MOGLIANO VENETO IN BICICLETTA
Caratteristiche tecniche del percorso
Lunghezza : km. 51
Difficoltà : facile
Stagioni: tutte
Mogliano Veneto è un comune di circa 30.000 abitanti posto nella estremità sud della provincia di Treviso, a ridosso dunque della provincia di Venezia. Il suo territorio è del tutto pianeggiante ed il suo terreno per lo più argilloso: questo ha permesso che le acque rimanessero in superficie creando una rete idrica piuttosto rilevante: il fiume principale che scorre nel suo territorio è lo Zero, che passa vicino al centro; a sud invece, presso la frazione di Marocco scorre il fiume Dese. Ma abbiamo detto che è un territorio pieno di acque e quindi vanno ricordati qui anche fossi e canali di scolo come il Pianton, la Fossa Storta, il Zermanson, la Peseggiana. Un tempo era un territorio davvero ricco di foreste, ma di queste non resta più quasi nulla se non qualche toponimo (Selve, Olme, Roette).
IL TERRITORIO E LE ACQUE
Il Toponimo ( Molius o mojo?)
Il nome della città sembra essere di origine romana: praedium Molianum doveva chiamarsi il complesso dei possedimenti di un certo Molius. È certo infatti che la zona appartenesse all'agro di Altino e come tale era intensamente coltivata. Un'altra ipotesi, certamente più fantasiosa, fa risalire il toponimo al veneto mojo cioè "umido", "acquitrinoso".
Un po’ di storia
Il primo documento storico che cita Mogliano è del 997, anno nel quale Rozone, vescovo di Treviso, concesse all'abate Vitale la costruzione di un monastero benedettino perché la zona fosse bonificata e ripopolata. Nel 1074, quando l'opera fu compiuta, i monaci furono sostituiti dalle monache, che resteranno nell'abbazia sino al Quattrocento.
La zona di Mogliano, collocandosi tra i territori del comune di Treviso, del comune di Padova e della Serenissima fu spesso colpito duramente dalle lotte che li opponevano. Oltretutto, l'abitato era un passaggio obbligato per le truppe, vista la posizione lungo l'arteria del Terraglio: da ricordare in particolare nel 1255 le guerre di Ezzelino III da Romano che devastarono il suo territorio; nel 1311 è la volta dei soldati imperiali di Enrico VII che bruciarono la chiesa. E la lista continua inesorabilmente sino al 1388, quando Treviso si sottomise definitivamente a Venezia, e con essa Mogliano. Frattanto era stata fondata la scuola dei Battuti, una confraternita laica di ispirazione cristiana che gestirà un ospedale per i bisognosi sino al 1806, quando le leggi napoleoniche sopprimeranno gli ordini monastici e le associazioni religiose. La confraternita fu fondata attorno al XIV secolo da un tal Venturino e dai coniugi Antonio e Cristina dei Seminati, tre Veneziani. La scuola fondava i suoi principi sulla mariegola (storpiatura dialettale di "madre regola"), una sorta di statuto. Come sta scritto nella mariegola, il fine dell'associazione era la "salvacion de le aneme di nostri frateli e sorele de questa fraternitade" che gli affiliati, uomini e donne tutti rigorosamente laici, si proponevano di realizzare attraverso opere di carità, preghiere e altri rituali religiosi, come le processioni. La mariegola ne indicava un numero preciso all'anno e chi non adempiva agli obblighi veniva sanzionato con un'ammenda in denaro. Una particolare importanza era data ai funerali di un confratello o di un parente, a cui tutta la scuola era tenuta ad partecipare attivamente. Durante questi avvenimenti, gli affiliati si distinguevano da un gonfalone e da una divisa, una cappa bianca con cappuccio, cordone e stemma della scuola.
Nel 1413 le monache lasciarono Mogliano e si trasferirono nel convento San Teonisto, entro la più sicura Treviso. Portarono con sé un inestimabile patrimonio, ma ne restò una buona parte nella parrocchia del paese anche se nell'ottocento, Napoleone ordinerà l'incameramento dei beni custoditi dai religiosi e, per negligenza o per la confusione del momento, essi andranno perduti.
Nel 1516, finite le guerre tra la Lega di Cambrai e Venezia, il paese attraversò un lungo periodo di pace. I patrizi veneziani volgevano ora i loro interessi verso la terraferma: fiorì l'agricoltura e furono innalzate le magnifiche ville tuttora esistenti.
Con la caduta di Venezia 1797, Mogliano passò dai Francesi agli Austriaci e viceversa, ma dal 1815 divenne definitivamente austriaca. Durante questo periodo Mogliano conobbe un sensibile sviluppo edilizio, in particolare lungo il Terraglio, nelle vie di comunicazione per raggiungere Venezia e per facilitare scambi con le città vicine. Gli attriti con l'amministrazione straniera comunque non mancarono, e nel paese il patriottismo fu sempre vivo, specie tra gli anni Quaranta e Cinquanta: testimonianza ne è la brutale esecuzione dei due moglianesi Luigi Vanin e Antonio Pilon. Con la terza guerra di indipendenza, il Comune di Mogliano diviene parte del Regno d'Italia. Venne rinominato "Mogliano Veneto" nel 1868 per distinguerlo dall'omonimo Mogliano situato nelle Marche.
Durante la prima guerra mondiale il paese non fu coinvolto direttamente nei combattimenti, ma le sue ville divennero sedi delle armate impegnate sul basso Piave e ospedali militari. La guerra lasciò un'eredità pesantissima a Mogliano: oltre al consistente numero di caduti, dilagavano in città disoccupazione, epidemie e povertà. La situazione tuttavia migliorò relativamente anche grazie allo sviluppo della coltivazione della pesca che, nel periodo tra le due guerre, divenne prodotto tipico del paese, rinomato a livello internazionale.
Anche la seconda guerra mondiale portò distruzione nella zona: numerosi furono i bombardamenti degli alleati, che colpirono le infrastrutture e le vie di comunicazione, e le retate fasciste, che arrestarono e deportarono numerosi moglianesi coinvolti nella resistenza…
L’organizzazione amministrativa – le frazioni e le zone ieri e oggi
L'attuale territorio comunale era organizzato negli antichi colmelli (1781). Le ville di Mogliano, Campocroce, Zerman e Bonisiolo furono comprese nel territorio di Treviso per tutto il medioevo. Ma con l'avvento della Repubblica di Venezia, il territorio della Marca, essendo troppo vasto, fu suddiviso in più podesterie e, caso piuttosto singolare, la villa di Mogliano si trovò divisa a metà tra le podesterie di Treviso e di Mestre, seppur compresa in un'unica parrocchia. In particolare, a Treviso apparteneva la zona ad ovest del Terraglio e quella attorno alla pieve; a Mestre apparteneva invece la zona ad est. Oggi invece, come riportato nello statuto comunale, è riconosciuto lo status di frazione agli abitati di Bonisiolo, Campocroce e Zerman. A queste tre borgate storiche si sono aggiunti i due quartieri di Marocco e Mazzocco, prodotti della recente espansione urbana
Marocco si trova all'estremità sud del territorio, estendendosi in parte nel comune di Venezia. Il centro è sorto in un'area rurale apprezzata in passato dai nobili veneziani, i quali vi hanno lasciato diverse ville.
