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PONZANO IN BICICLETTA
 

 

Caratteristiche tecniche del percorso      Lunghezza: 40  km     tempo di percorrenza: 3 ore stagioni: tutte

Ponzano Veneto: il territorio

Ponzano Veneto è un comune di 12.500 abitanti circa.   Si tratta di un “comune sparso” in quanto sede comunale è la frazione Paderno. Le tre frazioni di Ponzano, Paderno e Merlengo, situate a pochi chilometri a Nord della città di Treviso, dal 1807 formano quindi il comune di Ponzano Veneto.

Frazioni vicine tanto che  un vecchio detto recita: “Paderno, Marlengo e Ponzan se toca con na man”.

Le località    Sono frazioni, località e nuclei abitati i seguenti:  Al Sasso, Alle Buse, Barrucchella, Biasuzzi, Biondo, Colombera, Comin, De Longhi, Durante, Favaro, Graziotto, Guizze, Lago Biasuzzi, Loschi, Martini, Marzonetto, Massolin, Picciol, Ponzano, Scuole Campagna, Talponera, Villaggio Florida

Un po’ di storia

Si ritiene che i territori di queste frazioni siano stati abitati sin dalle epoche più remote; tuttavia delle loro origini si può parlare solo in modo molto vago. E’ pensabile che l’insediamento stesso dell’uomo in questi territori sia avvenuto molto lentamente. Probabilmente i primi abitanti erano nomadi a causa delle calamità naturali, come gli straripamenti del Piave,  che costringevano l’uomo a spostarsi continuamente in luoghi più sicuri. Tali abitanti, documentati da fonti antiche , furono gli Euganei, più tardi assorbiti dai Veneti provenienti dall’Illiria. Questi ultimi fondarono una civiltà che ha lasciato tracce considerevoli; ebbero la loro città principale in Este e numerosi nuclei abitati, specialmente in località montagnose e collinari. Avversari dei Galli, si allearono con i Romani, dalla cui civiltà finirono per essere sopraffatti intorno al III secolo a.C.  La penetrazione romana fu lenta, ma altrettanto inesorabile. Verso la metà del sec. II a.C., i Veneti erano stati definitivamente conglobati dai Romani. Sul loro territorio, nel 148 a.C., veniva tracciata una delle strade consolari più importanti della repubblica romana, la Postumia.

Dei Romani nel 1923, a Merlengo furono trovate anfore per uso cinerario con corredo funebre ed una sepoltura; altro materiale di argilla sarebbe stato rinvenuto lungo la strada Antiga, pur questa costruita dai Romani. Nel momento in cui l’impero, dopo il periodo di prosperità, cominciò a decadere, popoli che abitavano oltre le Alpi, già dominati da Roma, diedero inizio alle invasioni barbariche delle quali ricordiamo le più importanti. Già nel 102 a.C. avvenne una invasione della pianura padana da parte di un popolo nomade, bellicoso e valorosissimo: i Cimbri, originari dal nord-est della Germania. In un primo momento i Romani, non si sa per quali avverse circostanze, si dovettero ritirare sulla destra del fiume Po. Poi, riorganizzatisi, affrontarono nel 101 i Cimbri, che furono in parte annientati ed in parte fatti schiavi.

Nel 401 scesero i Visigoti con re Alarico «il temerario», provenienti dalla regione danubiana: saccheggiarono tutto il Veneto, quindi uscirono dall’Italia attraverso il Brennero. Seguirono nel 405 gli Alani, gli Svevi, i Vandali. Ritornarono nel 408 i Visigoti, ancora con re Alarico; attraversarono le nostre zone diretti verso Roma, che saccheggiarono e devastarono.

Arriviamo nel 452, anno in, cui Attila, re degli Unni, di origine mongola, proveniente dalla Pannonia, attraversò il trevigiano lasciando però salva la città di Treviso, sembra per intervento del Vescovo Elviando. Giunto sul fiume Mincio, venne fermato da Papa Leone I e, dopo un lungo colloquio, Attila si convinse a rientrare nelle terre da dove era partito e dove morì poco dopo. Nel 553 giunsero i Bizantini, con a capo il generale Belisario, che a loro volta furono attaccati e sopraffatti dai Longobardi di re Alboino  (anno 568). E giungiamo al 773, anno in cui le forze franche, divise in due colonne, scesero in Italia: una, guidata da Carlo Magno, attraverso il Moncenisio, l’altra, guidata dal conte Bernardo, zio del re, attraverso il Gran San Bernardo. I Franchi conquistarono ed assoggettarono tutta l’Italia; il loro dominio cessò nell’ 814. Dopo la morte di predetto re, l’impero carolingio si smembrò. Ne approfittarono gli Ungheri (899), tristemente famosi per le loro terribili scorrerie effettuate a ripetizione per circa un secolo, crudelissimi e distruttori implacabili di chiese e conventi. Verranno poi debellati e definitivamente scacciati dai Germani di Ottone il Grande nel 955, con la vittoria di Augusta.

Pure nei secoli successivi la pace fu spesso messa in discussione: feudatari e signorotti, sempre in lotta tra di loro, funestarono queste contrade. Intanto già dal secolo VII ed VII si era diffuso il monachesimo ed ovunque sorsero monasteri ed ospizi. Anche nel trevigiano si sviluppò questo importante movimento religioso e parecchi monasteri vennero eretti, tra i quali ricordiamo quello di San Vito e quello di San Leonardo di Ponzano . Di San Vito non è rimasto che l’Oratorio.

Nel burrascoso evolversi dell’età medioevale, tra il 970 ed il 1340, molte lotte ebbero luogo nel territorio trevigiano, lotte causate dalle rivalità e dallo spirito di predominio dei vari signorotti locali. I principali protagonisti di questi avvenimenti furono i Collalto, i Da Romano, i Da Camposampiero, i Da Camino e gli Scaligeri.

Intanto i turchi da tempo stavano preoccupando tutta la cristianità ed il Vescovo di Treviso, Pierpaolo da Valdobbiadene impose a tutte le parrocchie la colletta per la crociata contro i turchi. Nel 1473 i turchi giunsero a Portogruaro ed è rimasta una tradizione orale che le loro avanguardie avrebbero esplorato anche il paese di Ponzano.

