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MONTEBELLUNA A PEDALI
 

Caratteristiche tecniche

Lunghezza : 34 km

Tempi di percorrenza: 3 ore ( velocità media stimata in 10 km/h)

MONTEBELLUNA – IL TERRITORIO

Montebelluna è un comune di oltre 30.000 abitanti in provincia di Treviso in Veneto. Si tratta di un comune sparso, in quanto raggruppa diversi nuclei abitati separati tra di loro.

Nello statuto comunale di Montebelluna sono riconosciute undici frazioni: Biadene, Busta, Caonada, Contea, Guarda, la Pieve (che è la sede comunale), Mercato Vecchio, Pederiva, Posmon, San Gaetano, Sant'Andrea. Vanno tuttavia fatte delle precisazioni.

LE FRAZIONI.jpeg

Storicamente, la comunità di Montebelluna, che si identificava con la pieve di Santa Maria in Colle, era divisa in cinque colmelli, ovvero Posmon, Visnà, Pieve, Guarda e Pederiva (quest'ultima fu in seguito associata a Mercato Vecchio). Busta, Contea, Sant'Andrea e San Gaetano erano località minori dipendenti rispettivamente da Posmon, Visnà e Pieve, mentre Caonada e Biadene avevano una propria autonomia, facendo capo alle rispettive parrocchie.

Sino alla seconda metà del secolo scorso, il territorio comunale era ancora diviso nelle sette frazioni tradizionali (i cinque colmelli più Biadene e Caonada). L'espansione urbana del secondo dopoguerra ha portato alla formazione di una grande conurbazione e allo sviluppo di nuove frazioni che ha stravolto questa organizzazione. Visnà e Pieve sono praticamente scomparsi, tant'è che la stessa cartellonistica li identifica come un unico quartiere definito "Centro". Anche Posmon e Guarda risultano ormai delle semplici appendici di questo agglomerato, e nel frattempo hanno assunto una propria autonomia Busta, Contea, Sant'Andrea e San Gaetano, un tempo località minori. D'altra parte, anche Mercato Vecchio e Pederiva hanno visto uno sviluppo tale da doverle dividere. Questa evoluzione si è riflessa anche nell'organizzazione ecclesiastica: alle tre parrocchie "storiche" se ne sono infatti aggiunte altrettante (Busta-Contea, Guarda e San Gaetano). La sede comunale è situata nella frazione La Pieve. È il quarto comune più popoloso della provincia di Treviso, dopo il capoluogo provinciale, Conegliano e Castelfranco Veneto.

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MONTEBELLUNA – I CORSI D’ACQUA

Montebelluna è attraversata e per certi aspetti racchiusa tra due importanti fonti di approvvigionamento idrico: si tratta del Canale del Bosco a nord-est e del Canale di Caerano e la Brentella a sud, sud-est. In realtà si tratta delle stesse acque, acque del Piave che traggono origine dal grande sbarramento di Fener. Poco a sud dell’abitato di Crocetta del Montello infatti, la Brentella si divide in tre rami, due dei quali danno orine al Canale di Caerano e alla Brentella.

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IL TOPONIMO

Il toponimo è un composto di Monte al femminile, mentre il secondo elemento riprende il nome di Belluno; il nome “Monte di Belluno” è dovuto al fatto che il vescovo di Belluno, Giovanni, nel X secolo, combattendo contro i veneziani, passò il Piave e fissò qui il confine del Bellunese. Il toponimo apparve per la prima volta in un documento del X secolo, quando proprietari erano i vescovi di Treviso. Per altri invece deriverebbe dal celtico 'rocca forte', al quale si arriva per contorsioni passando per la dea bel-dunia, vale a dire bel (forte) più dunia poi dunun (rocca) e finendo in tarda prosecuzione in mons.

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LE ORIGINI

Al di là delle questioni etimologiche e delle presenza umana risalente al paleolitico medio, ciò che qualifica Montebelluna è senza dubbio la grande rilevanza dell'insediamento nel veneto-antico; esso era situato al centro di direttrici e percorsi nodali dell'area tra Piave e Brenta. L'ormai lunga vicenda dei rinvenimenti archeologici lungo e ai piedi delle rive, si è arricchita con l'arrivo della grandiosa necropoli di Posmon (Cima Mandria) e di nuovi importanti lotti di età romana.

