SILEA IN BICICLETTA
Caratteristiche tecniche del percorso
Lunghezza: 29 km
Stagioni: tutte
GALLERIA DI IMMAGINI
Iniziamo il nostro viaggio!
Silea, il suo territorio
Il territorio del Comune di Silea, dal punto di vista amministrativo, comprende le frazioni di Silea, Cendon e S. Elena (Lanzago è semplicemente una località). Esso si trova a sud est di Treviso ed è compreso tra i 7 ed i 15 metri sul livello del mare. Il comune che sino al 1934 si chiamava Melma, è stato costituito nel 1816. Nel 1934 prese il nome attuale dal fiume Sile che bagna le frazioni e per un tratto ne segna anche il confine. Il nome attuale è conseguenza di un decreto dell’allora Re d’Italia Vittorio Emanuele III.
FRAZIONI E LOCALITA’
Melma è la prima frazione storica del Comune di Silea. La sua derivazione è forse l’abbreviazione di “Mellema”, nome latino dell’omonimo fiume che passa per Silea. Melma sta ad indicare luoghi paludosi.
Lanzago è una località dell’attuale Comune di Silea. L’origine etimologica del suo nome non stata ancora accertata. Esistono documenti che parlano del Comune de Lançago, cioè dell’antica comunità rurale, e della Regula S. Pauli de Lançago, cioè lo statuto della confraternita del monastero e della chiesa di San Paolo di Lanzago.
Cendon è il nome di un’altra frazione e sulla sua origine e sul significato del suo nome sono state fatte diverse ipotesi. Gli anziani nella dizione della parlata locale dicono ancora Sén-dòn che potrebbe far pensare a due parole di origine celtica o gallica cioè seno, vecchio, e dunon, recinto con il significato di villaggio recintato. Può anche ricordare la denominazione Zendono da “dono a Zeno” cioè da un’antica donazione all’abbazia di San Zeno (Verona).
Sant’Elena sul Sile è la quarta frazione storica di Silea. Il nome deriva da quello della sua chiesa dedicata a Sant’Elena imperatrice e costruita vicino al Sile. Il villaggio nei documenti antichi è detto anche Villa de Sancta Elena (1089) e Villa de Sancta Lena (1250), che aveva la Regula de S.Lena de Super Sylerem (1283), la Fratta de Santa Lena (1284) e Comune de Santa Lena (1315).
CORSI D’ACQUA
I corsi d’acqua del Comune di Silea sono: il Sile, uno dei suoi più grossi affluenti e cioè il Melma e il Nerbon sul confine con San Biagio di Callalta.
il Sile a Silea
il Melma a Silea
il Nerbon a Silea
STORIA DI SILEA
L’epoca preromana
L'area attorno a Treviso ha rappresentato sin dai tempi più antichi un luogo di insediamento e di passaggio, favorito dalla presenza del Sile come via di comunicazione. Stiamo parlando, almeno per le origini, di civiltà palafitticole qui insediatesi come dimostrano numerosi reperti preistorici rinvenuti, per esempio, durante l’attività di estrazione della ghiaia. Il materiale è stato per la gran parte reperito sotto un unico strato alluvionale di quattro o cinque metri di ghiaia pura che lo separava nettamente dall’attuale letto del fiume Sile. Cosa significa questo? Che qui, almeno nel quinto secolo prima di Cristo, ci fu un grande evento alluvionale che di fatto distrusse tutte queste civiltà e culture. Molti degli oggetti qui ritrovati si trovano nel Museo Civico di Treviso.
L’epoca romana
A queste civiltà, ancora poco conosciute, successero i più noti Paleoveneti, dal II secolo a.C. assoggettati ai Romani. È di questo periodo l'opera di centuriazione delle campagne, (il territorio di Silea era compreso nell’agro orientale di Altino) la nascita dei municipi (come la stessa Treviso) e la costruzione di alcune importanti infrastrutture, tra le quali spicca la via Claudia Augusta Altinate. Lungo il percorso della strada, che attraversava Sant'Elena di Silea, Cendon e Lanzago, sono affiorati diversi reperti dell'epoca.
in verde il tratto di Claudia Augusta nel territorio di Silea
Molti i reperti di epoca romana trovati negli scavi effettuati nel 1935 lungo l’asse della Claudia Augusta.
I Longobardi ed i Franchi
Si suppone dunque che i primi insediamenti stabili risalgano alla colonizzazione romana, ma si ritiene che la formazione di veri e propri villaggi si sia avuta solo sotto i Longobardi o i Franchi. Sappiamo però ben poco della vita in queste zone in questo lontano periodo storico. Di certo si sa che lungo il Sile si svolgeva un grande traffico commerciale tra le città di Treviso e quelle della Laguna. Già nell’VIII secolo si sa che qui esistevano alcuni mulini alcuni dei quali donati da tal Giovanni alla chiesa trevigiana. Ed è di questo periodo la fondazione della chiesa di Lanzago.
Il Medioevo
Il territorio qui si sa essere quasi tutto coperto di boschi (nel 1181 si ricorda in un documento la “Silva Vedernedi de Melma”. Ciò non significa che non esistessero però anche terreni destinati al pascolo di bovini e alla coltivazione di cereali. È evidente che i nostri paesi non fossero che poco più di qualche gruppetto di case con qualche casa sparsa in campagna. La popolazione era divisa in tre categorie: i servi della gleba che erano assoluta proprietà dei padroni, gli aldii che lavoravano a certi patti ma che non potevano cambiare padrone e i liberi che lavorano per chi volevano. Dal punto di vista etnico poi la popolazione si divideva in ceppi romanici, longobardi e germanici.
Le terre lavorate nelle varie forme che abbiano detto, erano di proprietà o di laici o di enti ecclesiastici. L’organizzazione dei poderi si basava sulla costruzione all’interno degli stessi di grandi edifici circondati da siepi o da muri. Stiamo parlando delle corti. La corte del Re o al Duca si chiamava regia o ducale (per esempio così era per quella della vicina Musestre da cui dipendeva anche il villaggio di Sant’Elena di Silea), e poi c’erano quelle ecclesiastiche, come la “curtis de Cendono” di cui si ha cenno sin dal 1185. Attorno e a difesa di queste proprietà spesso si innalzavano muraglie con qualche torre (praticamente un fortilizio), altre volte un semplice sistema di palizzate chiamate “fratta”. Nel 1178 si ricorda in questi luoghi la “toure de Cendono” e la “fratta de Santa Lena”. Con il tempo alcuni servi riuscirono ad affrancarsi prendendo possesso di qualche piccolo podere. Vi era quindi la necessità, man mano che crescevano queste nuove comunità di contadini, di difendere e curare i propri interessi anche nei confronti delle comunità vicine. Si organizza quindi “la vicinia” formata dai capi famiglia della “villa”. In ognuna di queste” ville” ci si organizzava con propri statuti e regole. Nascono in queste zone, la Villa de Sancta Elena (1089), la Villa Melme e la Villapendula (1170).
Il mercato di San Michele
Durante i primi secoli del medioevo, la località chiamata “alle fiere” (l’attuale Fiera), faceva parte del territorio dell’antica Melma. Qui si svolgeva il più importante mercato di Treviso. Qui tra il 1151 e il 1181 si recavano i contadini taglia legna del bosco di Melma per vendere il loro legname. Si chiamava Mercato di San Michele perché si svolgeva nei dintorni della festa di San Michele e cioè il 29 settembre di ogni anno. Nel 1303 questo mercato venne trasferito al 22 ottobre in onore del trevigiano Niccolò Boccasini (eletto Papa con il nome di Benedetto XI) che qui nasceva. Più tardi questi luoghi “Porto della Fiera e prati della fiera” passarono sotto il territorio di Treviso, con la conseguenza che gli abitanti di Melma persero tutti i benefici su questo mercato.
