Non distante da qui sul declivio alla nostra destra vi è la Busa delle Rane. Da qui non si raggiunge però.  Pedaliamo per altri 1,3  km: siamo nei pressi di una piccola area attrezzata che si trova alla nostra destra.
La strada continua intrisa di rosso e foglie.
Avanti così per altri 700 metri. Noteremo sulla nostra destra una stradina e una piccola discesa. Stiamo andando verso la Grotta di San Girolamo, la fontana dei Frati e l’area attrezzata della Certosa del Montello. Siamo in pieno itinerario della Certosa. Sono i luoghi della “mitologica” Certosa del Montello.
Lasciamo la bicicletta in un posto sicuro e scendiamo a piedi lungo il sentiero. Una mappa ci aiuterà.

Guardando ora alla nostra sinistra e quindi in direzione nord, vedremo che vi è un grande prato pianeggiante. Sono i luoghi in cui si trovava la famosa Certosa del Montello.

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LA CERTOSA DEL MONTELLO

La Certosa di San Girolamo era un monastero che sorgeva sul Montello, nell'attuale comune di Nervesa della Battaglia. Si tratta del primo insediamento certosino nel Veneto.

Cosa è una Certosa?

Una certosa è un monastero di monaci certosini di norma situato in zone solitarie. Il nome deriva dalla Grande Certosa (Grande Chartreuse), monastero principale dell'Ordine certosino, che si trova sul massiccio della Chartreuse sulle Alpi francesi a nord della città di Grenoble in Val-d'Isère. L'Ordine certosino è uno dei più rigorosi ordini monastici della Chiesa cattolica. L'istituto è stato fondato da san Bruno nel 1084 nell'IsèreFrancia, con la creazione del primo monastero, la Grande Chartreuse. Prende il nome dal Massiccio della Certosa (Massif de la Chartreuse) nelle prealpi francesi, dove san Bruno e sei compagni cercarono la solitudine per dedicarsi alla vita contemplativa. Fin dai primi tempi, si trova delineata la caratteristica della vita certosina: unione di uomini solitari che vivono in una piccola comunità. Questa caratteristica si è conservata attraverso i secoli. I certosini sono dei "solitari riuniti come fratelli"; la comunità che formano è piccola a causa della loro scelta eremitica; tanto che si parla di "famiglia certosina". Questa si esprime in momenti particolari, soprattutto nella liturgia celebrata in comune, ma anche in occasione di incontri come le ricreazioni. Ma parliamo di questa certosa!

Riguardo alla fondazione del monastero, la fonte principale è la Chronica Domus seu Monasterii Huius Montelli Cartusiensis Ordinis, codice del 1412. Sorgeva in luogo che possiede la principale caratteristica per poter generare un insediamento stabile. Questa caratteristica, ripetutamente citata, è l’acqua. (si veda in proposito la Fontana dei Frati).  Elemento che in territori carsici qual è il Montello normalmente scarseggia in superficie. Secondo il manoscritto, nella prima metà del Trecento un anacoreta di nome Giovanni, originario della Val di Fassa, nel 1320 in sogno vide una valletta nei boschi dover poter vivere “lontano dalle bassezze del mondo”. Sarebbe stata la Vergine ad indicargli questi luoghi come quelli in cui ritirarsi nella sua vita meditativa ed in particolare in una grotta sita nella Valle delle Tre Fonti. Il monaco, inoltre, eresse (o forse restaurò) un modesto luogo di culto dedicato a San Girolamo. Presto circolarono attorno a lui dicerie e leggende che lo facevano un santo.  Ma la sua vita qui secondo i racconti durò poco allorché a seguito dell’arrivo di altri compagni decise di lasciare queste terre e salito su una nave si diresse ad oriente dove si dice morì per mano degli “infedeli”. Poco tempo dopo, il veneziano fra Giannotto da Luca, seguito da alcuni compagni, costruì nei pressi della grotta un vero e proprio monastero, aiutato dalle donazioni dei Collalto.