Mazzocco costituisce l'appendice orientale di Mogliano. Anche in questo caso, i monumenti di maggior interesse sono alcuni palazzi signorili.
Oltre alle cinque località appena ricordate, vanno citati numerosi altri toponimi, sebbene molti siano ormai caduti in disuso.
Ghetto - Localmente el Ghèto, è la zona rurale attorno al piccolo agglomerato di case a metà delle via omonima (estremità ovest del comune). La località era anticamente detta Valle Longha, poi Valonga, stando ad indicare un'area depressa e paludosa. Più tardi si passò alla forma attuale attraverso la contrazione di Valonghetto, in quanto al toponimo si è sovrapposto il cognome dell'omonima famiglia Valongo, popolarmente soprannominata "Valonghetto".
Lazzaretto - In dialetto Łasaréto si riferisce alla campagna di via Cortellazzo, all'estremità est del comune. In passato nota come San Paolo, assunse questa denominazione quando, durante la prima guerra mondiale, vi si allestì un piccolo ospedale per curare i militari colpiti da malattie infettive.
Marignana - Indicherebbe la zona meridionale del comune ad ovest del Terraglio (compreso il quartiere attorno alla chiesa di Sant'Antonio), anche se oggi si preferisce estenderle, impropriamente, il toponimo Marocco. Venturini rimanda l'origine del nome ai veneziani Marini, proprietari di una villa nei dintorni (XVII secolo), ma è probabilmente più antico essendo la regula Marignani attestata almeno dal 1315.
Olme - Ovvero łe Olme, rappresenta la zona ad est del centro, dove via Zermanesa (già via Olme) scavalca lo Zero. Prende il nome da un antico bosco di olmi.
Ronzinella - Ła Ronzineła o Ronsineła, è la zona a sud della via omonima, nel tratto in cui questa si immette nel Terraglio. Delle varie ipotesi, la più accreditata la collega alla famiglia dei Roncinelli, attestata nel medioevo.
Torni - Localmente i Torni. Ad est del centro, lungo l'omonima strada che conduce a Marcon. Il toponimo trae origine dalla nobile famiglia Battistiol Torni che possedeva la villa attuale sede dell'istituto Gris.
Il terraglio. Mogliano è letteralmente tagliata in due da una delle strade forse più antiche dell’intera provincia: il terraglio. Per Terraglio si intende il primo tratto della SS 13 "Pontebbana". Con il termine terraleum si indicava, in latino medievale, un terrapieno ottenuto con il materiale di escavo dei fossati, ovvero un grosso argine sopraelevato. È questa in effetti l'origine del Terraglio, nato grazie al materiale di riporto accumulatosi durante la realizzazione di una via d'acqua che congiungesse Treviso a Mestre. Non è chiaro se la costruzione della strada fosse voluta o accidentale; è probabile infatti che il progetto originale intendesse realizzare solo un canale e che i lavori furono interrotti quando si era già formato un terraleum. Certamente si tratta di una strada di origine relativamente recente (citata a partire dal 1153), essendo il suo andamento indipendente dalla centuriazione romana; inoltre, è provato che in precedenza i collegamenti tra Mestre e Treviso erano basati su percorsi alternativi, sebbene alquanto scomodi, tra cui il cosiddetto Terraglio Vecchio o Terraggetto del quale restano ancora alcuni tratti. Principale arteria per i collegamenti tra la terraferma e la laguna di Venezia, fu sfruttata anche da numerosi eserciti armati. L’alta frequenza di passaggio provocò il dissesto della strada che richiedeva quindi una continua manutenzione. Gli assalti dei briganti che si succedevano in continuazione vennero bloccati con la distruzione dei boschi, rifugio per i malviventi, che fiancheggiavano la strada. Vennero creati anche ospizi, ospedali e locande che assunsero la funzione di assistenza e di rifugio per i numerosi viandanti. Sebbene sia opinione comune che l'alberata monumentale di platani risalga alla dominazione napoleonica (lo stesso imperatore percorse la strada nel 1797 e nel 1807), i vecchi documenti dimostrano che essa è stata posta a dimora tra il 1864 e il 1868 in sostituzione di un preesistente doppio filare di pioppo cipressino, piantato, in due diversi interventi, tra il 1828 e il 1832.
E allora cominciamo a pedalare! Il nostro punto di partenza è posto in piazza dei Caduti di fronte al municipio comunale.
Piazza dei Caduti e il Municipio
Il complesso sorse negli anni venti per sostituire l'attuale piazza Duca d'Aosta, allora piazza Maggiore. Quest'ultima, dove avevano sede le principali istituzioni, era divenuta scomoda perché attraversata dal Terraglio, arteria che, con la diffusione delle automobili e dei tram, diveniva sempre più trafficata. La piazza fu costruita sullo spiazzo dove si svolgeva il mercato e fu attorniata dal municipio, opera dell'architetto Mario Fabris e dagli altri edifici porticati. Fu inaugurata il 4 luglio 1926 alla presenza del Duca d'Aosta. Inizialmente intitolata a Vittorio Emanuele III, mutò la denominazione con l'attuale durante gli anni della resistenza.
Il municipio
Si tratta di un edificio dall'esterno sobrio, mentre gli interni, più decorati, seguono lo stile dell'art déco. Al centro della piazza si trova il monumento ai caduti, opera di Giuseppe Vasco Vian. Alla fine degli anni ottanta la porzione settentrionale della piazza fu rialzata con un basamento di cemento, secondo un progetto molto discusso. In anni recenti le è stato restituito un aspetto più simile all'originale
Lasciamo il municipio alla nostra destra e pedaliamo in direzione ovest verso il terraglio per circa 100 mt. Usciamo ora sul terraglio girando a destra. Procediamo per 1 km ed eccoci al primo incontro con il fiume Zero. Sulla nostra sinistra il Mulino Valerio.