Il governo della Serenissima, durato oltre quattrocento anni, instaurò un clima paternalistico che, introducendo quella forma di «quieto vivere», di rispetto e timore verso l’autorità civile ed ecclesiastica, ha finito poi per caratterizzare l’ambiente veneto. Nel 1510 comparve la peste nel trevigiano, seguita il 26 marzo 1511 da un terremoto che danneggiò la città di Treviso. Erano gli anni della guerra di Cambrai, che vide Treviso per lungo tempo impegnata a respingere gli attacchi francesi e tedeschi. Anche se non ci rimangono documenti, è verosimile pensare che il territorio del comune non dovette essere esente dalle consuete scorrerie dei soldati. Verso la metà di agosto 1511 francesi e tedeschi giunsero sino a Fontane; nei primi giorni di settembre i tedeschi si spinsero sino a due miglia sotto Postioma.

L’anno successivo le difficoltà vennero acuite da una piena del Piave, che, superati gli argini a Nervesa, giunse sino a Treviso. A causa di ciò la popolazione della città diminuì sensibilmente. Un’altra grave pestilenza si diffuse nel 1629-1631, contemporanea a quella descritta dal Manzoni nei «Promessi Sposi». Trascorsero poi tanti anni di relativa quiete per i nostri territori sino all’avvento della Rivoluzione Francese seguita dalla prodigiosa scalata al potere di Napoleone. Il dominio francese durò breve tempo perché il 17 ottobre 1797 Napoleone cedette il Veneto all’Austria (Trattato di Campoformido, Villa Manin di Passariano, Udine). Le truppe austriache occuparono Treviso il 16 gennaio 1798. Nel 1866 anche Ponzano entra a far parte del Regno d'Italia. E con Decreto Regio del 5 gennaio 1868 la denominazione «Ponzano» venne perfezionata in «Ponzano Veneto» onde evitare omonimie.

IL Toponimo

Ponzano deriva da Pontianus e rileva l'origine del colono romano che ottenne qui alcune terre da coltivare

Di Ponzano... Giovanni Battista Cicogna

Tra le figure illustri di questa comunità è da ricordare senza dubbio Giovanni Battista Cicogna. Egli fu l’ultimo discendente della nobile famiglia dei Cicogna, perché, non avendo contratto matrimonio, con la sua morte si estinse il casato. Degli antichi Cicogna ricordiamo Pasquale, che fu Podestà di Treviso. Egli divenne celebre per le sue imprese quale comandante delle forze navali dell’Arcipelago della Laguna e per i provvedimenti presi allorché, durante il suo dogado, Venezia fu colpita dal flagello della fame. Nel corso del suo mandato venne eretto il ponte di Rialto e venne portata a termine la chiesa del Redentore. Il N.H. Girolamo Cicogna, padre di Giovanni Battista, partecipò alla difesa di Marghera nel 1849 con il grado di caporale. Giovanni Battista invece nacque a Treviso il 2 marzo 1877. Terminò i suoi giorni in Paderno il 13 maggio 1948. «Umanista di temperamento, seguì corsi giuridici e letterari nelle Università di Padova e di Bologna, dove amava rievocare di essere stato allievo del Carducci”. Laureatosi in giurisprudenza, si dedicò giovanissimo allo studio del diritto romano, pubblicando il suo primo libro a venticinque anni. Successivamente conseguiva la libera docenza in storia del diritto romano (1904), per iniziare il suo tirocinio didattico all’Università di Padova come professore incaricato della stessa materia, mentre la sua produzione scientifica ne confermava sempre più efficacemente le qualità di serio e profondo studioso, tanto che ben presto (1908) egli riusciva a raggiungere per concorso la cattedra d’istituzioni a Ferrara, dove rimase poi fino al 1930 come ordinario di diritto romano e dove tenne per vari anni la presidenza di quella Facoltà giuridica. Eletto deputato per la XXIV Legislatura (1913) egli ottenne il rinnovo del mandato parlamentare nelle due legislature susseguenti, fino a che la irrevocabile minaccia del regime fascista non lo indusse a farsi da parte. Inoltre ricordiamo che dal 27 dicembre 1909 al 24 febbraio 1912 ricoprì la carica di Sindaco di Ponzano Veneto.

Presa confidenza con la storia di questa comunità cominciamo allora il nostro viaggio in bici. Partiamo dal centro politico amministrativo del Paese: il Municipio, ovvero Villa Cicogna.

IL MUNICIPIO

MUNICIPIO

 

Andiamo ora in direzione ovest per circa 150 metri sino all’incrocio: lì giriamo a sinistra. Andiamo in direzione sud cioè in via Volpago sud per circa 1,4 km e quindi giriamo a destra in via Strada Ponzano.  Avanti per altri 400 metri e quindi a sinistra in via Comin.

 

 

 

ORATORIO  MUNICIPIO
CAPITELLO DI VIA DEL COMIN

 

Andiamo ora a  sud per altri 600 metri e quindi a destra per altri 600 metri. Usciamo ora in via Strada Santa Bona Nuova e giriamo a destra.

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 Avanti altri 400 metri e quindi a sinistra in via Comune dei Biscari per altri 400 metri. Giriamo a destra ora in Strada Antiga. Facciamo altri 400 metri e quindi a sinistra per altri 1,0 km. All’incrocio proseguiamo dritti per altri 1,2 km (sfioriamo il bordo di una cava).

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Avanti ancora per altri 1,2 km sino ad uscire in via Talponera ove gireremo a destra. Procediamo per altri 900 metri e quindi a sinistra in via Cal di Campagna per altri 250 metri e quindi a destra per altri 800 metri: sbuchiamo ora in via del Bellato ove gireremo a sinistra e andremo avanti per altri 500 metri sino a raggiungere la Postumia. Lì giriamo a destra e fatti altri 50 metri ecco sulla sinistra della strada l’Oratorio di San Vito.

L’ORATORIO DI SAN VITO (I LONGOBARDI?)