L’Epoca dei Comuni
Dal 1283 al 1312, Silea, come tutto il territorio trevigiano, sono sotto la dominazione dei Da Camino. Sono gli anni dei Liberi Comuni organizzati in villaggi retti da proprie “regule”. A capo del villaggio ci stava il “meriga”, una sorta di sindaco moderno! È il tempo della costruzione di nuove strade, ponti, fossati e della costituzione di alcuni importanti mercati. Fra di questi ecco la Fiera di Sant’Elena, importante centro di scambi commerciali che venivano organizzati in prossimità della chiusura della stagione dei raccolti e serviva per lo scambio e la vendita di animali o merci. Qui poi un importante passo barca che collegava questo mercato in particolare alla vicina città di Treviso.
Dopo i Da Camino iniziò la dominazione Scaligera di Treviso e anche di queste comunità. Siamo nel 1329. Ma Venezia cominciava a farsi avanti: ed è proprio per resistere alla avanzata di Venezia che presso il vicino castello di Musestre venne costituito un caposaldo a difesa della città. Tentativi presto vani visto che Venezia verso il 1338 riuscì ad impadronirsi di tutto il territorio trevigiano. Sono anni in cui la popolazione della antica Silea cresce (a Melma si contano 600 abitanti!). Il periodo di dominazione veneziana viene però interrotto nel 1381 quando il territorio trevigiano fu concesso a Leopoldo duca d’Austria. E poi vennero i Carraresi che si impadronirono della città sino al 1389, anno in cui inizia il dominio veneziano che durerà fino alla fine del XVIII secolo.
Il periodo veneziano
Siamo nel 1389 e da qui inizia il definitivo dominio di Venezia anche su Treviso. È un periodo di relativa pace e di crescita economica. Non per tutti però! Pace e benessere economico favorirono la crescita di una piccola borghesia e in generale del numero di abitanti che verso la fine del cinquecento erano complessivamente 1550. C’erano molti contadini con famiglie numerose che vivevano di parte del raccolto dei campi (non loro) che lavoravano. Altri erano mugnai, barcaioli ed artigiani. In un documento del 1538 vi sono i nomi di quasi tutti questi abitanti e si tratta della prima importante fonte di origine demografica della storia del Comune di Silea. Il XVII secolo è quello del miglioramento delle colture agricole grazie anche ad importanti attività di disboscamento che favorirono la coltivazione di avena, miglio, sorgo, fagioli ed altri legumi. Ma c’è anche il 1630, e cioè l’anno della grande peste; la popolazione passa da 1550 a 1160 abitanti in poco tempo. Ma come si affrontava la peste in quei tempi? Prima di tutto gli appestati venivano rinchiusi nelle loro abitazioni onde evitare che il contagio si diffondesse. I morti, senza funerale tra l’altro, venivano sepolti vicino alle loro stesse case. È il periodo della edificazione di edicole votive e altari dedicati in particolare alla Madonna della Salute e a San Rocco, quest’ultimo il grande protettore dalla peste. Sono gli anni in cui per esempio di costituì l’oratorio di Cendon. Il XVIII secolo è invece l’anno della diffusione nel territorio di molte ville patrizie veneziane costruite soprattutto lungo il Sile ed il Melma, luoghi comodi in termini di comunicazione con Venezia.
Il periodo francese
È il 1796 quando Francia ed Austria entrano in guerra contro Venezia. Dal 1797 Treviso e quindi anche Silea è in mano ai Francesi e finisce il dominio della Serenissima. È di questi anni l’organizzazione della municipalità di Treviso in cantoni, per la precisione cinque cantoni e Melma venne ricondotto nel cantone di Treviso. Nel 1798 però a seguito del trattato di Campoformido, questi territori passano all’Austria. Seguiranno anni alterni in cui si succedono periodi francesi (con annesse razzie di questi ultimi) e periodi austriaci. Ma dal 1815 anche l’antica Melma entra a far parte definitivamente dell’impero austro-ungarico. In particolare del Regno Lombardo-Veneto.
Il regno Lombardo-Veneto
Poco dopo la costituzione del Regno Lombardo Veneto e cioè nel 1816, nasce la Provincia di Treviso e poco dopo anche il Comune di Melma. Esso era formato in origine dalle frazioni di Melma, Lanzago, Cendon, S. Elena, Montiron (ora nel comune di Roncade) e San Floriano (ora in S. Biagio di Callalta). Più tardi il comune di Silea si doterà di uno stemma concesso ufficialmente attraverso apposito decreto del Presidente della Repubblica.
LO STEMMA
“Stemma di argento a tre pali di azzurro, caricati ognuno, in capo, da una spiga di grano d’oro, alla fascia di argento traversante. Ornamenti esteriori da Comune”.
La corona è simbolo di Villa cioè Comune.
Le fasce celesti invece rappresentano i tre fiumi che bagnano il territorio comunale che sono il Sile, il Melma e il Nerbon.
Le spighe sono il segno di una zona prevalentemente agricola. Il Comune di Melma è sorto infatti in epoca in cui la propria economia era sostanzialmente agricola con conseguente sviluppo di attività molitoria, favorita dall’ abbondanza di corsi d’acqua. La quercia è simbolo di forza e di solidità mentre l’ulivo è emblema di pace.
Non furono periodi facili per questi territori ed in particolare gli anni compresi tra il 1815 ed il 1821, anni di grandi carestie e malattie. In particolare si segnala il tasso di mortalità infantile che raggiungeva quasi il cento per cento. Malnutrizione e malattie terribili quali il vaiolo invadono le case di Melma. Per non parlare poi della pellagra, altra piaga tipica di popolazioni mal nutrite. Ma durante il dominio austriaco non è da dimenticare anche la prima organizzazione di un sistema di istruzione primaria in tutte le frazioni tra il 1853 ed il 1858. Rari erano i maestri e le maestre. La formazione era affidata invece ai parroci che si occupavano di religione, ma anche di matematica, italiano e altro.
L’unità d’Italia
Il 19 ottobre 1966 il Veneto passa al Regno d’Italia. Siamo alle origini della costituzione del comune moderno che, dal 1866 al 1927, aveva degli organi elettivi. Il comune si occupava tra l’altro di misure igieniche sanitarie. A tal proposito proprio il 1866 è l’anno dell’arrivo di una terribile epidemia di colera. Undici morti in quell’anno, come si ricava dal “Libri Mortuorum” tenuto dai parroci e che prima dell’istituzione dei nostri moderni servizi demografici aveva un valore ufficiale di conta, in questo caso, dei morti. Come si arginò l’epidemia di colera in quegli anni? Non vi erano granché fondi per gestire tutte le opere necessarie a contenere l’epidemia e a curare i malati. Si ricorse a fondi della Provincia e dello Stato a ciò destinati. E fu quindi costituito un lazzaretto dove isolare e curare i malati di colera. Furono stabilite dal Sindaco con apposite ordinanze misure di profilassi ed igiene quali per esempio quali per esempio il divieto di evacuare i pozzi neri in orari diurni e la sospensione delle attività scolastiche e delle funzioni religiose.
Il Novecento
Dei primissimi anni del secolo segnaliamo la grande attenzione data dalle amministrazioni all’importante passo barca di Cendon, passo di proprietà dei comuni di Melma e Casale.
La grande guerra per Melma si fa ricordare soprattutto per essere zona di retrovia. Le battaglie si combattevano più a nord sul Montello ed il Montegrappa. Villa Bianchini per esempio fu per qualche tempo sede del Comando dell’XI Corpo d’Armata. Anche Melma ebbe i suoi caduti e nel 1919 venne eretto un monumento in loro memoria inaugurato nel 1921.
Il primo dopo guerra, nella grande crisi economica e sociale che ne seguì, pose le basi per la nascita anche da queste parti di una vera coscienza di classe. Ma è anche il malessere sociale in cui si insinuarono i primi segni dell’avvento del fascismo e della ascesa di Benito Mussolini. Sono però anche gli anni in cui avvengono altri fatti: Melma cambia il suo nome in Silea, si costruiscono i cimiteri comunali di Cendon e Silea e le scuole elementari di S. Elena, Cendon e Silea.
la sede del comune oggi
Della seconda guerra mondiale ricordiamo qui il bombardamento americano di Treviso del 7 aprile del 1944 che causò sfollati che trovarono collocazione provvisoria in baracche costruite anche a Silea. Alcuni di loro rimasero in quelle baracche anche sino al 1955. La mancanza di posti di lavoro e le devastazioni della guerra provocarono anche qui il fenomeno dell’emigrazione, in particolare verso il Brasile, l’Argentina, Cile e Stati Uniti. Ma anche all’interno dello stato Italiano in città come Milano, Torni, Asti e Torino. Qui ci fermiamo. Riprenderemo qualche altra storia a mano a mano che il nostro viaggio in bici si svilupperà.