Mulino Valerio
Lungo il fiume Zero, si rivolge al lato sinistro del Terraglio andando da Mogliano a Treviso. La grande costruzione che si vede dalla strada nasconde alla vista un mulino più antico citato dalla fine del Settecento come proprietà del medico Francesco Brachi. Dal 1830 risulta dei Berizzi, costruttori del nuovo complesso. Passò poi ai Caberlotto e, nel 1949, ai Valerio. Il complesso ha funzionato sino a pochi decenni fa
Lasciamo il mulino Valerio e procediamo per circa 250 metri. Sulla sinistra ecco allora Villa Buratti.
Villa Buratti (XVIII sec.)
Fu realizzata nella seconda metà del Seicento o, secondo altri, nel Settecento. Un'iscrizione posta all'interno del salone centrale afferma che il costruttore fu Domenico Codognato, cui passò poi ai figli Giuseppe e Marco. Nel 1835 venne acquistata da Arcangela Brinis, vedova del poeta vernacolo Pietro Buratti, e fu quindi ereditata dal figlio Antonio. Nell'aprile del 1848 vi fu ospitato il generale Giovanni Durando che si apprestava a soccorrere i patrioti veneti in vista del ritorno degli Austriaci.
Altri 200 metri sul terraglio e quindi andiamo a destra in via Bianchi per 800 metri: giriamo ora a sinistra; dopo 250 metri eccoci ad attraversare il Rio Zermanson.
Andiamo avanti ancora per 150 metri e quindi a destra. Avanti per altri 1,1 km e andiamo a destra in via Croce. Ecco che circa 1,6 km più avanti ci troveremo nel complesso di Villa Condulmer.
Villa Condulmer ( Zerman) e Giuseppe Verdi
Le origini del complesso sono incerte. Gianfranco Scarpari la ritiene genericamente settecentesca; Giuseppe Venturini è più preciso e la data 1743 su commissione del patrizio Alvise Condulmer (senza però riportarne le motivazioni); Giuseppe Mazzotti la colloca nel Seicento. Una tradizione, inoltre, asserisce che la villa fu costruita demolendo un antico monastero e si ipotizza che la lunga barchessa ortogonale alla casa domenicale ne sia in realtà un resto. Poco dopo la fine della Serenissima, i Condulmer si estinsero e i beni andarono in eredità ai Grassi (proprietari del noto palazzo Grassi di Venezia). In questo periodo, dal 6 marzo 1853, la villa ospitò Giuseppe Verdi, al quale il Tornielli aveva offerto alcuni giorni di riposo dopo la tanto criticata "prima" della Traviata. uno stemma gentilizio.
Lasciamo ora Villa Condulmer e procediamo per circa 100 metri. Ci stiamo addentrando in Zerman. Usciamo da via Croce e svoltiamo a sinistra: poco oltre sulla nostra sinistra ecco un capitello.
Il Capitello della Madonna di Loreto
E' dedicato alla Madonna di Loreto e riporta sulle pareti laterali interne San Francesco e San Carlo; gli affreschi sono attribuiti - con qualche riserva - alla scuola Veronese. All'esterno, una Crocifissione che il tempo ha parzialmente cancellato.
Zerman, i Germani e i Collalto Zerman è una frazione di Mogliano.Occupa la porzione nord-orientale del territorio comunale. La zona, è attraversata da alcuni modesti corsi d'acqua che sono: lo scolo Serva, lo scolo Servetta e il rio Zermanson, il primo affluente del Sile, gli altri dello Zero. Secondo Carlo Agnoletti, il paese trarrebbe il nome dalla sua chiesa: essa era infatti detta S. Elena de Zermanis per distinguerla dalla vicina S. Elena super Silerem che si trova a Sant'Elena di Silea; l'appellativo de Zermanis le sarebbe derivato dal fatto che si trovava sotto la giurisdizione Collalto, nobili di origine germanica. Altre ipotesi lo fanno più antico, ritenendolo un prediale legato a un Germanius (praedium Germanianum), oppure riferito ad un ospizio per genti di origine germanica (Germanorum mansio).
Lasciato il capitello entriamo ora a destra in via della Chiesa: qualche metro e quindi a destra eccoci nel complesso della parrocchiale.
La parrocchiale di Zerman e Palma il Vecchio
Intitolata a Sant'Elena Imperatrice e di origini molto antiche, l'attuale edificio risale per la verità solo alla fine del XIX secolo, su progetto di Giuseppe Segusini. Contiene varie opere d'arte, tra cui una Madonna con Bambino e santi opera di Palma il Vecchio e altre tele di insigni autori quali Carletto Caliari e il contemporaneo Oleg Supereko
Il Capitello dietro la Chiesa
Questo capitello del XVI secolo, conserva una "Deposizione" ritenuta dagli esperti opera di Paolo Veronese, anzi il meglio di quello che egli ha lasciato a Zerman. Le figure poste sulle altre pareti interne sono opera di un pittore alquanto mediocre. Secondo la tradizione pure del Veronese erano le pitture delle pareti esterne di questa edicoletta, purtroppo molto danneggiate e visibili solo a tratti .
Torniamo ora sui nostri passi e ritorniamo in via Chiesa: giriamo a destra e procediamo per circa 100 metri: sulla nostra sinistra ecco Villa Da Riva.
Villa Da Riva
Gli studiosi sono concordi nel collocarne la costruzione nel XVI secolo, tesi avvalorata quando, nel 1975, sono stati scoperti affreschi dell'epoca sotto uno strato pittorico settecentesco. Il complesso fu ereditato da Angelo Zon nel 1855, ma già nel 1869 veniva acquistata dal conte austriaco Samuele Giulay. Dopo vari altri passaggi di proprietà, nel 1888 fu comprata dal bellunese Giuseppe Zuliani, passando poi al figlio Alberto. Ospite della famiglia Da Riva fu Paolo Veronese, autore forse degli affreschi della facciata e degli interni, coperti da quelli del Cedini. Durante la permanenza, il pittore avrebbe lasciato altre opere presso la chiesa e i sacelli di Zerman. La cortina è interrotta al centro da un grande cancello in ferro battuto delimitato da due pilastri ornati da statue.
Proseguiamo ora in direzione est in via Sant'Elena per circa 450 metri: usciamo sulla sinistra e poco oltre sulla destra ecco Villa Braida
Villa Braida
Non è propriamente una villa veneta, in quanto è relativamente tarda, innalzata infatti attorno al 1820. A tre piani, è affiancata da due barchesse. L'edificio fu commissionato da Giovanni Braida, il cui figlio Tito fu tra i fondatori della SADE, mentre il nipote Nicola ne divenne pure dirigente. La villa, cui poi furono annesse una fabbrica di colori, una cartiera e una piccola fonderia, passò al comandante Giuseppe Cutrone, a Luigi Mastea e agli Ancilotto. Ridotta così a semplice azienda agricola, privata del parco e degli arredi esterni, è stata recuperata quando è divenuta un albergo.