 

L'Agnoletti lo ritiene più antico della chiesa parrocchiale di Merlengo, essendo sorto forse tra i secoli VII ed VIII ed al riguardo il predetto autore così si pronuncia; «Erano due le chiese di questo paese, delle quali si crede più antica S. Vito sulla strada Postioma e San Bartolomeo Ap. fu il titolo della seconda dell'era ottomana: è però rimasta questa come parrocchiale, ma i beni della prebenda sono piuttosto presso S. Vito» . La posizione dell'oratorio, che sorge su quella che un tempo era una grande arteria di comunicazione, e la rudimentale tecnica di costruzione dei muri ne farebbero l'esempio più antico di testimonianza religiosa del ponzanese. Dalla toponomastica del paese ( Merlengo ) e del santo, entrambe di derivazione germanica, si potrebbe anche supporla opera dei longobardi dopo la loro conversione alla fede cristiana, anche se è altrettanto lecito e forse più verosimile attribuirne la costruzione alla iniziativa dei monaci benedettini i quali avevano eretto anche il convento-ospizio. Probabilmente San Vito nel medioevo rappresentava un punto di smistamento per coloro che intendevano dirigersi verso il meridione o verso l'occidente (Francia e Spagna).

Per certo, durante il periodo della sua grande attività umanitaria, San Vito ebbe preminenza su Merlengo. La sua ubicazione, la missione di assistere i pellegrini ed i diseredati, la notorietà acquisita e i beni prebendali del monastero confermerebbero questa affermazione. Si ritiene che tra il 1400 e 1500 l'attività del Monastero sia decaduta; è infatti verso il 1500 che la chiesetta è diventata campestre ( cioè secondaria). Nelle epoche trascorse l'oratorio è stato utilizzato anche come lazzaretto; ed ancora, oltreché come lazzaretto, San Vito servì come luogo di ricovero per i pastori durante le loro transumanze nelle occasioni di grandi avversità atmosferiche. Viene ricordato che nel lontano 1551 la Madonna sarebbe apparsa nell'oratorio ad un certo Andrea Meneghin e che per questo fatto i vicini abitanti di Povegliano vi fecero una processione. Durante i lavori di escavazione degli alvei del Canale della Vittoria nel 1923, gli operai riesumarono molte ossa umane nelle immediate adiacenze dell'oratorio, il che conferma l'esistenza nei pressi dell’oratorio di un antico cimitero.

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Teniamo ora l’oratorio di San Vito sulla nostra destra e arretrando di qualche metro andiamo a nord su via Volpago Nord. Procediamo per circa 1,3 km e quindi giriamo a sinistra su via Schiavonesca. Altri 1,1 km e poi a nord a destra su via Antiga Nord. Fatti circa 1,6 km sulla nostra sinistra ecco l'oratorio di San Rocco.

L’ORATORIO DI SAN ROCCO ( PANE, SALE E BESTIAME )
 

Si trova in località «Campagna alta» nel colmello dei Pian. E' stato costruito nel 1907 dai muratori Grosso di Carnaio con il contributo della popolazione del luogo. Il 16 agosto d'ogni anno, nell'occasione della sagra di San Rocco, a cui l'oratorio è dedicato, ha luogo la benedizione del pane, del sale e del bestiame della stalla, un modo per chiedere a Dio la grazia dell'abbondanza, della saggezza e della prosperità. Presso questo oratorio è venerata anche sant'Anna. Territorialmente l'oratorio è ubicato nel comune di Ponzano, mentre ecclesiasticamente dipende dalla parrocchia di Carnaio (Povegliano). Nel passato era anche luogo dove si chiedevano le grazie; in particolare, nei periodi di grande siccità, gli abitanti del colmello e delle località vicine, venivano presso questo oratorio a «tòr la piova», cioè ad invocare il dono della pioggia.

 

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Due parole su San Rocco… perché il cane sempre con lui?

 

Di questo Santo, che fu uno dei più illustri del secolo XIV e uno dei più cari a tutta la cristianità, si hanno poche notizie. Oriundo di Montpellier (Francia), della sua giovinezza si narrano cose meravigliose. Ventenne, rimasto privo del padre e della madre, distribuì parte dei suoi beni ai poveri e parte li donò ad uno zio paterno. Quindi, vestitosi da pellegrino, si avviò elemosinando alla volta di Roma, per visitare il centro del Cristianesimo, sede della verità e della civiltà, e per vedere il Pastore Supremo dei popoli e delle nazioni, il Papa.  Nell'attraversare le contrade della nostra Italia, seppe che la peste faceva strage in parecchie parti della penisola. Ed ecco S. Rocco nel genovesato, in Toscana, a Cesena, a Rimini e specialmente ad Acquapendente farsi consolatore dei poveri ammalati ed operare prodigi di cristiana carità. Fu salutato ovunque quale salvatore, ed in Roma il suo nome risuonò in benedizione. Ma egli schivava la lode e per evitarla, poco dopo aver soddisfatta la sua pietà, lasciò la Città Eterna e si portò a Piacenza, dove infieriva allora il morbo fatale. Qui il suo apostolato ebbe del meraviglioso, dell'eroico, del sovrumano, e Dio lo benedisse talmente, che gli bastava alle volte un segno di croce per rendere la sanità anche, a molti. Ma infine anch'egli fu attaccato dalla peste: per non essere di peso a nessuno si ritirò in un antro fuori della città, dove, consumato da febbre, soffrì dolori indicibili. La Divina Provvidenza però quotidianamente gli inviava un pane per mezzo di un cane. Guarito per grazia di Dio e per l'aiuto datogli da un pio signore, che sulle orme del cane aveva rintracciato il povero sofferente, Rocco lasciò Piacenza e si ritirò in Francia. Quivi, creduto una spia, connivente lo stesso suo zio, a cui aveva lasciato parte dei suoi beni, fu messo in prigione. Passò quindi i suoi ultimi anni sconosciuto.  Alla sua morte, avvenuta come si ritiene nel 1327, furono udite voci di fanciulli che gridavano: È morto il Santo! E le campane suonarono a festa da sole. S. Rocco era passato a ricevere il premio delle sue fatiche e delle sue opere buone.  La devozione a S. Rocco è universale ed è invocato contro le malattie contagiose. 

Andiamo ora in via Casette e procediamo per circa 1 km sino alla rotonda: procediamo dritti per altri 800 metri e giriamo a destra in via Rialto. Altri 1,2 km e quindi a destra in via Fiore per altri 600 metri. Entriamo ora a sinistra in via Barrucchella. Fatti 500 metri siamo nel colmello di questa località.