CIMA MANDRIA.jpeg
La Montebelluna veneto-antica è, allo stato attuale degli studi specifici, assimilabile ormai ai centri di Padova e Este. In attesa di ulteriori verifiche, per il momento ricordiamo i tratti fondati dell’appartenenza di Montebelluna all'agro centuriato di Asolo che sembra trovare il suo limite nel XIII decumano e quindi in coincidenza con i rilievi. Il dato ha spinto alcuni studiosi a formulare l'ipotesi che la zona collinare tra Mercato Vecchio e S. Maria in Colle abbia accolto un contesto abitativo di epoca romana a carattere residenziale. Ne sarebbero prova evidente i pavimenti a mosaico, i resti in muratura, le lastre marmoree di rivestimento, i frammenti laterizi, i resti di fondazioni e di tubature fittili e in piombo rinvenuti in anni di ricerche, nonché la collocazione dell'area in posizione dominante sulla colonia agricola sottostante. Per altri, invece, la zona del Casteler avrebbe ospitato un castra romano in posizione di controllo della valle del Piave, posto pertanto sul confine settentrionale dei due graticolati romani e a difesa delle colonie; ne sarebbero prova, questa volta, il tessuto viario del mercato (l'intersecazione delle strade) e la riconoscibile configurazione del vallo che cinge il colle della rocca per proseguire in direzione sud-est attraverso frequenti interramenti.
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IL MEDIOEVO E IL CASTELLO

Nel medioevo, le vicende di Montebelluna ruotano attorno alla presenza, ampiamente documentata a partire dal 1100, del castello medioevale, frutto di una concessione imperiale di Ottone III a Rambaldo II conte di Treviso e poi feudo vescovile allorché, nel 1047 e nel 1065, Enrico III e Enrico IV lo confermeranno rispettivamente ai vescovi Rotario e Volframmo. Attorno al feudo prenderà vita il Comune rurale. La Pieve di Montebelluna nasce così indissolubilmente legata al fortilizio. E sarà sempre la rocca, da lì in avanti -ossia dalla concessione in affitto del beneficio mercantile all'interno della cerchia del castello- a rappresentare lo scenario -per quel che gli compete- delle tumultuose vicende che dal 1200 a metà del '300 sconquasseranno l'intera Marca. Passato così sotto la tutela del Comune di Treviso, il forte subirà l'escalation drammatica delle lotte per il potere (Ezzelino, Caminesi, Della Scala) e verrà più volte manomesso se non distrutto e altrettante ricostruito, sino al colpo mortale della seconda metà del XIV secolo. Del castello, sul finire del Cinquecento, rimanevano solo le descrizioni dei cronisti. Ma dove si sarebbe trovato questo castello?

AREA DELL'ANTICO CASTELLO.PNG
Questo edificio avrebbe occupato l’area che va oggi sotto il nome di “Casteller”: confinava a est con il dirupo della riva verso Biadene mentre ancora adesso è limitato da un terrapieno nei tre lati rimanenti su cui si innestava l’antica muraglia. Il ‘Castelliere’ era del resto molto diffuso in quella zona (in tutto il Montello, a Biadene, Venegazzù, Selva etc.) ed era una grande struttura in terra – forse abitata o adibita al culto – costruita nell’Età del Bronzo Medio-Recente (XV-XI sec), paragonabile alle strutture megalitiche europee che apparvero addirittura prima delle piramidi egiziane (IV-II millennio a.C.). Quel luogo insomma sarebbe stato il primigenio cuore cittadino, tanto che si ipotizza che proprio lì fosse stato eretto il famoso santuario paleoveneto da cui sono provenuti i dischi bronzei di Montebelluna, ora nel museo civico di Treviso. Oggi, una muraglia che si trova nella proprietà Zaffaina ricalca forse l’antica cinta muraria. 