Lasciata villa Braida procediamo per altri 2,2 km ( superiamo due rotonde ). Sulla seconda andiamo a destra in via Altinia. Circa 1 km più avanti sulla nostra destra ecco la nuova parrocchiale di Bonisiolo.
BONISIOLO ( il buon suolo )
Secondo Carlo Agnoletti, Bonisiolo dovrebbe essere un composto dei termini latini bonum e solum, cioè "suolo buono". Confermerebbe ciò anche il toponimo Altobello, riferito alla zona a sud-ovest dell'abitato, indicante un terreno più elevato e fertile. Questa ipotesi potrebbe richiamare a delle opere di bonifica, condotte forse dai monaci dell'Abbazia di Santa Maria Assunta. Tuttavia Bonisiolo è entrata sotto la giurisdizione di Mogliano solo in un'epoca relativamente recente. Certamente la località non ebbe grande importanza nel medioevo, come dimostrano le scarse menzioni negli scritti antichi: una bolletta di pagamento del 1336 attesta che due suoi abitanti furono premiati per avere ucciso due lupi; si sa inoltre che nel 1330 prè Bello, rettore della cappella di Sant'Andrea, aveva raccolto con una colletta 5 lire venete per supportare la guerra contro i Turchi, e che analogamente, nel 1344, il successore prè Bonsignore ne inviò 15. Solo a partire dal 1470, anno in cui la Madonna apparve a una sordomuta, Bonisiolo assunse una certa importanza come meta di pellegrinaggi.
La Fossa d'Argine
Ad est della frazione, lungo il confine con Quarto d'Altino e in prossimità del raccordo fra A4 e A57, esiste ancora la Fossa d'Argine, un canale artificiale di antichissime origini scavato per collegare il Sile allo Zero e al Dese. La tradizione la rimanda a Liutprando, re dei Longobardi, e al doge Paoluccio Anafesto, che la realizzarono per segnare i limiti dei rispettivi territori. Citata in un diploma di Carlo Magno dell'803 e in un placito di Ottone III del 998, tutt'oggi la fossa mantiene le sue funzioni di confine dividendo la provincia di Treviso da quella di Venezia.
La parrocchiale
La parrocchiale è un edificio recente progettato dall'architetto Gino Vettorazzo e consacrato il 18 marzo 1954; intitolata a Sant'Andrea, dipende dalla Diocesi di Treviso. La chiesa precedente, demolita per fare posto all'attuale, era di antiche origini, citata già nel 1152 come cappella dipendente dai monaci di Casier.
Lasciamo ora la parrocchiale e procediamo per altri 700 metri: siamo ora nella piazzetta ove ha sede il santuario della Beata Vergine delle Grazie.
Il Santuario della Beata Vergine delle Grazie
Il luogo sacro più rilevante è comunque il Santuario della Beata Vergine delle Grazie, piccola costruzione risalente alla prima metà del Seicento. Sembra che qui, nell'agosto del 1470, una ragazza sordomuta fosse stata miracolosamente guarita in seguito ad un'apparizione della Vergine, la quale le comunicò il desiderio di far erigere una cappella in suo onore. Inizialmente fu innalzato un modesto sacello nel quale fu collocata un'immagine della Madonna, secondo qualcuno dalla scuola di Tomaso da Modena, secondo altri addirittura del Veronese (ma di fatto, l'autore è del tutto ignoto). Una tradizione afferma inoltre che durante lo scavo delle fondamenta, fu portata alla luce una statua della Vergine col Bambino unita al tronco di un noce che, trasportata nella chiesa di Sant'Andrea, fu miracolosamente ritrovata il giorno dopo sul luogo originario; la statua sarebbe andata perduta, ma il tronco si troverebbe sotto l'altare del Santuario. La chiesa attuale fu costruita però più tardi dal veneziano Zaccaria Bernardo, facoltoso armatore residente nella vicina Zerman. Scampato ad una tempesta presso le coste egiziane, promise alla Madonna di Bonisiolo, a cui attribuì la propria salvezza, di ampliare il sacello in una vera e propria chiesa. Ma la notizia del miracoloso salvataggio si sparse rapidamente nei dintorni: già nel 1601, ancor prima dell'inaugurazione della nuova chiesetta, la parrocchia di Mogliano organizzò un primo pellegrinaggio nel luogo di culto. Nel piano della sagrestia restano ancora le fondamenta del sacello originale. Sull'altare maggiore si trova l'immagine della Madonna col Bambino (di cui si è già parlato sopra), opera di scuola veneta dell'inizio del XVI secolo (forse un affresco staccato dall'antico sacello). Un cenno meritano gli ex voto: un documento del 1625 descrive come già le pareti dell'edificio si fossero coperte di oggetti votivi, le quali continuarono ad accumularsi sino all'inizio dell'ultimo restauro, nel 1943. Da allora rimangono quelli contenuti in due bacheche e, soprattutto, quello offerto dallo stesso Bernardo: il modellino di una nave, ricavato dal legno della stessa imbarcazione su cui era a bordo.
Lasciamo ora il santuario e procediamo in direzione est per altri 50 metri e procediamo dritti su via Angioli.
Casa Angioli ( la casa che non c'è più )
Quella che si presentava come una vecchia casa colonica posta verso la fine di via degli Angeli, era in origine la sede di una confraternita di religiose legate al convento di Santa Maria degli Angeli di Murano. Il piccolo monastero, che dal 1570 aveva giurisdizione anche sulla parrocchia di Bonisiolo con il diritto di nominarne il curato, fu soppresso nel 1656. In seguito edificio e fondo annesso passavano alla commenda di San Giovanni del Tempio di Treviso e vi rimaneva sino alle soppressioni napoleoniche del 1810. L'edificio è stato demolito negli anni 2000 per realizzare il raccordo tra la tangenziale di Mestre e il passante.
Procediamo per circa 600 metri ed entriamo a sinistra in via Prati. Scendiamo per altri 600 metri, facciamo il sottopasso e recuperiamo a destra lo sterrato che corre lungo l'autostrada. Pedaliamo qui per 1,2 km e poi scendiamo a sinistra in via Pasqualetto.
Sconfinando verso Marcon...