Partiamo! La partenza è nel piazzale antistante la sede del Comune di Silea.
SEDE COMUNALE
L’attuale sede del Comune di Silea, posta in via G. Minzoni 12, sorge in un’area adiacente al bel parco sul fiume Melma. Il palazzo municipale che vediamo oggi, ha sostituito la vecchia sede posta poco più a sud nella piazzetta adiacente la scuola d’infanzia. Ma lo vedremo più avanti.
Data un’occhiata alla sede del Comune e approfittato degli scorci di bel paesaggio nei pressi del corso del fiume Melma, ci rechiamo a nord (dietro al municipio per intenderci), sfruttando lo sterrato per 150 metri circa.
Teniamo ora la sinistra in viale della Libertà e pedaliamo per circa 300 metri. Ora andiamo a destra in via Lanzaghe. La direzione, visto il toponimo della via è proprio Lanzago. Circa 400 metri dopo ci si trova nel sottopasso ove sopra corre la strada Callalta. Andiamo avanti per qualche metro e poi a destra in via Veneto; qualche curva e poi usciamo in via Callalta. Circa 30 a destra e poi su a sinistra in via Massolini. Circa 100 metri più avanti sulla nostra sinistra un Capitello.
CAPITELLO MADONNA DEL CARMINE
Antico capitello, che la credenza popolare ritiene sia stato edificato nei pressi dell'antica chiesa di San Paolo di cui parleremo più diffusamente più avanti. Si trovava nel giardino di un'abitazione privata fino a quando, nel 2005, venne deciso di spostarlo in area pubblica a qualche decina di metri dalla sua collocazione originaria. La ricollocazione del manufatto fu alquanto difficoltosa sia perché risultò molto pesante sia perché, secondo testimoni oculari, lo scavo intorno al capitello fece emergere una parte sommersa profonda oltre due metri. Fatto che appare piuttosto inusuale per una costruzione così piccola. Fondamenta così profonde potrebbero far pensare a un utilizzo di materiali o strutture di un edificio preesistente (forse dell'antica chiesa di San Paolo di Lanzago). Il capitello, riconsacrato alla Madonna del Carmine, è stato restaurato dopo la sua ricollocazione e sono tornati alla luce gli affreschi originari. All'interno si può vedere, tra l'altro, una Madonna fra due angeli e nel soffitto una Colomba, mentre all'esterno, è presente un San Cristoforo. Sono rilevabili altresì, in diverse parti del tempietto, altre tracce di decorazioni e di affreschi.
Gli interni e gli esterni
ANTICA CHIESA DI SAN PAOLO DI LANZAGO
I luoghi del Capitello della Madonna del Carmine, almeno per la sua originaria posizione, sarebbero anche quelli in cui esisteva una Chiesa dedicata a San Paolo. La chiesa di San Paolo, la cui fondazione risaliva all'VIII secolo, era tra le più antiche chiese della diocesi di Treviso. La chiesa, con il suo annesso monastero, costituiva uno dei primi insediamenti monastici dei nonantolani sul territorio trevigiano. Nel Settecento è stato rinvenuto un antico documento del XII secolo presso l'antico monastero di Santa Maria Maggiore e di Santa Fosca di Treviso. Si tratta di una pergamena che fa riferimento alla fondazione della Chiesa di San Paolo di Lanzago. Di questo ritrovamento riferisce lo storico Rambaldo degli Azzoni Avogaro (1716-1790) nella sua opera Illustrazione di una carta dell'VIII secolo scritta in Trivigi concernente l'antichità del monastero Nonantolano. L'Avogaro scrive che questo antico documento, datato fra il settembre del 726 e il giugno del 727, venne ricopiato integralmente in una pergamena a metà del XII secolo e successivamente trascritto nel XVI secolo, da un copiatore che definisce poco perito, che sul rovescio riporta la nota:
«L'anno XV, regnando Leonardo (Liutprando) Re d'Italia, Lorenzo Clerico e Petronia sua moglie fabbricarono la Chiesa di San Paolo di Lanzago». Nell'opera lo storico riporta integramente il testo del documento con il quale un certo Lorenzo, chierico, con la moglie Petronia, donano i loro beni, tra cui una casa a Treviso e diversi terreni, alla chiesa di San Paolo di Lanzago.
Nel corso del Settecento però, si apre un dibattito fra gli storici da cui emergono varie posizioni sulla autenticità del documento precedente. Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), tra i più importanti storici del tempo, sembra non abbia dato un giudizio definitivo. Girolamo Tiraboschi, autore di due volumi sulla Storia dell'augusta badia di San Silvestro di Nonantola, ebbe invece con l'Avogadro un lungo carteggio; pur non esprimendosi contro la veridicità della pergamena originale, riteneva un'interpolazione la parte che si riferiva alla donazione al monastero di Nonantola. Per il Tiraboschi non vi era alcun dubbio che il monastero fosse stato fondato nel 742 da S. Anselmo di Nonantola, qualche decennio dopo l'atto di donazione in oggetto.
Per Carlo Agnoletti (1845-1913), storico trevigiano, non vi sono dubbi sulla veridicità del documento e lo riporta totalmente come prova della fondazione della chiesa di San Paolo di Lanzago, successivamente passata ai nonantolani.
Un altro storico che si occupò della pergamena fu Giovanni Battista Pigato (1910-1976), religioso e letterato, che nel suo libro Madonna Grande, parla diffusamente di questa carta dell'VIII secolo e rileva come nell'Alto Medioevo era un fenomeno piuttosto comune fondare o cercare rifugio nei monasteri benedettini, per fuggire dalla situazione di insicurezza che dominava durante il periodo del dominio longobardo in Italia.
Per Giovanni Battista Pigato la carta è molto probabilmente corretta, in quanto la vicenda è verosimile e la chiesa di San Paolo di Lanzago, dalla sua fondazione è sempre appartenuta alla Badia di Nonantola, per il tramite del monastero di Santa Maria Maggiore di Treviso. Questo fino a quando, nel 1467, ai nonantolani succedettero i canonici regolari lateranensi.
Lanzago
Lanzago si presenta oggi come una grande appendice residenziale a nord di Silea, sviluppatosi oltre la SR "Postumia" e al confine con Treviso e Carbonera. La zona è completamente pianeggiante, con altitudini comprese tra gli 11 e i 13 m s.l.m. L'abitato è delimitato ad est dal fiume Melma, affluente del Sile. Reperti risalenti all'epoca romana testimoniano la presenza in quel tempo di un insediamento umano, favorito dalla vicinanza alla via Claudia Augusta. Nel suo territorio era presente un'antica chiesa, la Chiesa di San Paolo Apostolo, edificata nell'VIII secolo, come risulta da un'antica pergamena ritrovata nel XVIII secolo dallo storico Rambaldo degli Azzoni Avogadro. Accanto alla chiesa sorgeva anche un piccolo monastero. Tali edifici appartennero fin dalle origini ai monaci nonantolani cui succedettero dal 1467 i canonici regolari lateranensi. Nel medioevo il villaggio decadde a causa delle disastrose piene del Melma e, più tardi, per le devastazioni della guerra della Lega di Cambrai. Lo spopolamento favorì la crescita della vicina San Floriano (odierna Olmi di San Biagio di Callalta).