Al di là della cronaca, probabilmente intrisa di dicerie e leggende, alcuni documenti provano la presenza di un eremo nella zona sin dal XIII secolo. E, più che i motivi religiosi, dietro la fondazione stavano soprattutto interessi economici: nel 1338, infatti, la Serenissima conquistava Treviso e assumeva così il possesso delle risorse silvicole della collina. A riprova di ciò, la certosa fu organizzata e sostenuta da frati e nobili veneziani. Ciononostante, furono soprattutto i conti di Collalto a contribuire alla costruzione, specialmente con la figura di Schenella V (il quale, nel 1340, posava la prima pietra della chiesa). I Collalto erano, peraltro, i fondatori della vicina abbazia di Sant'Eustachio. Nel 1346 il complesso era sotto il patrocinio dei Camaldolesi di San Mattia a Murano, ma solo per un breve periodo. Seguì infatti una grave crisi, forse dovuta alla peste, sicché dal 1349 la certosa fu gestita da un proprio rettore.

Dopo alterne vicende, la Serenissima assunse il controllo definitivo del Trevigiano sul finire del XIV secolo. Per razionalizzare lo sfruttamento del bosco, Venezia confiscò l'intero Montello e lo stesso monastero dovette cedere terreni, tuttavia poteva contare sul controllo di varie altre proprietà sparse per la Marca e nella stessa Treviso.

Alla caduta della Repubblica, vera protettrice della certosa, seguì il dominio francese e le soppressioni napoleoniche. Così, nel 1806, il monastero fu soppresso e i beni confiscati, mentre i frati furono trasferiti nel monastero di Sant'Andrea al Lido di Venezia. Nel 1809 il complesso fu messo all'asta e poco dopo acquistato da Gaspare Novello, sindaco di Selva (che allora era comune autonomo). Il nuovo proprietario, desideroso di liberare il terreno per farvi crescere un boschetto, fece demolire il complesso e, anzi, incitava la gente a portarsi via i resti, da reimpiegare nell'edilizia. Le uniche immagini che abbiamo della Certosa come era sono conservate in Francia e sono solo due.

Attualmente della certosa non resta pressoché nulla ed è per questo difficile ricostruirne la consistenza.  Alcune incisioni d'epoca mostrano un complesso particolarmente vasto ed articolato, tuttavia la veridicità di queste rappresentazioni è stata messa in dubbio. È infatti più probabile che, per la natura montuosa del luogo e per i resti, quasi del tutto assenti, il monastero fosse in realtà una costruzione più modesta.

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Scendiamo quindi in mezzo il bosco e poco oltre ecco le altre due cose interessanti di questi luoghi.

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LA FONTE DEI FRATI

Nel fondo della dolina si trova la “Fonte dei Frati”, probabile luogo di approvvigionamento d’acqua della Certosa del Montello, costruita nel 1340 di cui oggi è osservabile solamente la traccia delle mura.

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LA GROTTA DI SAN GIROLAMO

La Grotta di San Girolamo, utilizzata secondo la tradizione dall’eremita Giovanni nel XIV secolo, si trova di fronte alla fontana ed è visitabile.

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 Ritorniamo sui nostri passi risalendo fino a Via Lama dove avevamo lasciato la bicicletta. Altri 150 metri e siamo in via dei Frati. Ora a destra e poco oltre a sinistra per continuare su Via Lama. Fatti altri 150 metri al bivio teniamo la sinistra. Si fanno altri 2,4 chilometri sino a notare sulla nostra sinistra una grande croce. E’ il grande Monumento ai Ragazzi del ’99 di Santa Croce del Montello.

 

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IL MONUMENTO AI RAGAZZI DEL ‘99

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Ritorniamo sulla strada e andiamo avanti per altri 400 metri. Siamo a Santa Croce (ci eravamo già passati ma ora andiamo a sinistra. Siamo tornati in via VIII Armata. Avanti circa 800 metri e quindi a sinistra in via del Solstizio. Stiamo per raggiungere i luoghi del Tavaran Grando, una delle “cavità” più imponenti del Montello. Ora a destra per 500 metri. Ora a destra su una stradina e fatti altri 100 metri entriamo a destra; poco oltre un monumento.
 