Seguendo questa via per circa 2,2 km ci troveremo nei pressi della chiesa di Marcon. Noi procediamo dritti in direzione ovest per altri 600 metri sfiorando nell'ultimo tratto il percorso del fiume Zero. Giriamo ora a sinistra in via Zermanese e procediamo per circa 200 metri e giriamo a sinistra in via Montegrappa. Pedaliamo per circa 2 km,poi una rotonda e quindi dritti: qualche metro più avanti alla nostra destra il complesso di Villa Torni.
Villa Battistiol Torni, ora sede dell'istituto Gris.
Villa Torni ovvero l'Istituto pio "Costante Gris" è una villa veneta. Gli studiosi concordano nel ritenere questo edificio seicentesco. Nel 1882, la villa divenne un ospedale per il ricovero e il trattamento della pellagra per volere di Costante Gris (1843-1925), sindaco di Mogliano Veneto tra il 1878 e il 1886. Per poter far fronte al dilagante problema della pellagra, riuscì, grazie all'appoggio di altri benefattori, ad acquistare villa Torni per istituirvi l'ospedale, inaugurato il 31 ottobre 1883 e da lui diretto fino al 1925, anno della sua morte. Negli anni successivi l'istituto ampliò le proprie funzioni e fu necessaria la costruzione di altri edifici: venne aperta una casa di riposo per anziani indigenti, un manicomio e un asilo per bambini poveri. Debellata la pellagra, il complesso fu convertito nell'Istituto pio "Costante Gris", un ospedale psichiatrico. Tra i ricoverati vi fu anche pittore Gino Rossi che lasciò traccia del suo passaggio dipingendo un piatto con pesci sotto il porticato di uno degli edifici; la modesta opera è oggi quasi illeggibile. Resta ancora l'antico ingresso, rappresentato da un cancello in ferro battuto con la sigla FT ("famiglia Torni") compreso tra due pilastri ornati da statue (recentemente attribuite ad Antonio Gai). Per quanto riguarda gli interni della casa padronale, va citata una piccola stanza a sudest ornata di affreschi attribuiti a Giambattista Crosato: quelli sulle pareti raffigurano episodi della Gerusalemme liberata (Morte di Olindo e Sofronia e Armida e Rinaldo) mentre, sul soffitto, si trova un'allegoria dell'aurora. Sopra la porta che si apre nella parete ovest è riprodotto lo stemma dei Torni.
Torniamo un po’ sui nostri passi e quindi scendiamo a destra in via Tommasini. Procediamo a sud per circa 700 metri e quindi giriamo a destra in via Ronzinella. Pedaliamo per circa 350 metri e quindi svoltiamo a sinistra sulla provinciale n.75. Andiamo a sud per circa 2,3 km e quindi svoltiamo a destra: siamo ora in via Marocchesa. Novecento metri più avanti ecco Casa Amadi. Siamo ufficialmente entrati a Marocco!
Casa Amadi
Casa Sanudo, Amadi è un antico edificio di villeggiatura sito a Marocco di Mogliano Veneto. Nonostante le modeste dimensioni e l'estrema semplicità delle linee, rappresenta uno degli esempi più antichi di villa veneta. L'edificio è rappresentato già in una mappa del 1590 sui terreni dei patrizi Sanudo. In passato era possibile raggiungere l'edificio via fiume, in quanto il Dese scorreva in prossimità dell'edificio prima che il suo letto venisse rettificato. A testimonianza di ciò, esiste ancora la cavana, oggi adibita ad uffici.
MAROCCO! CHE NOME CURIOSO!
Con "Marocco" ci si riferisce alla zona in cui il Terraglio attraversa il fiume Dese, il quale funge da confine tra le due provincie di Venezia e Treviso. Più precisamente, indicherebbe l'area un tempo occupata dagli antichi colmelli di San Zulian e San Nicolò sulla riva mestrina e di Marocco sulla riva moglianese ad est del Terraglio. Negli ultimi tempi il toponimo si è esteso però anche alla località Marignana, che sorge in comune di Mogliano ad ovest della strada, dove nel secondo dopoguerra è sorto un quartiere residenziale. Una paretimologia fa derivare il toponimo (attestato dalla metà del XIV secolo) da "mar rauco", sostenendo che la costa un tempo giungeva sino a Marocco. L'ipotesi più verosimile, comunque, lo avvicina a Matruchus o Madruchus, nomi propri assai diffusi tra i Goti (a cui si ricollegano i toponimi Dese e Castelcigoto).
Torniamo ora leggermente sui nostri passi e andiamo a sinistra in via Leonardo Ragusa. Pedalato per circa 2,2 km, ci ritroveremo in via Ronzinella. Giriamo a destra e quindi cinquanta metri dopo a sinistra in via Alzaie. Un chilometro più avanti eccoci in via Zermanesa, la attraversiamo e andiamo avanti per altri 50 metri e quindi giriamo a sinistra in via A.Vanzo: trecento metri più avanti sulla nostra sinistra ecco Villa Gavioli.
Villa Gavioli
Si erge in fondo a via Morandi, deturpata dall'espansione urbana degli anni settanta. Il parco della villa, infatti, si estendeva sino all'attuale via Zermanesa (l'antica strada per Casale) e la stessa via Morandi ne era il viale di ingresso. Il corpo centrale è a due piani e sottotetto, a cui si aggiunge un frontone. Ai lati si trovano due barchesse con i rispettivi porticati (interessanti gli affreschi dei soffitti) rivolti verso la villa. Fra la barchessa ad ovest e la casa padronale si trova l'oratorio intitolato a Sant'Antonio da Padova, mentre quella ad est è affiancata da un rustico con porticato ad archi ribassati. Interessante la facciata posteriore, adiacente a via Vanzo, con i camini a catino, il balconcino al primo piano e la facciata della cappellina. Proprio perché l'ingresso di quest'ultima si rivolge a questa parte, si ritiene che vi fosse un accesso al fiume Zero, che in origine scorreva nei pressi della villa. Costruita nel Settecento, la villa fu di Antonio Filiasi, poi di Francesco Epis. Nell'Ottocento era dei Donadoni, quindi dei Marchiori e dei Rosada (tra i quali si ricorda Luigi, secondo sindaco dell'epoca post-unitaria). Passò in seguito ad Augusto Chiarle; attualmente è dei Gavioli-Savio.
Ritornando a sud...
Lasciamo ora villa Gavioli e andiamo in direzione ovest per qualche metro sino a prendere a sinistra via Maroncelli. Avanti circa 150 metri e quindi a destra su via Zermanesa per altri 200 metri. Andiamo ora a sinistra in via I.Svevo per 400 metri e quindi a destra in via Barbiero per 300 metri. Ancora a sinistra in via Verdi per circa 300 metri. E’ verso la fine della via che sulla nostra sinistra troveremo Villa Trevisanato.