L’ORATORIO DELLA BARRUCCHELLA 


Sembra che il nome della località in cui sorge, «Barrucchella», sia quello d'una vecchia famiglia ormai estinta. La località civilmente è compresa nel territorio di Paderno, mentre ecclesiasticamente è suddivisa in due parti, di cui una sotto Paderno e l'altra sotto Ponzano. Il disagio della comunità della borgata per coprire la distanza dal proprio centro alla chiesa parrocchiale di Paderno è stato il motivo per cui venne eretto il detto oratorio. La costruzione fu realizzata nel 1914 su un terreno donato da Girolamo Zago, discendente d'una vecchia famiglia della Barrucchella. La chiesetta venne aperta al culto e benedetta il 10 giugno 1915. Presso questo oratorio la Madonna ebbe sempre tanta venerazione e si intensificò verso il 1950 in seguito ad un voto fatto dalla popolazione per invocare la cessazione della grandine che da una decina d'anni distruggeva i raccolti. Sembra che da quell'anno la calamità sia stata molto ridotta.

 

 

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Scendiamo ora a destra in direzione sud in via Cal di Giavera per circa 1,4 km. Andiamo ora a sinistra in via Camalò e facciamo altri 750 metri sino alla rotonda ove terremo la destra sulla Postumia: di lì a 250 metri ecco l’ingressi per Villa Persico

VILLA PERSICO-GUARNIERI

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Torniamo sui nostri passi e facciamo a ritroso la strada: torniamo sulla Postumia e quindi andiamo a sinistra tornando quindi sulla rotonda. Lì teniamo la destra per via Roma. Facciamo circa 400 metri e quindi a sinistra in via Giuseppe Giusti per circa 600 metri. Finita la via teniamo la destra in via Croce: altri 200 metri e quindi a sinistra per altri 300 metri. Ora teniamo la destra e andiamo in via Ugo Foscolo per altri 800 metri e svoltiamo quindi a sinistra per via Morganella Est. Fatti altri 600 metri noi andiamo a destra su via Sant’Andrà. Giù per circa 1,2 km e all’incrocio, sulla nostra sinistra ecco l’ex Oratorio Caotorta.

L’EX ORATORIO CAOTORTA
 

Così lo descrive don Antonio Dal Colle: “Elegante per disegno ed esecuzione era invece l’oratorio Caotorta, dedicato al Rosario, di fattura del secolo XVII, miseramente lasciato cadere dai nobili proprietari insieme alla villa, ora divenuta proprietà rustica dei contadini De Marchi”. L’Oratorio venne demolito nel 1914, non potendo la parrocchia sostenerne le spese di restauro, come le era stato proposto. I resti della muratura, compreso il frontone, vennero acquistati dagli abitanti della «Barrucchella» per la loro chiesetta. Ricorda don Dal Colle che nel giorno di S. Antonio vi si celebrava una messa con grande solennità. Infatti in questa festa, che cade il 13 giugno d’ogni anno, la processione dei devoti del Santo partiva dall’oratorio dei Gobbato portando la statua del Taumaturgo per recarsi a quello del Rosario ove sostava per la S. Messa. Nel pomeriggio si celebravano le funzioni, alla fine delle quali, sempre processionalmente, la statua veniva riportata all’oratorio Gobbato.

 

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Procediamo ora dritti per altri 400 metri. Ecco sulla nostra sinistra l’oratorio Gobbato.

L’ORATORIO GOBBATO O DI S. ANTONIO DI PADOVA 

 

Questo oratorio risale al 1793 e fu costruito dai Salamone  per ricordare un beato Jacopo, appartenente alla loro nobile famiglia.  E' dedicato alla B.V. del Carmine ed a Sant'Antonio di Padova. Ha forme assai modeste, nulla di veramente artistico. In esso si officia raramente la messa; vi facevano tappa le rogazioni annuali. Al suo interno vi si trova una pala rappresentante la Vergine con il Bambino Gesù e San Giuseppe, affiancati da S. Antonio di Padova e dal Beato Salamonio.

 

ORATORIO GOBBATO

Poco prima… la casa ove aveva sede il C.L.N.( COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE )

CNL

Procediamo ora sulla sinistra ed entriamo in via Fontane: circa 350 metri più avanti sulla nostra destra ecco Palazzo Campbel.

PALAZZO CAMPBEL - MAZZOLENIS - PALAZZON

PALAZZO CAMPBELL

Procediamo ora su via Fontane per 1,2 km.  svoltiamo a destra in via delle Bottere.  Di lì per circa 700 metri e quindi a destra su via Livello per circa 600 metri; sulla nostra destra ecco la chiesa Parrocchiale di Ponzano.

LA CHIESA PARROCCHIALE DI PONZANO ( SAN LEONARDO ABATE )

 

La sua costruzione è iniziata nel 1771, dalla demolizione della precedente chiesetta ormai troppo piccola. La chiesa, molto semplice ma alquanto armoniosa, è composta da un'unica navata e dal presbiterio. L'attuale edificio è stato consacrato nel 1779. La chiesa è dedicata al patrono San Leonardo Abate.  Dietro l'altare maggiore vi è una grande tela,  denominata «la formosissima pala»  dal Vescovo Bernardino Marin (1788-1817), attribuita in controversia al Giambellino, al Polidoro ed al Giorgione  (altri la attribuiscono anche a Domenico Capriolo), raffigurante la Madonna con il Bambino  ed i due compatroni San Leonardo e San Rocco, eseguita nel 1523. Il campanile risale a fine 1500 o inizi 1600 ed è stato restaurato nel 1986. Le campane sono del 1857. 

PARROCCHIALE DI PONZANO

Usciamo in via Chiesa Ponzano; giriamo a sinistra ed ecco sulla nostra destra Villa Gastaldo. Per la verità molto poco visibile data la cancellata.

VILLA GASTALDO 

 

Dice il Mazzetti: «Elegante piccola villa del 700 già del Conte Adolfo Van Axel poi delle famiglie Marchi ed Alberti, del Dott. Ernesto Castaido», ed infine del figlio dott. Giovanni che tuttora vi abita e rivolge premurose cure al bell’edificio. «Corpo centrale con due piccole ali, a tre piani, facciata con sobrie decorazioni architettoniche, poggiolo ad un arco, balaustra in marmo; elegante timpano, al primo ed al secondo piano semplici stucchi colorati alle pareti ed ai soffitti. Anche questa villa ha ospitato sfollati da Treviso nella guerra 1940-1945 nell’occasione dei famosi bombardamenti.