IL MONUMENTO A DONALD GORDON MCLEAN

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Nella Tenuta Amelia, sul versante nord del Montello, Ermenegildo Giusti ha dedicato un monumento a Donald Gordon McLean, aviatore ed eroe di guerra canadese. È proprio qui, all’ombra di querce secolari, che il giovane pilota perse la vita il 4 febbraio del 1918 a soli diciannove anni, mentre combatteva nelle truppe aeree britanniche alleate al fianco dell’Italia contro gli austroungarici e i tedeschi, durante il primo conflitto mondiale. Giuseppe Piccolo, appassionato di storia dell’aviazione, ha ricostruito la vicenda di McLean attraverso lunghe ricerche, iniziate dopo il ritrovamento della targhetta identificativa dell’aeroplano da caccia del sottotenente a Santa Croce del Montello. La statua che ritrae il ragazzo è stata realizzata dall’artista italo-canadese Armando Barbon.

 

Torniamo sui nostri passi sino a riprendere via del Solstizio. Facciamo circa 100 metri in direzione nord e poco oltre ci immergiamo nel bosco tenendo la sinistra.  E’ ora di abbandonare la bici in sicurezza da qualche parte. Il tratto che faremo non è assolutamente adatto alla bici perché molto sconnesso e poco sicuro; val la pena usare i piedi!

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GROTTA DEL TAVARAN GRANDO

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Il sentiero che percorre il "Coston", fianco nord della collina montelliana, incrocia numerosi luoghi dove l'erosione del Piave ha portato alla luce fenomeni di origine carsica; sicuramente il "Tavaran Grando" è l'esempio più emblematico di questa azione. La grotta è raggiungibile seguendo l'Itinerario dei Bunker che parte dalla chiesa di Santa Croce. A volte può capitare che a causa delle piene del fiume Piave, come nel 2012/2013, questa grotta non sia agevolmente raggiungibile e in ogni caso è consigliabile la visita con personale professionale preparato. L'origine del toponimo tavaran sembra sia riconducibile al veneziano "tàvara-tavaron" (bolla, gonfiore) con riferimento alle piene periodiche delle 2 sorgenti ivi presenti e alla presenza delle "tavare" (zanzare). La zona del Tavaran Grando data la sua ottima posizione è stata frequentata fin dal Paleolitico. Essa infatti era un luogo ideale per l'insediamento dei primi cacciatori nomadi essendo ricca di vegetazione, selvaggina e corsi d'acqua. La frequentazione in epoche successive è confermata da ritrovamenti attribuibili alla Nuova Età del Metalli, giustificata dalla continua ricerca di giacimenti e dal collegamento con i giacimenti di rame dell'alto bellunese attraverso il fiume Piave. Il Tavaran Grando si presenta altresì anche come un bacino di raccolta delle acque meteoriche delle doline montelliane con una presenza di acqua praticamente durante tutto l'anno.
L'ingresso è formato da un grande androne con due aperture verso il Piave, a sinistra il cunicolo principale dove normalmente scorre un ruscello che forma un piccolo laghetto. La grotta ha uno sviluppo inizialmente orizzontale; il cunicolo principale, vista la notevole erosione delle acque, è di forma tondeggiante e il fondo è normalmente allagato. Dopo circa 120 metri questa grotta si apre verso l'alto con una frana per diverse centinaia di metri con l'unica possibilità di proseguire verso sinistra, raggiungendo delle sale molto concrezionate. In fondo un profondo sifone sbarra definitivamente il passaggio.

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Torniamo sui nostri passi sino a riprendere via del Solstizio. Dopo 600 metri in salita tra i boschi la riprenderemo tenendo la nostra destra. Dopo 800 metri teniamo la destra in via X Armata. Proseguiamo sulla principale per circa 800 metri e quindi a destra. Stiamo per scendere verso la fontana del Re. Per farlo dobbiamo scendere verso il Piave per altri 800 metri. Ci siamo.

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FONTANA DEL RE

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Torniamo sui nostri passi risalendo e facendo il percorso al contrario sino a ritornare sulla strada che è via X Armata. Attraversiamo la strada e quindi il ponte sul canale Castelviero.
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La strada ora va a sinistra quindi una curva a “u” e poco oltre sulla nostra sinistra l’ingresso per l’area del Tavaran Longo. Ma ne parleremo diffusamente in altre mie ricerche sulle grotte del Montello in generale. La strada prima in piano poi comincia a salire.
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IL RITORNO E I  BOSCHI VERSO GIAVERA

Dopo 2,4 km di saliscendi, teniamo la sinistra in via dei Frati. Si fa così 1 km circa sino a svoltare a destra verso via del Solstizio. La strada è asfaltata e abbastanza ampia.