Villa Trevisanato
Un tempo dimora di campagna, è oggi inserita in un quartiere di recente costruzione, al termine di una larga strada che ne dà una panoramica. Costruita sul finire del Seicento è da ricordare che nel novembre del 1917, essendo Mogliano sede del Comando della Terza Armata, la villa fu residenza del Duca d'Aosta.
Usciamo ora in via Ronzinella. Giriamo a destra e 150 metri dopo giriamo a sinistra in via San Marco. Giù per circa 500 metri e quindi a destra in via Rimini per altri 300 metri sino ad uscire a sinistra sul terraglio.
La sequenza infinita di Ville
Da qui in avanti in sequenza ecco le Ville che seguono: si comincia dal lato sinistro della strada.
Villa Zenoni-Politeo
Ben visibile dal Terraglio, al quale offre però il suo lato occidentale, la Villa presenta uno stile particolare che lo differenzia dalle altre ville della zona, dovuto alla sua recente costruzione, risalente al XIX secolo. Il complesso è formato da due edifici rivolti a sud, disposti in linea, con la casa padronale in testa. La villa padronale è a due piani, con due coppie di finestre separate dalla porta di ingresso al piano terra e da una porta finestra aperta su uno stretto balcone, sostenuto da due mensole, al primo piano. Di fronte alla villa si estende un giardino principalmente sul lato sud est con una chiesetta isolata all’estremità meridionale. La chiesa ha caratteri architettonici completamente diversi dalla villa e potrebbe essere l’ultima testimonianza di una villa oggi scomparsa, situata nell’area dell’attuale parco, ora occupata da una piscina privata.
Villa Antonini (XVIII sec.)
L'area meridionale del parco di villa Zenoni Politeo, era occupata dalla scomparsa villa Antonini. Di proprietà dei Fanna, passò poi ai Da Mosto e, sul finire del Ottocento, fu di Pietro Antonini che la ricevette come dono di nozze dalla madre Ada Pagello (figlia del medico Pietro). Ereditata dal figlio Anacleto, ebbe vari altri proprietari finché, ridotta in precarie condizioni, fu demolita nel secondo dopoguerra. Durante l'abbattimento ci si accorse con sorpresa che l'edificio era privo delle fondamenta. Di villa Antonini restano solo il cancello d'ingresso e l'oratorio privato, innalzato nel 1854.
Circa 200 metri più avanti,sempre sul lato sinistro ecco Villa Veronese
Villa Veronese-Pisani
Si affaccia sul lato est del Terraglio, tra Mogliano e Marocco. Oltre il cornicione che sovrasta il primo piano, si eleva il piano rialzato, con pianta a croce e quattro frontoni sormontati da timpani e affiancati da contrafforti barocchi. Agli angoli vi sono quattro terrazze ornate da pinnacoli. Sul lato sud si allunga un rustico che rappresenta la parte più antica del complesso. Nella zona settentrionale del vasto parco è stata costruita una villa moderna. La villa fu costruita nel Settecento dai Pisani. Dal secolo successivo fu dei Siri, dei Pancera, dei Cipollato e dei Bardini e dei Veronese. Ora è di proprietà Maccatrozzo.
Circa 100 metri più avanti, sempre sul lato sinistro della strada ecco Villa Marchesi.
Villa Marchesi – Venier
Villa Marchesi di Mogliano Veneto è uno degli edifici storici più importanti del posto, sita in località Terraglio. Il monumento è molto semplice e si sviluppa su tre piani. Due barchesse sono site ai lati dell’edificio, a far assumere all’intera struttura una forma a U. Nonostante oggi sia di fatto inutilizzato, è ancora possibile ammirare l’ingresso originale, costituito da una cancellata a forma di rotonda. L’ingresso odierno è sul luogo su cui un tempo era presente l’oratorio di San Giuseppe. Villa Marchesi è stata realizzata nel XVI secolo, proprietà della famiglia Venier. Essa è legata alle vicende risorgimentali, soprattutto all’assedio della Repubblica di San Marco. Nel periodo rinascimentale la villa ospitò anche un ospedale militare austriaco.
Circa 800 metri più avanti, ma questa volta alla nostra destra ecco Villa Padoan
Villa Padoan
Villa Padoan sorge in località Marocco, all'estremità sud del comune di Mogliano Veneto. Si ha notizia di una dimora signorile qui sin dal Duecento, quando il terreno era di proprietà dei Tiepolo. Qui, nel 1300, si ritirò il noto Bajamonte Tiepolo in volontario esilio. Nella seconda metà del Cinquecento palazzo e terreni passarono ai Sanudo. Le mappe dell'epoca rappresentano un edificio molto semplice a cui era annessa una masseria con brolo e altri edifici di servizio. Nel corso del secolo successivo il complesso divenne dei Contarini (e sembra del doge Alvise) i quali le conferirono l'attuale aspetto nel 1723 (la data è riportata nel mosaico del pavimento del salone centrale). Dalla fine del Settecento fu dei Bertoli, quindi dei Mantovani e dei Bonaventura. Nonostante il vincolo ministeriale in vigore dal 1954, l'opposizione dell'IRVV e della Soprintendenza, a partire dal 1963 la villa ospitò un albergo, fatto che comportò una grave manomissione sia degli interni, sia degli esterni (sussiste tuttora una sovrastruttura in cemento sul fronte ovest. A nord del palazzo, sempre affacciata al Terraglio, era stata innalzata nel Settecento una cappellina intitolata alla Madonna della Neve, ma venne demolita sul finire dello stesso secolo.
Villa Volpi
Villa Volpi di Misurata è divisa tra i comuni di Mogliano Veneto (casa padronale, cappella e altri corpi) e Venezia (rustico). La proprietà si sviluppa infatti a cavallo del fiume Dese. I riferimenti più antichi risalgono al 1510: in quell'anno i Tiepolo, proprietari dei terreni su cui sorge ora la villa, costruirono un mulino sulla riva sinistra del Dese. Ai Morosini-Gatterbug si devono gli interventi più significativi: nel corso dell'Ottocento fu rifatta la facciata e costruita la cappella, mentre dall'antico mulino posto a sud del Dese venne ricavato un vasto rustico. Nel maggio 1849 la villa ospitò i giovani Ranieri Ferdinando d'Asburgo-Lorena e Ferdinando Carlo Vittorio d'Asburgo-Este, giunti per assistere alla caduta di forte Marghera. Nel 1904 il complesso venne acquistato dall'industriale Giuseppe Volpi. Durante la prima guerra mondiale ospitò un ospedale militare e durante la seconda fu sede di vari comandi. Adibita poi ad asilo infantile, è stata recuperata solo di recente dopo l'acquisto da parte dei Furlanis. Affascinanti ma assai improbabili le ipotesi di Venturini, che identificano questo edificio con villa Mocenigo, progettata dal Palladio.