(antica mappa di Lanzago)
Andiamo avanti dopo la rotonda in direzione est per circa 250 metri e poi giriamo a destra in via Giacomo Matteotti. Avanti per 150 metri ed ecco sulla nostra destra un oratorio
ORATORIO DELLA B. VERGINE DI LOURDES
Nel 1994 la Signora Zacchi, proprietaria di terreni in quel di Lanzago di Silea, lasciava in eredità alla parrocchia un terreno ed una cappella votiva dedicata alla Beata vergine di Lourdes, da lei fatta costruire negli anni ’60. Rifiutato dalla parrocchia, il lascito passò nelle mani di un facoltoso fedele di Chioggia che si accollò le spese notarili e tutti i lavori di ristrutturazione. Solo in seguito la proprietà fu donata ufficialmente alla Associazione San Giuseppe Cafasso, che gestisce i beni immobili della Fraternità. L’oratorio della Beata Vergine di Lourdes è una chiesetta (capace di contenere circa 40 persone) costruita in quella che è ora una nuova zona residenziale alle porte di Treviso. Nel mese di marzo del 1995 don Giuseppe Rottoli vi celebrava per la prima volta la Santa Messa.
Ma il sacerdote che veniva a celebrare non aveva dove andare a dormire e doveva arrangiarsi in una vicina palestra, messa a disposizione. Fu così che si rivelò necessaria la costruzione di un annesso alla chiesetta. Una piccola casetta prefabbricata di 35 metri quadrati, in legno, servì meravigliosamente alla bisogna: sacrestia, cucina, stanza e servizi permettevano al sacerdote di arrivare sul posto sin dal venerdì precedente e rimanervi anche fino a lunedì. (Priorato di San Marco) Fu chiamata ufficialmente “Casa San Pio X” (ma tutti la conoscono come “la Casetta”) e fu inaugurata nel 1999 da don Michele Simoulin, allora Superiore del Distretto.
Teniamo ora l’Oratorio alla nostra sinistra e andiamo sullo sterrato che lambisce un piccolo parco in direzione est. Facciamo 200 metri e poi andiamo a sinistra. Siamo in via del Tiepolo. Fatto 1 km circa, dopo un sottopasso, la via diventa via Castello. Stiamo facendo una incursione nel territorio del Comune di Carbonera. Avanti ancora 450 e dal ponte potremmo osservare il Rio Piovensan verso la fine della sua corsa.
Avanti ancora tra due bellissimi filari di alberi e dopo circa 250 metri eccoci all’incrocio e davanti a noi Villa Tiepolo Passi.
Teniamo ora la destra, avanti circa 300 metri e andiamo ancora a destra in via Fiume Melma. Per un tratto seguiremo un po’ il suo corso. Circa 100 metri e ci troveremo sopra ad un ponte sul Melma.
Andiamo ora avanti 400 metri e usciamo a destra su via Bianchini. Di lì avanti per 600 metri. Ora un passaggio a livello isolato.
Ed ecco 300 metri più avanti un capitello alla Madonna. Siamo ancora nel territorio di Carbonera.
Centocinquanta metri dopo siamo sul retro di Villa Bianchini.
Villa Bianchini (XVII – XIX secolo)
Era un convento dei certosini del Montello e sede del XI corpo d’Armata durante la prima guerra mondiale, che vide ospiti Vittorio Emanuele III° e il Duca d’Aosta. L’edificio originario di epoca seicentesca, nel 1800, venne proseguito verso est con una tipologia architettonica molti simile a quella antica. Indipendenti dalla struttura vennero aggiunte a nord una barchessa con arcate a tutto sesto e l’oratorio della Visitazione. Dei bellissimi pini italici ne adornano il giardino in riva al Fiume Melma, fiume che scorre sul lato occidentale della villa.
ORATORIO DELLA VISITAZIONE
Si ha della presenza nel Settecento dell'Oratorio della "Visitazione di Maria", appartenente alla Certosa del Montello, che a Lanzago aveva un convento ed un ospizio oltre a diverse proprietà terriere, donate da Philippe de Mezieres (1327-1405 circa) verso la fine del Trecento.
Nel 1779 in un documento relativo ad una visita pastorale del vescovo alla comunità di S. Michele di Melma è citato come Oratorio di S. Maria Maddalena, appartenente all'ospizio dei certosini del Montello (presumibilmente l'Oratorio della Visitazione), in cui si precisa che era stato visitato nel 1759 dal superiore provinciale padre Onigo.
Queste proprietà della Certosa, compreso il monastero e l'oratorio, durante il periodo napoleonico vennero espropriate e vendute a privati. L'oratorio, sempre in mano a privati e ormai decadente, venne ricostruito nel 1825.
Ritorniamo nella principale tenendo la direzione sud. Così per altri 650 metri sullo sterrato.
Teniamo ora la destra sfruttando la ciclabile che c’è sulla destra in Strada Callalta. Siamo nei pressi di Villa Azzoni Avogadro.
VILLA AZZONI AVOGADRO
Siamo in Via Callalta 106. Appartiene ai primi anni del 1500. Fu costruita dalla famiglia trevigiana dei conti Onigo sulle rive del fiume Melma. Venne acquistata, in cattive condizioni, nel 1639 dal conte Fioravante degli Azzoni Avogadro, il quale rifece completamente la facciata con elegante loggia a colonne d’ordine tuscanico collegata al giardino da un’ampia scalinata. Nel settecento subì un intervento sia all’interno che all’esterno probabilmente ad opera dell’architetto Selva costruttore del teatro della Fenice di Venezia. L’edificio è a pianta quadrata. Davanti ha una gradinata che sale fino alla loggia di archi. Ha il soffitto con travatura alla sansovina. Qui dentro anche un oratorio del 1600 e nel giardino ci sono molte statue e una bella fontana in marmo del 1500 con una grande coppa su cui sono scolpiti gli stemmi di Casa Rinaldi, Onigo e Avogadro appunto. Ospitò nell’ottocento il principe Victor di Roban, generale dell’Armata Austriaca e nella prima guerra mondiale, il Re Vittorio Emanuele III.
Gli Azzoni Avogadro (o Azzoni Avogaro, talvolta anche Avogadro degli Azzoni) sono una famiglia nobile di Treviso. Come altre famiglie feudali gli Azzoni Avogadro dovrebbero avere origini tedesche. La famiglia ebbe un ruolo decisivo nel governo del comune di Treviso, in particolare con Alteniero III, ucciso da Guglielmo III da Camposampiero durante una congiura organizzata da Guecello Tempesta (5 gennaio 1327). Con l'avvento della Repubblica di Venezia venne istituito il Consiglio nobile trevigiano (1388) e gli Azzoni vi vennero subito compresi. Il 29 marzo del 1389 il vescovo Nicolò Beruti, su raccomandazione del defunto doge Andrea Contarini, nominò Alteniero di Rizzolino ei suoi discendenti avogari, cioè amministratori dei beni diocesani. Di qui l'aggiunta dell'appellativo "Avogadro" o "Avogaro" al cognome e la concessione di un feudo esteso tra Noale, Trebaseleghe, Zeminiana, Briana, Mazzacavallo e Stigliano. Alla famiglia Azzoni Avogadro è altresì attribuita la realizzazione del palazzo gotico che si trova nel centro storico di Treviso, denominato Ca' dei Ricchi.
ORATORIO DI S. GIUSEPPE E ANTONIO (interno villa Azzoni)
Sul lato sud di Villa Azzoni Avogadro, in fondo al giardino si trova l’oratorio di San Giuseppe e Sant’Antonio. Fu costruito verso la metà del 1600. È ancora ben conservato. La facciata è a paraste. Su di esso ricordiamo in particolare la data del 17 maggio 1766 allorché Papa Clemente XIII concedeva il privilegio dell’oratorio domestico alla famiglia Azzoni Avogadro. Nel 1779 veniva però aperto al pubblico. Al suo interno da segnalare una pala che rappresenta la Madonna, Gesù Bambino, Sant’Antonio e San Giuseppe.
Ora torniamo sui nostri passi tornando sulla strada Callalta. Teniamo la destra, andiamo avanti 200 metri e quindi giù a destra in via Avogadri. Di lì per 800 metri e poi andiamo a destra in via Creta. Giù per 250 metri e quindi a destra. Andiamo avanti 200 metri e quindi in prossimità di una netta curva che svolta a sinistra, noi teniamo dritti, sullo sterrato e costeggiando la recinzione nord degli impianti sportivi. Stiamo per raggiungere il parco del Melma. Di lì a poco ci saremo.
Ora andiamo avanti sullo sterrato, superiamo un ponte, teniamo la sinistra e poco oltre siamo nei pressi della struttura ove aveva sede il vecchio Municipio di Silea.