L'ETÀ MODERNA

L'area del Casteler ormai da tempo assegnata alla Fabrica della chiesa, continua, a mantenere la sua funzione di orientamento. Il tutto traspare dal rogito in cui il Procuratore della Pieve, a nome dei cinque comuni (regole, colmelli), chiede al vescovo il rinnovo del livello ventinovennale "del campo, dei muri et della frata di Montebelluna", ò territorio, ove fù il campo predetto con la frata, muri, fossati..." Ciò significa anche che lo spazio dell'antico castello è assegnato e definitivamente gestito dalla Fabrica della chiesa, il che indica né più né meno la comunità. Ma a partire dalla fine del XV secolo, ai piedi del colle si intensificarono le attività agricole promosse dalla canalizzazione del Brentella e dall'arrivo di nuovi protagonisti e investimenti. Il Cinquecento segna l'apice della presenza sul territorio dell'antica nobiltà trevigiana presto affiancata dagli acquisti di soggetti emergenti provenienti dai commerci e dalle professioni urbane La proprietà della terra cambia progressivamente di mano nel corso del Seicento. La nobiltà e la borghesia trevigiane vengono scalzate dai nuovi protagonisti dell'aristocrazia veneta, grandi acquirenti di fondi privati e comunali (in realtà beni, per dir così, demaniali). La crescita di Montebelluna proseguirà in ogni modo con linearità per tutto il Settecento. Il territorio si arricchirà di nuove ville e di nuove attività artigianali e produttive. Ma la fine del secolo segnerà anche la crisi, che diventerà inesorabile, del vecchio mercato. La popolazione si era ormai da tempo insediata in piano, là dove si concentrava la vita attiva, là dove cominciava ad affacciarsi un certo dinamismo sociale e economico. La crisi del mercato sarà però soprattutto la crisi del sito: strade impervie, fangose, poco transitabili; spazio esiguo e per di più finito; condizioni igieniche pessime, mancanza d'acqua, continue lamentazioni dei mercanti costretti a disertare, più o meno in massa, prima di tutto un'intera tradizione che faceva del marcà di Montebelluna il mercato per antonomasia. E sarà necessario un giovane ingegnere come Giovan Battista Dall'Armi, geniale autore del cosiddetto nuovo mercato agli inizi degli anni settanta dell'Ottocento, a far ripartire il mercato stesso. Il trasporto del mercato al piano (1872) e la conseguente nascita del centro urbano segnano il passaggio alla modernità, dando alla cittadina i suoi tratti ancora riconoscibili (le grandi piazze, gli edifici). Montebelluna conta allora 7100 abitanti che, nel 1885, saliranno a 9008 per superare i 10.000 nei primi anni del '900.  Nonostante l'alto tasso di emigrazione, è in questo periodo, tra la seconda metà del XIX secolo e i primi decenni del '900, che la città vive la sua fase più intensa di sviluppo, anche grazie all'arrivo della ferrovia (la tratta Treviso - Montebelluna viene inaugurata il primo aprile 1884). 

All'inizio del secolo si insediano le prime aziende industriali di media portata e già nel 1904 il distretto di Montebelluna occupava il quarto posto in Provincia per potenza installata. La rapidità dello sviluppo è peraltro confermata dal fatto che, ancora nel 1885, l'unica attività non agricola di una certa rilevanza erano le sette filande di bozzoli che davano lavoro a 140 donne. L'industrializzazione dei primi del '900 annovera così la Filatura Cotonifici Trevigiani, il Cascamificio Bas (poi Filatura del Piave), gli stabilimenti in via Piave per la produzione dei perfosfati, solfati di rame e acido solforico, le manifatture tessili di Biadene e Pederiva, l'industria alimentare (i pastifici di Biadene, il molino “Cerere”) e si allarga progressivamente alla lavorazione del legno e soprattutto allo sviluppo del settore calzaturiero, che diverrà nel corso del secolo il motore dello sviluppo industriale locale.

Alla crescita economica si accompagnarono le prime forme associazionistiche: in particolare la Società Popolare di Mutuo Soccorso, fondata nel 1870. Dalle iniziali e consuete finalità di assistenza a operai e artigiani, la Società Operaia si trasformò progressivamente in un volano di civiltà e di iniziativa culturale. Nel suo ambito si promosse l'iscrizione dei soci alla cassa nazionale della Previdenza Sociale, l'istituzione nel 1901 di una Scuola di Disegno applicato alle Arti e Mestieri, la promozione della Biblioteca Circolante “A. Fogazzaro” nel 1911, la Scuola Tecnica nel 1920. In questo contesto va sicuramente ricordata la costituzione, nel 1897, della Società per la costruzione e la gestione di un Teatro Sociale. 