Visitate queste ville in serie, poco oltre Villa Volpi, e dopo aver superato il fiume Dese, teniamo la destra e andiamo in via Gatta. Circa 400 metri, superiamo la rotonda e andiamo avanti tenendo la sinistra ( terza uscita ). Circa 3,4 km più avanti entriamo a destra in via Molino Marcello. Di lì a nord per circa 800 metri e quindi andiamo a destra in via Marignana. Facciamo circa 1,1 km e teniamo la destra scendendo a sud in via Ghetto. Circa 400 metri più avanti ecco l’ingresso per il Mulino Turbine.
Il mulino Turbine, vecchio edificio sul Dese
Villa Benetton detta "La Marignana
Villa Bevilacqua, Fossati, Dall'Aglio, Benetton, è detta "La Marignana". L'appellativo è legato alla località in cui sorge, la Marignana appunto. Fu edificata nel XVIII secolo e ha subito numerosi passaggi di proprietà e, infine, fu acquistata dallo scultore Toni Benetton. Quest'ultimo ha reso la villa luogo di esposizione per molte sue opere, insediandovi l'Accademia internazionale del Ferro Battuto da lui stesso fondata (1967). Tutt'oggi nelle antiche cantine ha sede il Museo Toni Benetton, mentre nel parco sono state collocate diverse macrosculture.
Lasciata villa Marignana si impone una inversione di marcia per circa 1,1 km sino a ritrovare il vecchio Mulino Turbine. Saliamo ancora a nord per 400 metri ma continuiamo ora in via Ghetto. Saliamo per circa 2,5 km e quindi giriamo a destra. Altri 650 metri, superiamo l’incrocio con la provinciale e quindi dritti per circa 350 metri. Usciamo ora a sinistra; su ancora per 200 metri ed eccoci nei pressi di Villa Zanga.
Villa Zanga (XVII sec.), ( Via Roma)
Costruita nel Settecento, nella seconda metà del secolo risultava di Ignazio Testori, appartenente ad una ricca famiglia di commercianti di origini milanesi. Nel 1797 la villa fu sede di un comando francese e una tradizione afferma che più di una volta vi fu ospite Napoleone. Adibita poi a locanda (alle "Tre Colombe"), passò alla famiglia Zanga; durante la Grande Guerra vi fu allestita la casa del soldato e qui vi fu ospite anche Ernest Hemingway. Attualmente è degli Zara Pasin che ne hanno curato il restauro. All'interno, va ricordato un caminetto marmoreo, proveniente dalla casa veneziana del Goldoni.
Andiamo ora a destra in via Roma per circa 200 metri. Ora a sinistra in via Torino per circa 100 metri ed ecco sulla nostra sinistra la parrocchiale del Sacro Cuore. Ancora 100 metri ed eccoci in via Selve. Giriamo a destra e dopo circa 150 metri ecco sulla nostra sinistra Villa Micheli.
Villa Michieli
È articolata in tre volumi: il corpo padronale, rialzato al centro di un piano, e due ali più basse. Nel complesso, gli esterni conservano ancora i caratteri originali, nonostante la villa sia stata divisa in più proprietà. È andato perduto invece il portico che si estendeva sul lato meridionale. Si ritiene che sia stata edificata nel Settecento dai Michieli, proprietari delle campagne limitrofe (oggi urbanizzate), tra i quali si distinse lo storico locale Adriano Augusto Michieli.
Procediamo ora in direzione nord per circa 300 metri, svoltiamo quindi a sinistra in via Montello: avanti ancora 300 metri e quindi a destra in via Selve. Avanti così circa 400 metri e poi teniamo la destra a nord per qualche metro e quindi a sinistra continuando in via Selve. Avanti ancora 400 metri e quindi a destra fino alla rotonda che troveremo dopo aver percorso altri 400 metri. Andiamo ora a sinistra per circa 700 metri; attraversiamo la strada e proseguiamo dritti per altri 700 metri. Ancora a destra e avanti sino al ponte sul fiume Zero e al mulino.
Teniamo ora la destra e procediamo per altri 800 metri, usciamo sulla principale tenendo la sinistra e poco oltre a destra ci addentriamo in via Chiesa.
Campocroce
Il toponimo è un evidente composto delle parole campo e croce, ma non ne è stata chiarita l'origine. Probabilmente si riferisce a una croce eretta su un campo per motivi devozionali o in ricordo di qualche triste evento.
Circa 300 metri dopo essere entrati in via Chiesa ecco cosa ci apprestiamo a vedere:
Casa Calzavara
In via Chiesa Campocroce, presso la filanda, è un caratteristico rustico di origini assai antiche. Era infatti proprietà dell'abbazia di Mogliano e, dopo il suo trasferimento a Treviso, del monastero di San Teonisto. Il porticato conserva resti di affreschi quattrocenteschi, raffiguranti Cristo, Santa Lucia e altri santi.
La filanda Motta
Interessante come esempio di archeologia industriale è la filanda Motta, costruita nel 1876 dall'ing. Pietro Motta e recentemente restaurata. Fu uno dei più importanti stabilimenti del genere, nel quale venne peraltro selezionata una nuova razza di baco da seta detta chinese dorato. Gravemente colpita dalla crisi del settore sericolo degli anni trenta, la filanda venne chiusa nel secondo dopoguerra. L'alta ciminiera che sorge a dietro il corpo principale è divenuta un po' il simbolo del paese
Chiesa parrocchiale di Campocroce
La parrocchiale, dedicata a San Teonisto e Compagni Martiri, si trova discostata dall'abitato, sorgendo ad est di quest'ultimo. Ha origini antichissime, essendo una delle prime cappelle dipendenti dal monastero di Mogliano (è citata già nel 1077). La chiesa è stata profondamente restaurata tra l'Otto e il Novecento. Dell'edificio originale rimangono un fregio gotico lungo le pareti laterali, tracce di una finestra e i resti di un grande affresco sulla parete esterna meridionale, che raffigura san Cristoforo, protettore dei viandanti. L'affresco del soffitto (il Martirio di san Teonisto) fu realizzato nel XIX secolo da Gian Battista Carrer. Dello stesso autore sono i tre dipinti del presbiterio: l'Adorazione dei pastori sulla parete destra, la Resurrezione a sinistra e la Fede sul soffitto. La pala dell'altare maggiore (la Vergine in gloria ed i santi Teonisto, Tabra e Tabrata), in passato attribuita a Palma il Giovane, è oggi ritenuta opera di Bartolomeo Orioli. L'altare subito a destra del presbiterio è dedicato a San Liberale e conserva una pala (Redentor Mundi) attribuita a Giacomo Lauro. Altre due dipinti si trovano sugli altari laterali: una Vergine del Rosario tra san Domenico e santa Caterina, forse di Pietro Vecchia, e una Presentazione di Gesù al tempio, di autore ignoto. La facciata, progettata da Alvise Motta, è del 1903 e anche il campanile è recente, avendo sostituito l'originale nel 1848. Come era usanza in passato, lo spazio attorno alla chiesa era adibito a cimitero. Restano ancora alcune lapidi, dei quali merita un cenno quella di Anna Troilo, morta il 18 dicembre del1856 e madre di 29 figli, tra i quali il parroco di Campocroce don Marco Massaggia.