VILLA GASTALDO

Dopo circa 250 metri ecco Villa Minelli sulla nostra destra.

VILLA MINELLI (ORA BENETTON) E I MONACI NONANTOLANI

 

I monaci Nonantolani iniziarono il loro apostolato nel trevigiano attorno al 780. Essi provenivano dall’Abbazia di Nonantola (Modena) .Arrivarono  anche nel territorio di Ponzano  in età non ben definita. Ciò è da correlare agli eventi che si susseguirono dall’898 in poi, nel momento in cui, dopo il crollo della dominazione carolingia, giunsero nel Veneto le orde unghere. Anche i nostri paesi ne subirono le conseguenze ed in tali circostanze i Nonantolani furono costretti a fuggire. Passata la terribile bufera i monaci Nonantolani, ritornarono e ripresero la loro attività nel territorio trevigiano. Nel 1077 i predetti Nonantolani avevano un possedimento a Ponzano. Qui, i frati avrebbero eretto un monastero-ospizio per l’assistenza ai malati, ai poveri ed ai pellegrini. 

Don Antonio Dal Colle avanza l’ipotesi che il monastero e l’ospedale di San Leonardo di Ponzano siano sorti sul terreno occupato in seguito dagli edifici della Villa Minelli. Tale monastero si chiamò di San Leonardo, in onore di San Leonardo di Noblat, che è anche il patrono di Ponzano. Si ricorda che nei tempi ormai lontani vari enti religiosi e persone private, tra cui i monaci di S. Maria Maggiore, possedevano in Ponzano beni in varia misura. Detti monaci in data 20 aprile 1621 cedettero ai nobili Minelli di Venezia terre ed edifici siti a Ponzano. I Minelli però demolirono il complesso del convento-ospedale andato in decadenza ed eressero la villa, le barchesse e l’Oratorio.

La Soprintendenza ai Monumenti medioevali e moderni di Venezia la giudica: «Stupenda villa del secolo XVII a pianta quadrata a tre piani, di classico tipo veneziano. Sulla facciata principale eleganti fori, finestre e bella trifora con poggiolo e balaustrini al centro del secondo piano. Una grande barchessa, chiesetta ed altre adiacenze, costituiscono tutto un complesso di grande interesse architettonico». Nel gennaio del 1849, la villa fu requisita per accogliere truppe austro-ungariche in movimento nei nostri territori. Verso la fine della prima guerra mondiale in essa furono alloggiati un reparto di soldati inglesi (scozzesi), un reparto italiano, una scuderia e un reparto per curare quadrupedi malati o feriti. Nelle colonne della barchessa maggiore esistono ancora gli anelli a cui venivano legati i quadrupedi. A seguito dei bombardamenti scatenatisi su Treviso, a partire da quello più massiccio  del 7 aprile 1944, molti cittadini, circa 115, fuggiti dalla città, ripararono nei locali della villa.

 

 

VILLA MINELLI

L’ORATORIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA 
 

Degli oratori di Ponzano ancora esistenti questo è il più bello oltre che il più antico. E' da ritenere che la costruzione originale facesse parte del complesso del monastero-ospedale di San Leonardo, dei Nonantolani, come si disse, che nel 1668 passò in proprietà dei nobili Minelli.
L'Agnoletti riferisce che all'epoca del parroco don Andrea Pacco (1826-1862), tre statue in marmo di Carrara, raffiguranti Santa Rosa da Lima, San Domenico e la B.V. della Consolazione, furono asportate dall'oratorio e portate nella chiesa di Ponzano. A tale riguardo ebbe luogo uno scambio di lettere, durato circa tre anni, tra la Congregazione degli Esposti di Venezia, che ne era la proprietaria, la Curia Vescovile di Treviso e la Fabbriceria di Ponzano circa l'abusivo prelievo citato. Intervenne il Vescovo Zinelli (1861-1879) il quale per por fine alla vertenza consigliò l'acquisto delle statue da parte della Fabbriceria, cosa che venne concordata nel 1865 . Il dipinto del soffitto che rappresenta la gloria dell'Assunta è di Nicolo Bambini (anno 1710). 

 

ORATORIO DI VILLA MINELLI

Giriamo ora a destra e andiamo avanti per circa 1,4 km. Alla nostra sinistra, Villa Maria

VILLA MARIA 

 

Si ritiene che questa villa sia stata costruita verso la fine del 1700 sul terreno d’un preesistente fabbricato. Essa conserva stucchi di bellissima fattura. Dal catasto napoleonico risulta essere stata di proprietà di Gianmaria de Giuliani, nome che figura tra i Deputati Comunali per la frazione di Paderno. Tale de Giuliani era figlio di Francesco e di Elisabetta Mùller e sarebbe stato originario di Innsbruck. Alla sua morte, i beni passarono al figlio Benedetto che nel 1857 vendette parte dei terreni a Andrea Fumagalli e la villa a Lorenzo Nadali. La figlia di quest’ultimo, Orsola, amministratrice della proprietà paterna, vendette la villa a Massimo Coletti, sposato a Caterina Vallenzasca. La figlia Maria Coletti, nata nel 1864 a Pieve di Cadore sposò il dott. Mario Liberali a cui portò in dote la villa, detta, in memoria della proprietaria, «Villa Maria», appellativo che tuttora è conservato. A seguito del ripiegamento delle nostre armate dell’Isonzo avvenuto dopo Caporetto nella guerra 1915-1918, vennero spostati, analogamente, anche gli enti militari addetti ai servizi logistici e all’assistenza sanitaria delle truppe. Nel quadro di questi provvedimenti villa Maria ospitò un ospedale da campo sino alla conclusione del conflitto.

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Procediamo per altri 250 metri e sulla nostra destra ecco la Parrocchiale di Paderno.