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Il territorio di Montebelluna venne bombardato dall'alto, durante la Grande Guerra, per 21 volte e colpito dalle artiglierie oltre Piave per ben 48 giorni. Ma, accanto alle distruzioni, rappresentate da 20 case completamente distrutte e 160 inabitabili (ben più pesanti quelle dei paesi rivieraschi come Pederobba o Cornuda), e alle sofferenze materiali, vanno sottolineate quelle umane. Montebelluna  diventa centro di raccolta immediata e di prima retrovia di più di 2000 persone. Un dato rende la città un caso pressoché unico (con Treviso) fra i centri del trevigiano: vale a dire quello di essere al contempo città al fronte dalla quale quindi ci si allontana (spontaneamente e poi obbligatoriamente), ma anche centro di raccolta degli sfollati dei Comuni limitrofi; «città militare» a tutti gli effetti ma anche avamposto della volontà politica di mantenere in vita, per quanto possibile, la vita civile e l'attività rurale allo scopo di evitare lo sgombero totale della destra Piave. E qui ci fermiamo. Iniziamo a pedalare! Altre storie le recupereremo man mano che la bici ce ne darà l’occasione!

La Partenza. Partiamo dal Palazzo Municipale.
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IL PALAZZO MUNICIPALE

Si tratta di una costruzione molto importante per la città di Montebelluna, un edificio costruito a metà ottocento e tutt'oggi sede dell'amministrazione comunale della città. L'aspetto esteriore è molto sobrio e pulito, costituito da due piani più il loggiato a piano terra con colonne circolari. Ampliamento di antico edificio rurale di metà Ottocento su progetto di Giuseppe Legrenzi senior

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Siamo in piazza Mazzini, sede di diversi palazzi.Si tratta di una serie di edifici ottocenteschi di nobile e dignitosa fattura costruiti negli anni immediatamente successivi alla nascita del nuovo centro urbano (1872).

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Più o meno davanti a noi la Loggia dei Grani.

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LOGGIA DEI GRANI ( fine ‘800)

Saggio architettonico di GioBatta Dall'Armi e perno del sistema di piazze progettato in occasione del trasporto dell'antico mercato da Mercato vecchio alla pianura. Bel palazzo storico che si affaccia sulla nuova area pedonale e che è il centro del sistema di piazzette di Montebelluna. All'ultimo piano ospita la bella sala consiliare. Il loggiato, dove oggi sono ospitati bar e locali notturni, fa parte del palazzo ottocentesco civico dell'orologio, riconoscibile appunto per questa caratteristica. Anticamente era il deposito del grano della città, dove risiedevano anche le famiglie più abbienti.

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Vista la Loggia guardiamo alla sua destra. Ecco allora il palazzo Morassutti.


PALAZZO MORASSUTTI

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Fa parte di quel complesso di Palazzi che sorsero nel centro di Montebelluna anche a seguito del trasferimento del mercato vecchio.

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Diamo le spalle ora a palazzo Morassutti e andiamo a destra. Oltre il palazzo municipale ecco Piazza Dall’Armi con il suo palazzo.

 

PALAZZO SARRI DALL'ARMI (1873)

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Risale al periodo in cui il centro di Montebelluna è sorto in base al progetto di trasferimento del mercato dal colle al piano. Edificio in stile composito e fori ad arco. Di notevole ricchezza le decorazioni. Il palazzo del signor GioBatta Sarri Dall’Armi, appaltatore e agente generale delle imposte dirette, spicca per la sua evidente personalità che ne esaltano la diversità. In un’operazione urbanistica straordinaria come quella del nuovo centro, i caratteri “capricciosi” del palazzo diedero vita, all’epoca, ad un autentico contenzioso di tipo urbanistico tra il Sarri e le autorità municipali. Il Sarri, da uomo d’affari  quale egli era, intendeva costruire per poter allocare i propri uffici e affittare completamente ogni spazio possibile ad attività commerciali: e più piccole fossero state le finestre più vani sarebbero stato ricavati. Egli, pertanto, si rifiutò di produrre un altro progetto. Di fronte alla volontà del proprietario di proseguire col proprio progetto o, in caso contrario, di demolire la costruzione già avviata, nell’agosto del ’73 il sindaco Clarimbaldo Cornuda chiese un parere ad un importante legale trevigiano. Sulla base della capitolato edilizio previsto per le fabbriche del mercato, il professionista concluse che il Comune, di fronte al rifiuto del Sarri, aveva il pieno diritto di pretendere la demolizione e di rientrare in possesso del fondo; ma lo stesso diritto di demolizione apparteneva anche al proprietario. Non era questa, probabilmente, l’intenzione del Comune e, di fatto, non accadde nulla di tutto ciò: la costruzione venne ultimata secondo le linee (anche decorative) previste dal Sarri e la giunta chiese all’ingegner Dall’Armi di chiudere entrambi gli occhi. Nel tempo, i suoi locali hanno ospitato (e ospitano) negozi e uffici, tra i quali la storica farmacia dell’Ospedale.