VECCHIO MUNICPIO DI SILEA
Avanti ancora 100 metri e saremo di nuovo in via Roma. Teniamo ora la destra. Andiamo avanti 200 metri e una volta arrivati sulla rotonda guardando alla nostra destra ecco il monumento ai caduti.
MONUMENTO AI CADUTI (1940-45)
Torniamo sui nostri passi. Circa 200 metri più avanti sulla nostra destra il complesso della Chiesa parrocchiale di Silea.
PARROCCHIALE DI SILEA (XV secolo)
Storia della Chiesa.
La chiesa di San Michele Arcangelo rappresenta uno degli edifici più antichi di Silea, già documentato a partire dal 1170, quando il piccolo villaggio originario di Melba aveva una cappella dedicata a San Michele. In un documento del 1223 è segnalata anche l'esistenza di un piccolo porticato davanti alla porta centrale della chiesa. Nel 1297 tale chiesa è considerata la 18° cappella della Pieve di San Giovanni Battista in Treviso e nel 1493 (data che si ritrova sul portale della chiesa) la struttura originaria viene ricostruita e ampliata, configurandosi nella sua attuale forma. Nel corso del quattrocento infatti, sono attuati interventi di ampliamento e di parziale ricostruzione dell'antecedente chiesa romanica (1172). Unico frammento romanico superstite, forse proveniente dal vecchio edificio, è un capitello con aquila coronata, addossato alla muratura perimetrale nell’angolo nord-ovest dell’aula.
L’edificio viene consacrato il 27 settembre 1626, come riportato in un’iscrizione in pietra sulla colonna sinistra del presbiterio, mentre la facciata viene completata nel 1891. A fine Ottocento sono realizzate alcune opere al pavimento, già nel 1880, e successivamente alla copertura e agli esterni. Viene, inoltre, ricostruita una sacrestia.
Pianta e struttura
La chiesa, in stile settecentesco, presenta un impianto a navata unica, orientata in direzione est-ovest, sulla quale si aprono due nicchie in cui trovano posto due altari lapidei. La navata termina con un grande arco trionfale che la divide dal presbiterio, rialzato di tre gradini rispetto alla navata, sul quale si aprono lateralmente due cappelline.
Quest'ultimo la divide dall'abside, ai cui lati si collocano dei vani di altezza più bassa: a destra è collocata la sacrestia del 1884 mentre, a sinistra, una piccola cappella edificata nel 1990. La facciata principale è composta da paraste che inquadrano il portale d’ingresso sovrastato dalla raffigurazione di San Michele Arcangelo e da due ampie finestre rettangolari dotate di serramenti in legno a ghigliottina. Al di sopra delle paraste è collocata una trabeazione, con soprastante timpano. La struttura muraria della chiesa è in mattoni in pieni in laterizio. La copertura è realizzata con capriate in legno di tipo palladiano. Internamente il presbiterio è coperto da una volta a botte mentre l’area dell’abside da una volta a crociera.
Elementi decorativi
L’apparato decorativo attuale, costituito da stucchi, cornici, specchiature, è databile probabilmente alla metà del XVIII secolo, ma sono tuttavia riconoscibili sui prospetti delle tracce di una precedente decorazione.
Gli interni
L’altare maggiore, il tabernacolo e la pala
L’altare maggiore ed il tabernacolo sono di Sgualdo Fadiga da Venezia nel 1742. Nella pietra sacra si conservano le reliquie di San Gennaro e S. Erma. La pala, realizzata da Vincenzo del Mosaico, fu commissionata nel 1517 dall’allora rettore della chiesa Francesco Bonifacio da Padova. Rappresenta S. Michele Arcangelo e gli apostoli che sono: Pietro, Paolo, Giovanni e Giacomo.
Le opere di Giovanni Marini (Antecedenti al 1720)
Solo collocate nel presbiterio della chiesa.
Adorazione dei Re Magi
La circoncisione di Gesù
La fuga in Egitto
La nascita di Gesù
L’altare a destra del presbiterio
L’altare del Cristo risorto
Già prima del 1646, questo altare fu dedicato al Cristo Risorto. Fu però ricostruito verso il 1779 e dedicato per un periodo a S. Nicola da Bari, protettore della scuola dei Burchiai, formata da tutti i barcaioli del paese. Verso la fine del diciottesimo secolo fu dedicato nuovamente al Cristo Risorto e arricchito da una pala che rappresenta Cristo Risorto insieme ai Santi Giovanni e Nicola da Bari.
L’altare a sinistra del presbiterio
Santi Biagio, Antonio e Valentino
Inizialmente dedicato a San Biagio, almeno prima del 1646, fu però ricostruito e dedicato a Sant’Antonio nel 1779. La pala ritrae i Santi: Antonio da Padova, Valentino e Biagio. La pala fu dipinta da Francesco da Potenza nel 1786.
Madonna in trono e Gesù Bambino
Un altare dedicato nel 1584 alla Madonna, che però fu ricostruito in marmo nel 1793 e dedicato alla Beata Vergine del Carmine. La pala oggi non visibile qui, rappresenta la Beata Vergine del Carmine con Santa Caterina, Santa Apollonia, Sant’Agata e Santa Lucia. Questa pala è oggi sostituita da una Madonna in trono con Bambino che è del 1950.
San Rocco, San Sebastiano e S. Antonio Abate
Si tratta di un altare dedicato fino al 1592 a San Rocco, in quanto protettore della Scuola dei Mugnai. Nel 1793 fu però ricostruito e in esso fu inserita la pala che vediamo e che rappresenta San Rocco, Sant’Antonio Abate e San Sebastiano. La pala fu dipinta da Antonio Florian pittore e ristrutturatore veneziano vissuto tra la fine del 700 e la prima metà dell’ottocento.
L'Organo del 700
Il soffitto – La lotta di San Michele Arcangelo
L’apparato iconografico affrescato sul soffitto della navata risale probabilmente al XIX secolo: al centro è collocato un grande affresco policromo che rappresenta la “Lotta di S. Michele Arcangelo” coronato da quattro affreschi monocromi: l’allegoria della Santa Madre Chiesa, la Fede la Speranza e la Carità.
Usciamo dalla Chiesa
L'attuale campanile, staccato dal corpo della chiesa, risale al 1754, anno della sua ricostruzione. Viene dotato di una “macchina oraria” complessa e pesante attualmente conservata in parrocchia.
Le prime notizie storiche che riguardano il campanile risalgono però al Cinquecento, dove si ha notizia di una torre campanaria accanto alla chiesa, dotata di due campane.
Usciamo dalla Chiesa e andiamo a destra su Via Roma. Avanti per 150 metri ed eccoci al ponte sul Fiume Melma.
Andiamo avanti per 150 metri e, sulla nostra sinistra nascosta tra gli alberi e la vegetazione del suo giardino ecco Villa Miollo.
VILLA MIOLLO
Fu costruita nel 1700. Le due barchesse risalgono invece all’intervento del 1846 che comportò anche la sopraelevazione di un piano della villa con la conseguente eliminazione del frontone. Sulla facciata affrescata da due meridiane, spiccano i due poggioli ottocenteschi in ferro battuto di tipico gusto dell’epoca. Un ampio giardino circonda il complesso.
Poco oltre davanti a noi l’Oratorio della Beata Vergine della Salute.
ORATORIO BEATA VERGINE DELLA SALUTE
L'oratorio della Beata Vergine della Salute è situato in un crocevia che lambisce il centro urbano di Silea e presenta un aspetto neoclassico dovuto agli interventi di restauro ed ampliamento ottocenteschi. La prima notizia storica è risalente al 1567 e indica la presenza di un’edicola sacra, di proprietà privata, con l'immagine della Madonna con Bambino. A fine Settecento l'oratorio viene ampliato ad ovest, modificando l’orientamento della facciata principale, e viene chiamato: “Oratorio di Melma”. Viene intitolato alla presentazione della Beata Vergine Maria e al suo interno è inserito un altare. Nel 1842, il parroco Don Leonardo Mauri ed il nobile Alessandro Barbaro fanno ampliare nuovamente l’oratorio, intitolandolo alla Madonna della Salute vista la particolare devozione da parte degli abitanti del paese. Verso la fine del XIX secolo viene costruita una nuova sacrestia ed il piccolo campanile. Il manufatto presenta un impianto a navata unica. La parte terminale dell'aula è caratterizzata da un arco a tutto sesto sorretto da paraste decorate a "finto marmo" e da due accessi laterali al deambulatorio, in posizione simmetrica. Un piccolo coro voltato a botte ospita l'elegante altare settecentesco in marmo, all'interno del quale è collocata una pala del 1847 del Pittore De Santi raffigurante la Madonna col Bambino.