LA PARROCCHIALE DI PADERNO

 

Chiesa dedicata alla Assunzione della Beata Vergine Maria. Paderno ha infatti come Patrona la Beata Vergine Maria Assunta. Una delle prime (forse la prima) citazioni della chiesa risale all’anno 1297, nella quale la chiesa è appellata Capella S. Marie de Paderno. La chiesa che esisteva prima dell’attuale, pur essendo stata edificata tanto tempo prima, era stata consacrata il 18 agosto 1726 da mons. Augusto Zacco (Padova 1723 – Treviso 1739), che fu vescovo di Treviso dal 1723 al 1739. Il campanile, che era di altezza limitata, fu elevato nel 1752 ed è quello che tuttora esiste.  L’attuale chiesa fu progettata nel 1790. I lavori furono iniziati nel 1806 e completati qualche anno dopo il 1837.  Nella chiesa si trovano le seguenti opere: La pala dell’altare maggiore, opera del pittore Antonio Zanchi (Este 1631- Venezia 1722); l’affresco del soffitto raffigurante la “Gloria di Maria Assunta”, realizzato nel 1838 da Sebastiano Santi (Murano 1789 – Venezia 1866) e la statua lignea processionale della Madonna Assunta, realizzata nel 1928 da Francesco Martiner di Ortisei (Bolzano).

 

PARROCCHIALE DI PADERNO

Quasi di fronte alla chiesa, dall’altra parte della strada ecco Villa Barbaro.

VILLA BARBARO - BOURBON DEL MONTE - RICCI (sec. XVII) e il giro della Marchesa

 

E’ una villa circondata da un vasto parco, una volta ricco di essenze arboree, viali colonnati con patii e roseti, piscina, peschiera, giardini con vialetti di bossi all'italiana impreziositi da pozzi e fontane, montagnola con gazebo, grande serra invernale e qua e là sparse su tutto il brolo e giardino statue in pietra d'Istria su piedistalli, come dettava la tradizione più genuina delle ville venete. Ai paesani era lasciato lo svago di correre a piedi o in bicicletta il percorso esterno del "giro della Marchesa", ossia dell'isolotto ovoidale che, quasi la estrania la villa dal contesto del paese. I proprietari da sempre possedevano poderi e campagne nei dintorni e altrove ma tuttavia essa è priva di ampie barchesse porticate per la raccolta e conservazione dei prodotti agricoli; piuttosto i due edifici a elle  sono da considerarsi delle adiacenze per la scuderia, lavanderia e altri usi domestici.

Così ne parla il Mazzotti: "Già del Barbaro, poi del Principe di S. Faustino, delle sorelle Luccich e infine Bourbon del Monte-Ricci. Bellissima villa quadrata del secolo XVII, fatta costruire dalla Patrizia famiglia veneziana dei Barbaro, che vollero trasportare lo stile dei palazzi di Venezia in terraferma." È da notare che la villa era arredata con tappeti, mobili e quadri di grande valore, ma le varie spogliazioni che si sono susseguite in questo secolo l'hanno svuotata assieme alle statue del parco. Dopo la morte della la marchesa Maria Carla di Morpurgo, la sua villa fu ceduta dall'erede Ranieri Bourbon Del Monte principe di S. Faustino, per una manciata di milioni, al parroco don Remigio Tessarolo che la riattò alla meglio usandola come Asilo Infantile e parco giochi per le Associazioni Cattoliche. Poi, quando con gli anni Cinquanta Ponzano diventò 'zona depressa', si fece fino a convincere il parroco a cedere a un prezzo non proprio decoroso l'intero complesso ai fratelli Sergio e Bruno Comunello, industriali dell'abbigliamento in Caerano S. Marco, per impiantarvi una succursale e offrire lavoro specie a quelle giovani che erano costrette a emigrare stagionalmente nel Nord-Europa. Fu così restaurato a fondo il corpo centrale della villa, ma fu abbattuta l'adiacenza nordoccidentale e con essa alcune altre strutture del parco.

In questa villa, nelle ultime fasi della guerra 1915-1918, furono ospitati il Duca d’Aosta e il Duca di Bergamo. Alla fine del conflitto 1940-1945 fu sede provvisoria di un comando tedesco e successivamente del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.).

VILLA BARBARO.PNG

Pedaliamo ancora per altri 600 metri. Ora teniamo la sinistra su via Cavalieri di Vittorio Veneto. Procediamo per 300 metri. Ora a sinistra in via Ruga per altri 500 metri. Teniamo ora la destra e poco oltre sulla sinistra ecco Villa Serena e il suo oratorio.

VILLA SERENA (già Paravia) 

 

E’ una semplice villa costruita nei primi decenni del 1700 dalla nobile famiglia veneziana Rubbi . La barchessa del ‘700 a grandi ed eleganti arcate è stata adibita per parecchi anni ad uso industriale. Gli archi sono stati chiusi sovrapponendo ad essi una tettoia successivamente eliminata. Nella parte posteriore della villa, due piccoli fabbricati a un solo piano, separati da un cancello, chiudono il giardino. Pare che fossero uniti da una loggia o da un muro con statue: uno di essi serviva da cucina e da dispensa; l’altro da sala da pranzo. Fra due finestre vi è ancora un bellissimo camino di marmo rosso di Verona. Durante la guerra 1915-1918 la villa ospitò un comando militare italiano e truppe inglesi che causarono gravi danneggiamenti a tutti i vani interni; furono asportate pure stampe antiche di grande pregio e parte degli stucchi preziosi andarono distrutti. Dei due piccoli fabbricati citati dal Mazzetti, quello che serviva da sala da pranzo è stato purtroppo assai danneggiato in quanto utilizzato come cucina per la truppa inglese.

 

VILLA SERENA

L’ORATORIO SERENA 

 

E' questo il più bell'oratorio del Comune, basti leggere la fervida descrizione che ne fa il Mazzetti in merito a Villa Serena di Paderno. La costruzione risale al 1731.
Sul frontone si legge la scritta: «Deiparae Desponsationis Virgini'Sacrum. D.O.M.». («Consacrato in onore della Vergine Madre di Dio con il titolo dello Sposalizio A Dio Ottimo Massimo»). Sopra il frontone si ergono le tre statue del Redentore, della Madonna e di San Giuseppe, che contribuiscono ad accrescere la bellezza dell'elegante tempietto . L'Agnoletti, alla data della pubblicazione della sua opera, riferisce che tale oratorio era ricco di reliquie. L'interno della chiesetta è ben conservato. In essa vi è il sepolcro di Paola Rubbi con il suo bellissimo busto in marmo sotto il quale è incisa l'affettuosa dedica del marito in lingua latina

 

ORATORIO SERENA

Sulla sinistra ora, una casa affrescata nel 1500, ,detta il Palazzin, sulla facciata della quale vi è un bellissimo stemma in marmo del 1850.