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Andando ora in direzione est e appena passato il semaforo, sulla destra ecco Palazzo Polin.

 

 

PALAZZO POLIN

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Visitata questa piazza, sostanzialmente ottocentesca, diamo le spalle a Palazzo Polin e andiamo a nord su Via Pastro. Circa 200 metri e quindi alla rotonda prendiamo la terza uscita e andiamo in salita su via Matteotti per altri 300 metri. Quindi a sinistra su viale d’Amore per 100 metri. Ora a destra in salita su via Zuccareda. Circa 50 metri e quindi a destra in vicolo Zuccareda. Saliamo per circa 200 metri ed eccoci nei pressi di Villa Zuccareda, il Museo dello scarpone.

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VILLA BINETTI-ZUCCAREDA (XVI SEC.)

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Uno degli edifici più densi di storia della città di Montebelluna. Viene costruita a cavallo tra il XVI e il XVII secolo per volontà dell’intellettuale trevigiano Bartolomeo Burchiellati, che la elegge a dimora di campagna della famiglia. La struttura, caduta in abbandono nel corso del XVIII secolo, viene interamente ristrutturata nella prima metà dell’800 dal nuovo proprietario, l’avv. Giovanni Ferro. In seguito la villa passa di proprietà alla famiglia Zuccareda (poi unita a seguito di un matrimonio a quella Binetti) e sarà testimone di alcune vicende storiche importanti: rifugio di patrioti italiani durante il Risorgimento, sede del Comando locale delle Forze Italiane durante la Grande Guerra e infine magazzino per gli armamenti durante l’occupazione nazista.

Dal dopoguerra fino ai primi anni Ottanta è sede di un convitto per sordomuti e nel 1982 viene acquistata dal Comune di Montebelluna, che sceglie di collocarvi, nel 1984, il Museo dello Scarpone. Edificio profondamente alterato da una profonda trasformazione avvenuta nell’Ottocento. Deve la sua riconoscibilità alla felicissima posizione che ne ha fatto una quinta iconica del montebellunese. Vi si accede per una lunga gradinata che conduce ad un'ampia facciata a due piani, con frontone ricurvo e decorazioni di fine '800. All'interno nelle sale di questa cinquecentesca dimora, sono ora esposti tutti i tipi di calzature usate dall'uomo e gli strumenti utilizzati dal "vecchio calzolaio". Dal 1984 è la sede del Museo dello Scarpone e della calzatura Sportiva, che, fin dalla sua fondazione, si è posto l'obiettivo di custodire la memoria storica non solo di un prodotto ma dell'intera comunità.

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Torniamo ora sui nostri passi e in discesa per 200 metri e ora a destra e in salita su via Zuccareda per altri 300 metri. Sulla nostra destra l’antico cimitero e sulla sinistra Santa Maria del Colle.

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CHIESA DI SANTA MARIA IN COLLE (XVII SEC.)

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La chiesa è in posizione assolutamente inconsueta e anomala per una parrocchiale. La prepositurale era, di fatto, la chiesa parrocchiale dei cinque Communi (neiquali c’era solo e non sempre qualche piccolo oratorio) ed era fonte battesimale dei Communi autonomi circostanti di Biadene e Caonada, dotati per l’appunto di propria parrocchiale.