L'abside semicircolare ospita una nicchia in muratura dove è conservato un affresco cinquecentesco della Madonna. Il prospetto principale è di aspetto neoclassico, sottolineato da paraste e semicolonne di ordine tuscanico, le quali sorreggono una trabeazione con al centro timpano arcuato al di sopra del quale si apre un frontone mistilineo scandito da pilastri sormontati. I pilastri centrali sorreggono due vasi in pietra mentre quelli laterali esterni due statue di putti in pietra di Vicenza del 1855. In sommità si erge una croce in ferro infissa in un basamento in pietra d’Istria. Il fronte è caratterizzato dalla presenza di due finestre ad arco ribassato simmetriche e del portone d’ingresso protetto da un elegante cancello in ferro battuto settecentesco.
Teniamo ora la destra e andiamo in via Cendon (strada segnalata tra l’altro nel percorso della Venezia-Monaco). Pedaliamo per 900 metri sulla principale. Sulla nostra destra una cancellata ci dice che siamo nei pressi di Villa Valier (da qui però non è visibile. Lo è invece dalla sponda destra del Sile sul lato di Casier).
VILLA VALIER BATTAGGIA
È una bella costruzione della seconda metà del 1500. Venne eretta dalla famiglia Barbaro con la facciata, rivolta al fiume Sile, completamente affrescata. Una lunga scalinata ornata di statue e vasi conduce all’imbarcadero sul Sile la villa è ancora oggi completamente affrescata. Davanti alla tipica facciata, affrescata da un pittore proveniente dalla scuola di Paolo Veronese, vi è una lunga gradinata ornata di statue e vasi che scende fino all’approdo, circondata da splendide piante. Oggi considerata come una sorta di museo all’aperto, Villa Valier Battaggia presenta caratteristiche sostanzialmente omogenee alle tipiche Ville venete. Caratteristica essenziale di questa Villa, derivante dalla sua vicinanza al fiume Sile e la prossimità ad una strada principale, è stata quella di assumere una collocazione sul territorio più rispondente ad una funzione agricola piuttosto che una residenziale e di essere stata inserita nel sistema di gestione del territorio, con la funzione principale di trasporto delle sue produzioni agricole verso il mercato veneziano. Nel terreno vicino alla villa sono venuti alla luce cocci di vasi, anfore ed altri oggetti di terracotta, da cui si ricava, almeno nel quindicesimo secolo, l’esistenza di una fabbrica artigianale. Alla villa appartiene l’oratorio dell’Assunzione di Maria costruito nel 1762.
Circa 500 metri più avanti sulla principale e guardando a destra ecco l’ingresso per villa Barbaro.
VILLA BARBARO GIANESE
(Villa Barbaro Gianese vista dalla sponda destra del Sile)
La villa un tempo chiamata Ca’ Vecchia, fu costruita verso la fine del 1600 dalla famiglia dei Barbaro a cavallo di un’ansa del fiume. La barchessa sorge staccata a nord ed è caratterizzata da una lunga serie di arcate. All’oratorio di San Gerolamo, che fa parte della villa.
Oratorio di San Gerolamo (in Villa Barbaro)
Nel 1754 questo oratorio in realtà era dedicato al Crocefisso, era aperto al pubblico ed apparteneva a Giovanni Barbaro. In passato la gente del luogo si recava ad implorare la benedizione del Signore sui raccolti e la grazia della pioggia. È tradizione, non ancora avvalorata da documenti, che qui abbia sostato nel sedicesimo secolo S. Gerolamo Emiliani.
UNA PICCOLA INCURSIONE
Ritorniamo sulla principale via Cendon e andiamo a destra per 600 metri. Prima del cavalcavi sulla destra uno sterrato con staccionata che ci porterà dopo circa 150 metri in un luogo isolato (la stradina termina presso una abitazione), da cui in lontananza potremmo ammirare il Sile immerso tra il verde in lontananza.
Torniamo sui nostri passi e ritorniamo su via Cendon. Teniamo la destra, superiamo il cavalcavia e quindi 50 metri. Sulla nostra sinistra ecco l’oratorio di San Pietro.
ORATORIO DI SAN PIETRO
Originariamente e cioè, sino alla demolizione della villa, faceva parte del compendio di Villa Memmo. Dalla lapide posta sulla sua facciata se ne ricava che nel 1677 fu dedicato a San Pietro da Bernardo ed Andrea Memmo. Sul suo altare infatti si trova una statua di San Pietro scolpita da Giusto da Corte nel 1678. Dal 177 l’oratorio era anche dotato di un sacerdote che aveva l’incarico di celebrare messa per la famiglia Memmo.
Ritorniamo sulla principale via Cendon e giriamo a sinistra. Avanti 200 metri: ci fermiamo nei pressi di un ponte. Siamo sul Nerbon, uno dei tre corsi d’acqua di Silea.
Sul lato sinistro della strada, la mia attenzione è attirata da una vecchia statua con delle scritte: è la statua di San Giovanni Nepomuceno, statua del 1760.
STATUA DI SAN GIOVANNI NEPOMUCENO
La statua di San Giovanni Nepomuceno sul ponte del Nerbon (1760) è uno dei pochi resti di Villa Memmo.
Ora 50 metri e quindi a destra in via Chiesa. Il toponimo della via ci dice che stiamo andando verso la Chiesa di Cendon
CENDON DI SILEA
Cendon è il nome di un’altra frazione e sulla sua origine e sul significato del suo nome sono state fatte diverse ipotesi. Gli anziani nella dizione della parlata locale dicono ancora Sén-dòn che potrebbe far pensare a due parole di origine celtica o gallica cioè seno, vecchio, e dunon, recinto con il significato di villaggio recintato. Può anche ricordare la denominazione Zendono da “dono a Zeno” cioè da un’antica donazione all’abbazia di San Zeno (Verona). Nei documenti antichi possiamo trovare i seguenti riferimenti Toure de çendono (1178) Curtis de çendono cum capellis (1185), Regula de çendono (1283) e Comune de çendono (1315).
Tenuta la destra in via Chiesa, proseguiamo per 400 metri circa.
Sulla nostra sinistra la parrocchiale di Cendon di Silea.
PARROCCHIALE DI CENDON DI SILEA
Storia
L'odierna Chiesa dei Santi Vittore e Corona Martiri è frutto della ricostruzione di un manufatto già esistente, avvenuta nel 1727 a spese dei parrocchiani. Nel 1297 si chiamava “Ecclesia Sancti Victoris de Zendono” ed era considerata la settima cappella della Pieve di Santa Maria di Casale. Alcuni studiosi, tra cui Agnoletti, sostengono che si tratti, invece, di un ampliamento, in quanto la vecchia navata venne probabilmente salvata dalla demolizione e, adeguatamente consolidata, trasformata nel presbiterio della chiesa attuale. Alcuni particolari, come lo stemma all'ingresso della sagrestia, ricordano il dominio asburgico avvenuto nel corso dell'Ottocento. La chiesa fu consacrata dapprima nel 1727 e poi nel 1859.
La struttura L’impianto planimetrico del tempio è semplice: basilicale ad unica navata, che si dilata verso il fondo con una cappella presbiterale rettangolare e lateralmente con otto cappelle minori, destinate ad ospitare gli altari secondari. Il presbiterio, che termina con un'abside retta, è leggermente rialzato, separato dall'aula mediante una bassa balaustra lapidea.