Poco oltre usciamo ora sulla principale girando a sinistra. Poco oltre sulla sinistra, nascosta dal bosco si intravede Villa Motta.
Villa Motta, Cordova
Si trova sul retro della parrocchiale ed era la residenza della famiglia Motta, proprietaria della filanda. Il complesso si articola in tre edifici distinti immersi in un ricco parco: la casa padronale, una torre colombaia e un annesso attualmente adibito ad abitazione. La prima risale al Settecento ed è un corpo cubico a tre livelli, ampliato sul retro da due volumi aggettanti. La facciata è estremamente semplice ma tuttavia elegante, con quattro pseudo-lesene che la attraversano per tutta l'altezza sino al cornicione dentellato, provocando un effetto ottico che mostra dei capitelli ionici. Da citare poi la porta ad arco che si apre al centro del piano nobile sormontata da un frontone pure ad arco. I tratti dell'annesso sembrano richiamare l'architettura della vicina filanda Motta.
Ora continuiamo sulla principale: prima la rotonda, poi il sottopasso ferroviario e quindi a destra sul Terraglio. Questo è il nostro ritorno a Mogliano! Scendiamo giù per circa 2,3 km sino al fiume Zero e quindi andando a sinistra sull’argine per recuperare via Marcello. Procediamo per circa 400 metri sull’argine e poi giù a destra su via Rossini per circa 400 metri. Andiamo ora a destra per circa 100 metri e quindi giù a sinistra in via De Gasperi per circa 350 metri. Davanti a noi la parrocchiale e l’abbazia benedettina: qui si chiude il nostro viaggio!
La Chiesa di Santa Maria Assunta e S. Matronilla
Il pù pregevole esempio di architettura del comune di Mogliano è la chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta con l'annessa abbazia. orge presso il centro, nel luogo dove già prima del 1000 si ergeva una pieve con fonte battesimale. L'attuale edificio, costruito cento anni più tardi, risente delle profonde ristrutturazioni avvenute nel corso dei secoli, dalla fine del XVI secolo sino agli inizi del Novecento. Gli interni risalgono per lo più alla fine del XVIII e all'inizio del XIX secolo; la facciata fu rifatta all'inizio del Novecento, mentre il campanile è uno dei pochi punti dell'edificio a non aver subito modifiche tanto profonde. All'interno, da ricordare le pale di Antonio Buratti, Giuseppe Boldini e Gian Carlo Bevilacqua e gli affreschi trecenteschi della sacrestia, rinvenuti solo nel 1992 e testimonianza del suo passato medievale. Dietro uno degli altari è sepolto il corpo di Santa Matronilla. Interessante l'organo della ditta Tamburini di Crema (1913) a trasmissione pneumatica.
Santa Matronilla (... - Roma, inizi del IV secolo) è una santa venerata dalla Chiesa cattolica. Di questo personaggio si sa poco o nulla e la stessa Chiesa, come in altri casi, è cauta nel dare valore alla sua santità in mancanza di dati storici certi. Le poche informazioni circa Matronilla ci sono fornite da una lapide, proveniente dalle catacombe dove fu rinvenuto il corpo e posta sull'altare dell'Addolorata della chiesa di Santa Maria Assunta, parrocchiale di Mogliano Veneto dove tuttora si conserva il corpo. Essa dice: MATRONILLE QUE VIXIT ANNOS XXX BENEMERENTI IN PACE in italiano "A Matronilla, che visse trent'anni facendo del bene, [riposa] in pace". I caratteri dell'epigrafe sono tipici del IV secolo, dunque si può ipotizzare che la morte della santa risalga alla grande persecuzione di Diocleziano. Il corpo della martire venne scoperto nelle catacombe dei santi Ciriaco e Lorenzo a Roma verso la fine del XVII secolo e fu donato (1783) dal cardinale Carlo Rezzonico all'amico Ignazio Testori, nobile di origine milanese. Il Testori lo trasferì nella cappella della sua villa a Mogliano Veneto e nel 1786 i resti furono portati nella chiesa di Santa Maria Assunta, parrocchiale del paese, dove tuttora riposano.
L’Abbazia benedettina e brolo
L'abbazia fu fondata nel 997 su desiderio dell'allora vescovo di Treviso Rozone, il quale voleva recuperare il territorio di Moliane, devastato dalle invasioni degli Ungari del X secolo e poi abbandonato. Il monastero ospitò inizialmente i benedettini, i quali si dedicarono alla bonifica e al ripopolamento della zona sino al 1075, anno in cui vi si insediarono le benedettine. Nel medioevo l'abbazia subì saccheggi e distruzioni da parte dei numerosi eserciti che transitavano per il paese, finché, nel 1413, le monache si trasferirono entro le più sicura mura di Treviso, nel convento di San Teonisto. Benché mantenessero il possesso della parrocchia, l'abbazia di Mogliano fu abbandonata e cadde progressivamente in rovina. Con l'arrivo di Napoleone anche il monastero di San Teonisto fu soppresso. Del vasto e ricco complesso oggi resta ben poco. Solo nel 1889, infatti, quel che ne rimaneva (adibito nel frattempo ad osteria) veniva salvato dal letterato Guglielmo Berchet che si adoperò perché fosse dichiarato "opera monumentale". Sopravvive parte del chiostro, del 1184, con il porticato e l'annessa costruzione, attualmente sede di un centro parrocchiale. Più tarde dell'abbazia sono le due costruzioni poste su ciò che resta del brolo, ovvero degli orti e dei frutteti annessi al monastero prima e alla parrocchia poi. Essi rappresentano oggi il centro espositivo, appunto, del Brolo costituito da uno spazio espositivo, l'Urban Center, destinato alla memoria della città, e da una seconda area sede di importanti mostre periodiche.