La storia dell’istituzione comincia sin dalle investiture vescovili del XII secolo, ma la presenza di un edificio chiesastico è registrabile con certezza a partire solo dall’inizio del XIV secolo e passa attraverso la prima, per quel che è dato sapere, consacrazione del 1432, in occasione della ristrutturazione generale della struttura precedente. Ma il volto di Santa Maria in Colle è quello che il complesso assume con la grande stagione edilizia del Sei e Settecento. Nonostante il terribile colpo di un paio di recenti carestie, all’inizio del XVII secolo la comunità di Montebelluna è in evidente crescita economica e demografica. La chiesa quattrocentesca è molto probabilmente inadeguata a contenere la popolazione; la nuova aristocrazia contadina ritiene sia giunto il momento di dar corso alle ripetute ordinanze vescovili di riatto. Nell’estate del 1609, la comunità dei cinque colmelli decide così di “restaurar, refabricar et eriger” la nuova S. Maria in Colle. Il notevole numero di maestranze locali impiegate dimostra la rilevanza strutturale della ricostruzione, imperniata su un cantiere che metterà a dura prova le risorse della comunità e che rimarrà aperto per quasi quindici anni. Immediatamente dopo si diede mano alla lunga stagione degli arredi e degli addobbi interni. Si cominciò con l’altare di San Pietro (1623), si proseguì con l’altare maggiore, il tabernacolo e la pala di pietra, opere che coinvolsero la famiglia di tagliapietra dei Possa (Pietro, Lorenzo, più avanti i discendenti Nicolò e Gerolamo).  Intorno alla metà del secolo si definiscono le cantorie, si commissiona il nuovo organo al celebre costruttore Antonio Colonna, si costruisce il nuovo, costosissimo, altare in pietra viva dei Battuti affidato alla celebre mano dello scultore Matteo Allio, si arricchisce l’interno di nuove dotazioni come quella del pregiato lavello. Negli anni sessanta del secolo, il cantiere registra la presenza dei fratelli Comin, un terzetto nel quale spicca l’importante Francesco, ideatore ed esecutore, con il marangone locale Paolo Della Mistra, del bellissimo coro ligneo. La facitura degli interni segna un’ulteriore tappa nel 1683, allorché il tagliapietra Cristoforo Scala progetta e realizza l’altare del Nome di Gesù. La prepositurale era, in definitiva, ben fornita di altari, a cominciare dai piccoli e laterali di S.Eurosia e S.Giovanni Battista, per proseguire con quelli del Rosario, della Madonna, di San Pietro e del Nome di Gesù, tutti o quasi arricchiti di statue e marmi. L’austerità della navata, ricca di pietra e di cordoli, venne in parte attenuata dal notevole affresco La Gloria del Paradiso del pittore veneziano Francesco Fontebasso e, soprattutto, dall’importante stagione ottocentesca di acquisti d’opere d’arte da parte dei prevosti Dalmistro e Berna. I lavori hanno comunque termine nel 1695, anno in cui comincia l’impresa del nuovo campanile.

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Il Campanile e Giorgio Massari

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La vicenda del nuovo campanile di Santa Maria in Colle, al di là del suo pregio squisitamente architettonico non diverso da molte altre torri campanarie di campagna, costituisce soprattutto uno straordinario capitolo di storia comunitaria. Una storia di incidenti e di peripezie, di soste e di riprese, di imprevisti umani e di interventi fatali. Alla fine del '600, l’irrecuperabilità della struttura lesionata dal terremoto del '95, suggerisce di procedere ad una nuova edificazione che impegno la comunità Montebellunese dal 1696 al 1746. Pochi anni dopo, nel 1761, il campanile precipitò nuovamente al suolo e per ragioni che sono tuttora oscure.

Solo due anni prima, nel giugno del 1759, si decise di rifare completamente il soffitto della chiesa e di ridefinire la facciata secondo stilemi più aggiornati affidandosi all’altissima professionalità del famoso architetto veneziano Giorgio Massari, piuttosto pratico del posto, da lui frequentato in occasione dei progetti per villa Mora, Fietta e Lattes.  Nel mese si settembre si stipulava il consueto analitico capitolato di lavoro con le maestranze, alle quali veniva imposto di realizzare il soffitto secondo le intenzioni del celebre architetto signor Giorgio Massari.In questo quadro intervenne il nuovo disastro statico della torre campanaria. Superata la fase, sempre piuttosto lunga, di sconcerto, si decideva per l’ovvia ricostruzione servendosi ancora dei pareri del Massari che consegnò il 14 luglio 1765 il progetto della pianta. Ma i lavori si fermarono e il cantiere riaprì solo nell’ultimo decennio del secolo. Il nuovo cantiere, diretto dal massaro Serena, venne affidato per la parte operativa al capomastro Antonio Franceschini e al tagliapietra Andrea Bettio. Alla luce della abbondantissima documentazione ottocentesca c’è da supporre che il cantiere del Serena abbia potuto operare poco e per breve tempo. L’attuale campanile di Santa Maria in Colle è, infatti, una realizzazione tipicamente ottocentesca, nei moduli stilistici e costruttivi e nella realtà delle carte d’archivio. L’alacre cantiere ottocentesco (1815-27) è talmente ricco di datie di informazioni da consentire una lettura pietra per pietra della struttura. La torre venne ricoperta ma l’insieme risultò così sgradito (il pretore per protesta portò la pretura a Biadene!) da richiedere un ulteriore intervento a fine secolo (1896) che desse una cuspide agile e snella ad una torre tozza e grave. La cuspide di coronamento venne progettata dall’ingegnere Guido Dall’Armi.