La facciata
La chiesa presenta una facciata che riprende il tema del finto pronao classico, secondo l’uso diffuso nei territori della Serenissima: essa è ritmata da quattro lesene d’ordine ionico su alti basamenti ed è coronata da un frontone triangolare sulla cui sommità campeggiano le statue lapidee delle tre virtù teologali, la Fede, la Speranza e la Carità. Al centro, il portale d’ingresso è enfatizzato da un timpano triangolare in scala minore. Lo spazio compreso tra questo e la trabeazione è occupato da un dipinto che raffigura l'Immacolata ma che, un tempo, raffigurava i due santi cui è dedicata la chiesa.
Il campanile
Da ricordare che su questo campanile, staccato dal corpo della chiesa, sono issate campane provenienti dalla chiesa della Pietà di Venezia.
Gli interni
Altare Maggiore
È di origine settecentesca. In esso si evidenziano le statue di marmo bianco raffiguranti San Vittore e Corona che sono i Santi Patroni.
Pala dell’altare Maggiore
La Pala dell’altare maggiore rappresenta i santi Vittore e Corona e fu dipinta dal pittore Trevigiano Paolo de Lorenzi all’inizio del 1700.
Gli altari laterali
ALTRE OPERE
Il soffitto
Rappresenta la gloria dei Santi Vittore e Corona. Fu dipinto da A.Beni tra il 1921 ed il 1930. Sostituisce quello originario del Guaranà che era tutto rovinato.
Usciamo dal piazzale della Chiesa, teniamo la sinistra e poco oltre eccoci nel pieno del Porto di Cendon.
PORTO FLUVIALE DI CENDON
Passo barca e porto fluviale di notevole importanza nel passato. Oggi riqualificato a fini turistici e paesaggistici. Il Passo a Barca, è una delle modalità per collegare Cendon, Silea e Roncade con Lughignano, Casale, Casier e Treviso.
Facciamo il lungo argine per 150 metri circa. Sulla nostra sinistra una Villa. Si tratta di Villa Maderni.
VILLA MADERNI
Fu costruita verso la fine del 1600 e conserva ancora tracce dell’antica decorazione a stucco. Subì purtroppo la sorte di molti altri edifici, venendo suddivisa, molti decenni fa in vari appartamenti.
Facciamo altri 100 metri e sempre sulla nostra sinistra ecco Villa Fanio.
VILLA FANIO
È una costruzione settecentesca, con la facciata rivolta verso il Sile. Da notare sulla parte superiore il frontone con tre finestre con mascheroni in chiave d’arco. A nord si innesta una semplice barchessa. Un muro di cinta racchiude l’originario piccolo giardino ed il brolo a est.
Teniamo ora via Capitello in direzione Nord-est. Facciamo 300 metri ed arriviamo all’incrocio. Poco prima dell’uscita un capitello votivo “vecchio” attira il mio sguardo. È il capitello della Madonna.
CAPITELLO DELLA MADONNA
Capitello antico costruito sicuramente prima del 1564 e più volte ristrutturato. Sulla parete esterna si notano degli affreschi ormai rovinati, ma all’interno un affresco della Madonna con il Bambino
Teniamo ora la destra, andiamo avanti per 500 metri e quindi a destra su via Colotti. Avanti per circa 250 metri; sulla nostra sinistra ecco Villa Colotti.
VILLA COLOTTI
Di origine settecentesca, rimaneggiata profondamente, si presenta oggi con l’aspetto di un tipico fabbricato ottocentesco. All’interno si conservano alcuni pavimenti in terrazzo veneziano.
Torniamo sui nostri passi e quindi indietro per 250 metri circa, tornando così sulla principale. Li teniamo la destra. Facciamo 250 metri e quindi giù a destra per 50 metri: sulla nostra sinistra ecco l’Oratorio di Sant’Antonio.
ORATORIO DI SANT’ANTONIO
L’Oratorio fa parte della quasi del tutto demolita Villa Pisani che vedremo fra poco. Appartenne appunto a Vincenzo e Michele Pisani, quindi passò a Pietro Gradenigo e quindi ai Cattarin. Da segnalare un episodio interessante: nel 1826 il parroco di Cendon che allora era Don Antonio Paronetto, chiesa a Giovanni Cattarin di poter usare il suo oratorio per prestare delle cure agli ammalati e moribondi dei dintorni, poiché a causa delle strade impraticabili (era dicembre) era difficile portarli alla chiesa principale di Cendon. Anche nel settembre del 1866, allo scoppio di una epidemia vi si ospitarono alcuni ammalati.
Torniamo sui nostri passi, 50 metri e quindi di nuovo sulla principale. A destra e avanti per 50 metri circa. Sulla nostra destra, ecco ciò che rimane di Villa Pisani.
VILLA PISANI (EX)
Fu costruita verso la fine del 1600. Appartenne alle famiglie Pisani e Gradenigo. Della villa oggi rimane solo la barchessa ed appartiene alla Famiglia Cattarin.
Restiamo sulla strada (la strada non è affatto adatta alle bici, in quanto tutto sommato stretta e anche abbastanza trafficata, quindi cerchiamo di sfruttare le ciclabili che ci sono magari spostandoci anche sul lato sinistro della carreggiata) e pedaliamo per 400 metri. Subito dopo la grande curva noteremo una stradina che va a destra. La prendiamo. Circa 150 metri più avanti ecco l ‘Oratorio di Sant’Antonio nei pressi di Villa Bembo
ORATORIO DI S. ANTONIO (VICINO VILLA BEMBO)
Questo oratorio nel 1735 era dotato di una mansionaria e quindi aveva tutto quello che serve funzioni religiose. Passò ai Bembo e nel 1842 ai Gradenigo. Non è però l’oratorio originale perché la famiglia De Mattia nel 1965 lo fece demolire e ricostruire da altra parte e cioè dove lo vediamo ora.
Qualche metro più in giù ma poco visibile perché nascosta dalla vegetazione del giardino, ecco Villa Bembo.
VILLA BEMBO
È di origine seicentesca. Interessante la facciata dove spicca, in corrispondenza della sala centrale del piano terra una finestra a serliana.
La serliana è un elemento architettonico composto da un arco a tutto sesto affiancato simmetricamente da due aperture sormontate da un architrave; fra l'arco e le due aperture sono collocate due colonne.
Ancora 150 metri in direzione sud e quindi a destra sulla principale. Avanti circa 400 metri e quindi a destra per 150 metri. Siamo in piazza a Sant’Elena.
SANT’ELENA DI SILEA
Sant’Elena sul Sile è la quarta frazione storica di Silea. Il nome deriva da quello della sua chiesa dedicata a Sant’Elena imperatrice e costruita vicino al Sile. Il villaggio nei documenti antichi è detto anche Villa de Sancta Elena (1089) e Villa de Sancta Lena (1250), che aveva la Regula de S.Lena de Super Sylerem (1283), la Fratta de Santa Lena (1284) e Comune de Santa Lena (1315).
S. Elena Imperatrice Elena, la santa imperatrice. Il nome di Sant’Elena appartiene ai primi secoli della cristianità, sebbene le notizie siano contrastanti. Le informazioni più accreditate indicano Roma come la sua città natale, dove venne alla luce nel 250 d.C. da una famiglia pagana. In età da marito, si unì a Costanzo Cloro che la condusse in Dardania, dove diede alla luce quel Costantino che avrebbe liberato il Cristianesimo.
Le dinamiche politiche determinarono il suo ripudio da parte del marito. Elena rimane quindi a crescere il figlio nella villa dell’Illiria. Alla proclamazione di Costantino come imperatore, divenne un’Augusta del figlio e inizio le sue opere caritatevoli. Dopo il Concilio di Nicea, fu proprio Elena ad occuparsi della costruzione di templi e basiliche cristiane in Palestina per conto dell’imperatore. La storia vuole che sia lei, una volta giusta a Gerusalemme, a scoprire il S. Sepolcro e la S. Croce del Cristo. Dopo aver portato la Croce nella cattedrale della città, rimase a Gerusalemme per la costruzione di altre chiese e strutture caritatevoli. Nel 329, tornata a Roma, spirò tra le braccia del figlio.