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Faremo così circa 2,5 km (siamo sulla dorsale). All’incrocio che segue teniamo la sinistra.
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Fatti circa 50 metri teniamo la destra e abbandoniamo via Carretta.

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Avanti così per circa 650 metri. Ora sbuchiamo in un tratto della Presa VII. Giriamo A sinistra.
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Di l’ avanti in una ripida anche se brevissima salita e svoltiamo a sinistra. Siamo in via degli Alpini. Andiamo avanti per circa 500 metri e quindi a destra (vedi immagine che segue).
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Dopo aver assaporato per qualche centinaio di metri l’asfalto, riprendiamo il dolce sterrato del Montello. Sono da qui 900 metri di sentieri a volte ripidi e a volte con improvvisi cambi di direzione per cui, attenzione, magari si va a piedi. Giunti nuovamente su via Carretta, noi andiamo qualche metro a destra e quindi a sinistra sul sentiero.
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Sono 700 metri di bosco davvero intenso, sentieri ripidi e curve improvvise, il tutto nello spazio di un sentiero ben segnato.
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 Una forte anche se breve salita rappresenta la fine di questo bellissimo sentiero. Ora si esce in via degli Alpini girando a destra ed in discesa. Scendiamo ancora 1 km (siamo ora nel Comune di Giavera del Montello). Ora  sinistra per via Pedemontana. Facciamo 700 metri e quindi andiamo a destra in via Vittoria. Andiamo giù per 1 km, attraversiamo la regionale e ancora a sud su viale della Stazione per 500 metri. Ora sulla nostra sinistra uno dei numerosi ingressi per la Tradotta. La prendiamo facciamo 1,9 km e poi la abbandoniamo per girare a destra su via San Mauro. Circa 1 km più avanti teniamo la sinistra per prendere via dei Carni. Proseguiamo per 900 metri, quindi attraversiamo l’incrocio. Avanti ancora per 400 metri, attraversiamo l’incrocio e siamo in via Granze. Circa 700 metri più avanti siamo a Dus, Lì finisce il nostro viaggio.

APPENDICE

Avevo praticamente concluso, almeno nella mia testa, il lavoro sui pedali di Nervesa, quando nei pressi di un bicchiere di birra incontrai una persona con la quale cominciai a dialogare di Nervesa e sul mio progetto. I.T., mi disse che non esisteva solo il notissimo Baracca, tra gli eroi che Nervesa vide.

Oh cavolo? E di chi parliamo? Di Platone, del Colonnello Alessandro Platone. Mi incuriosii e questo è quello che ne ricavai, compreso il posto ove oggi sorge un cippo a lui dedicato. Grazie I.T.

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MONUMENTO AD ALESSANDRO PLATONE

 

E’ un monumento  del 1919 innalzato e dedicato alla figura di Alessandro Platone, colonnello della 60a Armata che venne incaricata di scendere in primissima linea e respingere le truppe nemiche austriache che ormai avevano sconfinato a Destra Piave ed erano approdate a Nervesa nel Giugno 1918. Nonostante l’azione contro i nemici fosse delle più disperate, Platone incitò i compagni a portare a termine il compito a loro assegnato e fu il primo in testa al gruppo a lanciarsi verso il fuoco nemico. Platone cadde in quel punto, a pochi passi dalle armi nemiche, il 19 Giugno 1918. I suoi compagni superstiti ammirarono il coraggio del proprio Colonnello: fu il primo del suo manipolo ad esporsi al fuoco nemico ed ammirarono altresì lo slancio con cui li incitò ad imitarlo. Fu un’azione disperata contro le mitragliatrici austriache spianate, ma guidata dall’amore per la sua Patria e per la sua famiglia che si era impegnato a difendere a qualsiasi costo. Il monumento, pertanto, celebra una guida ed grande soldato con un senso del dovere irremovibile, ma anche un uomo ed amico coraggioso. Oggi Alessandro Platone è ricordato, quindi, come uno degli eroi che contribuirono con la propria vita all’arresto delle truppe austriache.

( materiale tratto da https://nervesarivelata.wordpress.com/2020/07/16/monumento-al-colonnello-alessandro-platone-nervesa-della-battaglia/

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Il monumento si trova lungo la nuova ciclovia "la Tradotta" all'altezza del punto indicato sulla mappa che segue.

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(Messa di inaugurazione del Canale della Vittoria nel 1923)

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