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Vista la chiesa andiamo in direzione nord ed in salita per 1,1 km. Quindi a destra per circa 100 metri. Siamo nel pieno centro di Mercato Vecchio.

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MERCATO VECCHIO

Siamo a quota 199 sul livello del mare. Località chiamata in passato anche Capo di Monte. Il monte sarebbe riferibile anche al composto Monte- Belluna da cui la stessa Montebelluna avrebbe avuto origine con i primi insediamenti localizzabili proprio qui, sul Monte.
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Avanti in direzione nord per qualche metro e sulla nostra sinistra ecco la parrocchiale di Mercato Vecchio.

 

LA PARROCCHIALE DI MERCATO VECCHIO (SAN BIAGIO)

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E’ la chiesa di San Biagio o l’antica chiesa dei Battuti. Al suo interno la pala del Pozzoserrato. Secondo la tradizione vi è custodito un pezzo di veste di San Biagio, e ogni anno, il 3 febbraio, per tutto il giorno vi si benedicono, in onore del santo, pani e arance.

San Biagio o San Biagio di Sebaste Fu un vescovo che visse tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia (Asia Minore). È venerato come santo dalla Chiesa cattolica (che celebra la sua memoria il 3 febbraio) e dalla Chiesa ortodossa. Era medico e venne nominato vescovo della sua città. A causa della sua fede venne imprigionato dai Romani, durante il processo rifiutò di rinnegare la fede cristiana; per punizione fu straziato con i pettini di ferro, che si usano per cardare la lana. Morì decapitato nel 316. San Biagio muore martire tre anni dopo la concessione della libertà di culto nell'Impero Romano (313). Una motivazione plausibile sul suo martirio può essere trovata nel dissidio tra Costantino I e Licinio, i due imperatori-cognati (314), che portò a persecuzioni locali, con distruzione di chiese, condanne ai lavori forzati per i cristiani e condanne a morte per i vescovi. Gli sono stati attribuiti diversi miracoli, tra cui il salvataggio di un bambino che stava soffocando dopo aver ingerito una lisca di pesce. Nella sua qualità di medico, i fedeli si rivolgono a Biagio anche per la cura dei mali fisici ed in particolare per la guarigione dalle malattie della gola: è tra i quattordici santi ausiliatori.

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Diamo le spalle ora alla chiesa e andiamo a sinistra e cominciamo la discesa che ci farà scendere dopo circa 1 km sulla piana e quindi nei pressi della regionale “Feltrina”.

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Lì giriamo a sinistra e percorriamo la regionale, con molta attenzione per circa 700 metri. Sulla nostra destra, prima annunciata da una grande mura perimetrale, ecco Villa Guillon Mangilli.

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VILLA GUILLON-MANGILLI

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A Pederiva villa Guillon Mangilli, seppur risultato di almeno un paio di stratificazioni rispetto all'originaria villa Bressa, si segnala soprattutto per le notevoli dimensioni, imponente riferimento in passato delle articolate (piano e monte) distese rurali dei proprietari. Villa Guillon-Mangilli è soprannominata anche "la casa del francese". Fu costruita alla fine del XVI secolo dalla famiglia Bressa, ricca e potente, e passò poi alla nobile famiglia Mangilli da cui assunse il nome. L'ultima erede Lucrezia, sposata al conte Benetto Valmarana, rimasta vedova, s'innamorò del ospite Roberto Guillon, un musicista francese e quindi lasciò tutta la sostanza al giovane. Questi ammodernò e ridusse alla forma attuale la villa verso i primi dell'800. La villa ha una grande barchessa ad archi ribassati, un parco immenso con laghetto ed un oratorio rifatto verso la metà dell'800.

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Siamo ora in via Lauretana. Andiamo avanti per circa 800 metri e quindi attraversiamo la provinciale. Ancora 200 metri e siamo sullo stradone del Bosco. Alla nostra sinistra scorre il canale del Bosco.

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IL CANALE DEL BOSCO

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Il canale del Bosco, è un canale artificiale realizzato nel 1500 per deviare attraverso la Brentella di Pederobba l’acqua del Piave e portarlo sui territori a sud del Montello (Biadene, Volpago, Giavera del Montello ecc.). L’acqua del Piave all'altezza di Fener di Alano di Piave, attraverso il Brentella, scorre parallelamente al Piave e, poco dopo Crocetta del Montello, si dirama nei canali detti di Caerano e del Bosco. Il primo, che è il principale, attraversa gli abitati di Caerano di San Marco e Montebelluna e, poco prima di Trevignano, si divide in canali minori; l'altro lambisce il versante sud del Montello e sfocia nel canale della Vittoria di Ponente a Giavera. Il canale Brentella è un canale di approvvigionamento d’acqua estratta dal Piave a Pederobba.