PALAZZIN

 

Entriamo ora a destra in via XXV aprile. Transitiamo nei pressi del centro sportivo di Ponzano Veneto girandoci praticamente tutto attorno e usciamo dopo circa 900 metri in via del Bellato. Ora andiamo a destra e pedaliamo per altri 150 metri; sulla nostra destra ecco Villa Gosetti.

VILLA GOSETTI (ora Zanetti)

 

«Costruita nel 1700 con caratteri seicenteschi, è un bell’edificio a tre piani. All’interno soffitti a travature alla sansovina, stucchi settecenteschi e qualche caminetto di elegante fattura. Barchessa e foresteria con bel camino in un’unica costruzione e pozzo seicentesco. Bei cancelli in ferro battuto» . La villa in parola fu eretta dai nobili veneziani Beliate. Successivi proprietari furono gli eredi Gosetti nobili di Sturmeck e Maria Giani Gosetti, che donò la villa, pinete e prato all’Opera Pio Istituto Ciliota di Venezia, mentre la parte terriera venne acquistata dal Conte Persico. Fu poi proprietario un certo Volpato ed infine i signori Zanetti che tuttora vi abitano. Alcuni locali della Villa servirono da Asilo Infantile per Merlengo e Paderno dal 1922 al 1956.

 

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Entriamo ora in via Calcina est, procediamo per circa 200 metri. Teniamo ora la destra in via Guglielmo Ciardi ( ora la strada si fa sterrata ): così per 1,2 km, poi ancora a sinistra per altri 400 metri sino a uscire in via Talponera e girare a sinistra. Stiamo per andare a cercare una villa per la verità un po’ nascosta dalla vegetazione: si tratta di Villa Sorgato. Pedaliamo in direzione sud per altri 300 metri circa : sulla nostra destra ecco Villa Ghiozzi ora Sorgato.

VILLA GHIOZZI (ora Sorgato)
 

Ecco la descrizione del Mazzetti: «Villa costruita alla fine del 1500. Sulla facciata a nord, grande stemma con aquila bicipite; è tradizione che vi abbia soggiornato l’Arciduca Ranieri d’Austria, Governatore del Lombardo-Veneto. Da un lato barchessa con torre (colombera). Statue e busti fanno decorazione alle facciate. Uno scalone porta al primo piano: bei terrazzi alla veneziana con stemmi;. Vi è in questa villa una cosa curiosa: agli angoli del tetto, sulla facciata nord, vi sono due teste marmoree con braccia che reggono gli scarichi dell’acqua piovana come se fossero delle trombe angeliche». La villa durante la guerra 1915-1918 ospitò il Re Vittorio Emanuele III ed il gen. Cadorna. Completa il complesso della villa un oratorio ben conservato dedicato alla Sacra Famiglia.

VILLA GHIOZZI ORA SORGATO

Procediamo su via Talponera per altri 500 metri. Sulla nostra destra allora Villa Corner

VILLA CORNER (ora De Blasi) e le nude figure offensive…

 

Così la descrive il Mazzetti: «La villa fu fatta fabbricare dalla famiglia patrizia dei Corner nel 1700.  Di aspetto assai semplice, ha un corpo centrale a tre piani e due ali, di cui una collegata ad altre adiacenze. Questa villa un tempo fu molto nota per stupendi affreschi di G.B. Tiepolo che decoravano la sala centrale del primo piano, affreschi minutamente descritti dal Crico nel 1833: «io non vidi mai — egli dice — alcun affresco del Tiepolo così ben conservato» e di cui oggi rimane solo una incerta traccia, poiché, rispettati dal Vescovo Soldati, che per alcuni anni fu proprietario della villa, furono fatti “cancellare” dal successivo proprietario Marchese Bandini, cui le nudità delle figure risultavano offensive. Essi rappresentavano il Sacrificio d’Ifigenia, la sua fuga in Tauride, un trionfo di Diana (la più casta — osserva il Semenzi — fra le divinità pagane), ecc. Fra le incerte luci e ombre delle vaghe figurazioni rimaste, appaiono ancora sui muri alcuni bellissimi particolari simili ad alte cime illuminate dal sole fra squarci di nubi. Questa villa durante la guerra 1915-1918 fu sede del IV Corpo d’Armata. Gli anziani ricordano che il Re Vittorio Emanuele III ebbe qui ospitalità più volte durante lo svolgimento della Battaglia del Piave.

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Qualche metro più avanti ed eccoci alla Parrocchiale di Merlengo. Qui si chiude il nostro viaggio.