LA PARROCCHIALE DI SANT'ELENA DI SILEA
Origini
Si ha notizia di una prima chiesa dedicata a Sant’Elena nel 1089. E nel 1297 era considerata la sesta cappella della Pieve di S. Maria di Casale. Fu ricostruita forse sulle fondamenta di quella antica, nel 1478, data che fino a qualche tempo fa si poteva rilevare sul portale d’ingresso. Dell’edificio originale oggi forse rimane la sola facciata, costruita con grossi blocchi di pietra.
Evoluzioni
È una chiesa che rispetto all’originaria, ha subito diverse ristrutturazioni. Nel 1592 per esempio aveva ancora un porticato davanti che fu però poi abbattuto. Per parlare di tempi più recenti, nel 1930 si assiste al crollo del soffitto affrescato della navata.
Il campanile
Il grandioso campanile fu costruito da Marco Murer nel 1547, circostanza rilevabile da uno stemma posto sotto l’orologio e confermata da diversi documenti. mentre la sua cuspide venne innalzata nel 1891.
Sopra l’ingresso notiamo uno stemma con due leopardi forse di epoca tardo romana o altomedievale e proveniente da qualche altro luogo.
Gli interni
L’interno dell’attuale chiesa è in stile settecentesco veneziano. La chiesa di Sant'Elena Imperatrice è costruita con orientamento est-ovest, in un terreno adiacente al fiume Sile.
Pianta
L'edificio presenta un'unica navata a pianta rettangolare, il cui perimetro è interrotto a nord e a sud da due cappelle che ospitano gli altari laterali. La navata termina nel presbiterio absidato, rivolto ad est.
La facciata
La facciata, intonacata e dipinta di bianco, è incorniciata ai lati da due lesene, poste su un alto basamento, sormontate da un timpano triangolare con un rosone decorato posto al centro. Sopra il portale d'ingresso è collocata un'apertura di forma semicircolare, la quale si ripete per tre volte su ciascuno dei prospetti laterali.
Le opere
L’interno della chiesa, di stile settecentesco, è dotato di ben cinque altari. L’affresco originale del soffitto, che oggi risulta spoglio, come abbiamo detto sopra, non esiste più in quanto è crollato nel 1930. I pochi stucchi che ancora si conservano sono di tal Serpaccia e risalgono al 1703.
Altare Maggiore
Non è l’originale. Fu infatti ricostruito da Alessandro Coccetti di Venezia nel 1788. Fu consacrato però l’anno dopo e cioè il 17 agosto 1789
Altare a Sant’Elena
La storia di questo altare è molto complessa: Nel 1606 era dedicato alla B.V. del Rosario. Nel 1625 aveva poi una pala rappresentante la Madonna e Gesù Bambino. Fu poi acquistata una statua in legno rappresentante la Madonna e scolpita da un certo Alessandro Superant nel 1703, statua che non moltissimi anni fa venne venduta. Ciò che vediamo ora è una statua in pietra d’Istria e rappresentante S. Elena Imperatrice. Si narra che questa statua in realtà fosse stata ritrovata mentre si arava un terreno. È vero però che di una statua dedicata a S. Elena si ha notizia qui sin dal 1625.
Altare al Sacro cuore di Gesù
Anche questo altare ha una sua storia complessa: nel 1756 era dedicato a San Giuseppe e nel 1792 esibiva una pala rappresentante l’omonimo Santo. Ora fa bella mostra di sé una statua del Sacro Cuore di Gesù acquistata non moltissimi anni fa. Vicino a questo altare vi era poi la tomba della famiglia Manolesso.
Altare alla Madonna (statua del 1954)
Altare al Crocefisso
L’ultima cena (prima del 1792)
La Fuga in Egitto (copia della celebre opera del Tintoretto) – prima del 1792
San Rocco Colpito dalla peste
(un ex voto durante il colera del 1836)
S. Elena – S. Irene – San Niccolò
(un tempo la pala dell’altare maggiore)
Usciamo dalla chiesa. Torniamo sui nostri passi. Qualche metro più in là sulla nostra sinistra ecco Villa Contarini.
VILLA CONTARINI
La villa di origine seicentesca, si trova nella piazza di Sant’Elena. Profondamente rimaneggiata, e divisa in varie unità, conserva ancora la finestra ad arco del primo piano trasformata nel 1800 in rettangolare. Degne di nota le belle piane dei davanzali e l’intonaco a marmorino. Fu per qualche tempo anche la sede delle scuole elementari.
Andiamo avanti per 150 metri e sulla principale noi giriamo a destra. Circa 150 metri più avanti una cancellata sulla nostra destra ci fa intuire l’ingresso di una Villa: si tratta di Villa Riva. Da qui non è visibile, lo è dal Sile e quindi dalla sua sponda destra. Ne parliamo lo stesso.
VILLA RIVA
Fu costruita dalla famiglia Da Riva di Venezia verso il 1650. La villa, caratterizzata dalle eleganti finestre ad arco sia del piano terreno che del primo piano, è circondata da un giardino nel quale c’è un pozzo. Staccate dalla villa sorgono la chiesetta dedicata dalla Beata Vergine e a San Marco e la semplice barchessa.
Andiamo avanti per circa 150 metri. Sulla nostra sinistra un capitello: è la Madonna del Cammino
CAPITELLO MADONNA DEL CAMMINO
Pedaliamo ora per 200 metri sulla ciclabile sterrata posta sul lato sinistro della strada. Ora sul lato destro una cancellata ci annuncia che siamo nei pressi delle Cicogne del Sile.
CICOGNE DEL SILE
Il centro sorto nel 1994, continua la sua attività grazie ai volontari della L.I.P.U. – Sezione di Treviso ed alla disponibilità e passione del Sig. Menuzzo Angelo che ha messo a disposizione il terreno e che prende parte attivamente al progetto. Scopo principale del Centro è quello della reintroduzione della cicogna bianca. Qui è infatti possibile osservare l’elegante uccello dal piumaggio bianco e nero, sia nelle voliere di acclimatazione che in completa libertà. L’ubicazione del Centro dentro i confini del Parco del Sile offre l’opportunità di osservare anche altri animali selvatici presenti lungo il corso del fiume. Lungo gli appositi percorsi è inoltre possibile conoscere tutte le essenze arboree e arbustive tipiche della pianura Padano-Veneta (siepi didattiche) e vedere le siepi odorose realizzate con piante aromatiche. Interessante anche il giardino fiorito creato con la piantumazione di particolari essenze botaniche che favoriscono la presenza di insetti e di variopinte farfalle. All’interno del Centro vengono inoltre ospitate varie mostre ed attività permanenti o occasionali, tra le quali: un aviario didattico, mostre a tema (funghi, foto naturalistiche, disegni ……) ecc... (dal sito del Comune di Silea).
Torniamo sulla strada e andiamo a destra in direzione sud.
Fatti 550 metri siamo nei pressi di un impianto rurale imponente: stiamo parlando di Villa Celestia.
VILLA CELESTIA
Già monastero delle Celestie, (monache cistercensi del monastero di S. Maria della Celesia di Venezia) sorge sulle rive del Sile. L’antico fabbricato cinquecentesco è caratterizzato da una serie di arcate a tutto sesto, e un bel camino alla “vallesana” sporgente a nord. Fu acquistata nel 1830 dai Barbini che costruirono, innestandola a est, una vera e propria villa in architettura neoclassica con frontone nel cui timpano è affrescato lo stemma della famiglia Barbini. Davanti alla villa si estende un piccolo giardino che, un tempo, era ornato da molte statue poste sui pilastri del muro di cinta. La Villa, durante la seconda guerra mondiale fu anche sede di un orfanatrofio.
il retro di Villa Celestia
Villa Celestia in una vecchia foto
Vista Villa Celestia procediamo in direzione sud sulla principale per altri 450 metri e ora a sinistra in via Belvedere.
Ritorno a Silea
Via Belvedere la facciamo per circa 850 metri e quindi si procede a sinistra su via Claudia Augusta (ebbene sì, siamo sul sedime dell’antica consolare Romana). Strada stretta e alberata. L’ideale per le nostre ultime pedalate in Silea.
Pedaliamo per altri 1,7 km sino all’incrocio con via Pozzetto. Proprio sull’incrocio un capitello.
CAPITELLO DI SANTA FOSCA (Roncade)