MERLENGO E LA SUA CHIESA

Dalle bolle papali e dai placiti imperiali risulta che Merlengo e San Vito sono sempre stati accomunati. Per quanto riguarda la nascita del paese di Merlengo si è propensi a credere che detta frazione abbia preceduto quella di Ponzano e di Paderno e che i suoi primi abitanti siano stati di origine longobarda; tuttavia non esisterebbero prove a sostegno di tali ipotesi. Il Marchesan nella sua opera «Treviso Medievale» accenna al «placito di Enrico I dell'anno 1021 tenuto insolario proprio beatissimi S. Zenonis, presso Verona». Nel placito l'imperatore stabilisce che «sono aggiudicate alla Badia di S. Zeno sei chiese del Comitato Tarvisiano, contro le pretese dei conti di Treviso», la sesta delle quali è così descritta: «Sexta ecclesia que est constructa in honore S. Viti in Postoima, non multum longe a loco ubi dicitur Marlengo». «E finalmente l'Imperatore Federico II, riconfermando tutti gli antichi privilegi concessi alla badia zeniana dai suoi antecessori, ricorda pure nel Contado trivigiano tutte le suddette chiese», tra cui «In Postormio (Postioma) ecclesiam S. Viti et Marlengo ecclesiam S. Bartholomei cum suis pertinentiis et duos mansos juxta planum in Palumbo... Anche oggi la chiesa parrocchiale di Merlengo continua ad intitolarsi a S. Bartolomeo apostolo; e nel suo territorio v'era pure (e continua ad esserci) L'ecclesia S. Viti de Postoima ».Secondo alcune fonti le origini di tale frazione risalirebbero all'epoca degli Ottoni di Germania mentre altri le attribuiscono a quella dei Longobardi; S. Vito poi apparterrebbe a quella' antecedente dei Franchi. Il nome stesso Merlengo potrebbe derivare dal germanico «Merling» e non da merli canori nei legni (rozzamente pronunciati leng) o da vico dei merli come propone L'Agnoletti. Nell'occasione della tragica distruzione della famiglia degli Ezzelini da Romano avvenuta il 24 agosto 1260, il vescovo di Treviso Alberto Ricco, come ringraziamento a Dio per la liberazione ottenuta, dedicava alcune chiese allora in costruzione, a San Bartolomeo, perché come detto in precedenza, nella festa di tale santo tutta la diocesi riacquistò la libertà. Pertanto, con la benedizione episcopale del 1261, la chiesa di Merlengo ebbe riconfermato il proprio titolare. Per quanto concerne la chiesa attuale, essa fu iniziata nel 1707 «ma fu compiuta a riprese e con diverso disegno; il coro d'ordine composito, vi venne aggiunto dopo il 1800».

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Grande impressione e memoria ha lasciato la prima guerra mondiale. Gli anziani ricordano l'occupazione delle ville da parte dei Comandi Militari impegnati a dirigere le operazioni difensive sul Piave, sul Montello e sul Grappa, ove l'avversario aveva concentrato il suo sforzo bellico per sfondare ed invadere la pianura. I vecchi rammentano altresì le ripetute visite del Re Vittorio Emanuele III, in semplice divisa grigio-verde, a Villa Folco-Zambelli, sede dell'8° Corpo d'Armata, comandato dal Generale Gandolfo, ed alla villa Pavan, sede del Comando della Terza Armata, diretta dal Duca Emanuele Filiberto d'Aosta. Erano accampati nei dintorni i soldati del 73° Reggimento Fanteria ed altri reparti in attesa di raggiungere la zona di combattimento. Numerose trincee solcavano la zona agricola e parecchie casematte sorgevano quale argine di difesa per la temuta invasione nemica. Avvenne qui qualche fatto di guerra. In data imprecisata un apparecchio nemico, forse un ricognitore od un caccia, sorvolò il territorio. Si levò in volo un caccia italiano dall'aeroporto provvisorio di Istrana che affrontò l'audace incursore e lo abbatté. Il pilota italiano era il maggiore Francesco Baracca. L'aviatore nemico si salvò con l'uso del paracadute scendendo in località Cai di Campagna. Baracca, rientrato alla base, con un automezzo ritornò a Merlengo per vedere l'aereo da lui abbattuto. Nell'inverno 1917-1918 la contraerea appostata ad Istrana colpì un apparecchio da bombardamento austriaco sul terreno dei Panziera che cadde su una trincea. Portava a bordo quattro uomini di cui uno, lanciatosi con il paracadute, si sfracellò al suolo per il mancato funzionamento del congegno di salvataggio. Gli altri tre caddero con il velivolo e tutto finì in un rogo impressionante. Alcuni vicini subito intervenuti nulla poterono fare per soccorrere gli aviatori nemici. E passiamo alla seconda guerra mondiale durante la quale, in Merlengo, si registrò un suicidio accidentale nell'inverno 1943-1944.Un giovane partigiano, la cui identità non è nota allo scrivente, sbucando da un pagliaio ove si trovava nascosto, si ferì mortalmente con il mitra che aveva in dotazione. Il cadavere ebbe sepoltura provvisoria nel cimitero locale. Come detto altrove, le ville di Merlengo, verso la fine della guerra 1940-1945, ospitavano comandi tedeschi che rendevano assai precaria la vita dei giovani renitenti ed in particolare quella dei partigiani. Nello stesso periodo, alcuni soldati nemici, fuggiti dai campi di prigionia, venivano tenuti nascosti nei casolari sperduti nella campagna. Terminata la seconda guerra, come accadde anche dopo la prima, sopravvenne la disoccupazione, fenomeno penoso, che costrinse non poche persone ad emigrare in paesi europei ed oltre oceano.


Le vicende della Pala di Sant'Osvaldo. Questa «vaghissima tela», come la definisce il Fapanni, è un'opera pregevole di Gian Domenico Tiepolo, figlio del grande Giambattista; fu dipinta nel 1750 allorché il padre lavorava presso la Villa Corner (ora Di Blasi) di Merlengo.
Verso la fine del secondo conflitto mondiale, le frequenti incursioni aeree anglo-americane, nonché la presenza di truppe tedesche in questo territorio, preoccuparono le autorità circa la sorte di tutte le opere d'arte, tra le quali figurava anche quella in argomento.
Di questa si occupò personalmente il cav. Mario Botter di Treviso che nel pomeriggio del 13 marzo 1945 la tolse dall'altare dove era stata collocata e la trasferì nella cripta del Duomo di Treviso assieme ad altre opere destinate in un secondo tempo ad essere custodite a Venezia, considerata «città franca». Senonchè il bombardamento aereo effettuato alla sera di quello stesso giorno, indusse il Botter ad accelerare i tempi. Il 15 marzo, con l'aiuto dell'Assistente alla Regia Soprintendenza ai Monumenti Romano Bastianello, trasportò in bicicletta a Venezia detta pala, non avendo egli a disposizione altri mezzi più idonei, ed il giorno successivo la consegnò al Regio Soprintendente alle Gallerie dott. Vittorio Meschini. Il dipinto venne restituito alla chiesa di Merlengo il 23 marzo 1946, sempre a cura della Regia Soprintendenza di Venezia, in ottimo stato di conservazione, anzi pulito e sapientemente restaurato. La popolazione di Merlengo accolse giubilante il ritorno di questa meravigliosa opera, della quale è sempre stata orgogliosa.

 

Presso la chiesa di Merlengo si conclude dunque la nostra pedalata : 37 km di ville, oratori e chiese!

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