Proposto dal Consiglio di Treviso e approvato dal Senato Veneto nel 1436, fu destinato a soddisfare i bisogni di una vasta area dell’alta pianura trevigiana. Si iniziò a scavare prima del 1440 e il sistema raggiunse la sua configurazione definitiva nel 1540. La pianura tra Piave e Musone era ghiaiosa e comunque poco favorevole all’agricoltura e all’allevamento. All’inizio del Quattrocento l’acqua piovana si dimostrava ormai insufficiente ai bisogni umani e animali. L’idrografia era povera.  L’idea di derivare l’acqua dal Piave avrebbe potuto soddisfare più esigenze. La navigabilità (presto abbandonata), l’irrigazione (i risultati, almeno sino al ‘900, non furono brillanti), l’alimentazione di uomini e animali, l’offerta di energia che portò alla presenza di numerosi mulini da macinazione e opifici pre-industriali (battiferro, mole, folli da panni, seghe da legname) e l’insediamento.

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Ci facciamo un chilometro e quindi andiamo a sinistra e in salita in via XXIII Giugno. Circa 500 metri più in su (la salita è secca ma abbastanza corta), entriamo a destra sulla dorsale, la Provinciale 144. Siamo sull’estremità ovest del Montello. Ora pedaliamo in piano per circa 300 metri. Quindi a destra in via E. Bongioanni. In discesa per circa 500 metri e quindi a sinistra in una nuova salita che ci porterà dopo circa 200 metri nei pressi dell’Ossario e della Chiesa di Santa Lucia.
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LA CHIESA E L’OSSARIO DI SANTA LUCIA – UN PO’ DI STORIA – UN UOVO AL GIORNO PER FAMIGLIA
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Il paese di Biadene, già dall’ età della pietra si trovava nella seconda balza del Montello e si estendeva dai confini di Ciano fino ai confini di Caonada. A metà del territorio sorgeva un “Casteller”. Era una specie di fortino, circondato da un fossato tutt’ora presente, ed era anche uno dei quattro punti astronomici denominati “i castellieri”. Più tardi, con l’avvento del Cristianesimo, al posto del Casteller venne costruita una chiesa con adiacente il cimitero ed una casa per il custode. La chiesa divenne parrocchiale e dedicata a S. Michele Arcangelo. Rimase in funzione fino alla costruzione della nuova chiesa parrocchiale al piano. Quando alla fine del 1500, la Repubblica Veneta requisì tutto il Montello per piantarvi roveri, che servivano alla costruzione delle navi, la popolazione fu fatta scendere al piano e tutte le case vennero bruciate. Rimase solo la chiesa e la casa del custode. La chiesa, per la difficoltà di accesso, fu sempre meno frequentata e la popolazione di Biadene si recava presso la cappella di S. Vittore che fu demolita per costruirvi la “chiesa vecchia”, la nuova parrocchiale, al piano, con annesso cimitero (1714). Nel 1811 la chiesa di S. Michele Arcangelo fu demolita perché si diceva che lì andassero a rifugiarsi i disertori dell’esercito napoleonico, essendo il bosco cosi fitto che chi non era pratico rischiava di perdersi. Si racconta che durante i tumulti del 1848, per paura di rappresaglie, la popolazione di Biadene si fosse rifugiata sul pianoro attorno a S. Lucia e che le truppe austroungariche non si fossero fidate ad addentrarvi per paura di imboscate e di perdersi.
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Con la legge “Bertolini”, che ordinava il disboscamento di quanto restava dell’antica foresta, fu assegnato un terreno per ricostruire la nuova chiesa, sui ruderi dell’antica, e nel 1895, su disegno dell’arch. Monterumici, fu edificata l’attuale chiesa che venne dedicata ai SS. Lucia e Rocco. Si racconta che, per pagare i materiali, venne istituito un obolo, che consisteva nell’offerta di un uovo al giorno per famiglia. Sul pianoro, a fianco della chiesa, nel 1925 venne eretto il monumento-ossario per raccogliere le spoglie dei biadenesi caduti durante la grande guerra.

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Torniamo ora sui nostri passi, scendiamo per 200 metri e quindi ora a sinistra e in discesa su via Bongioanni per 800 metri. Ora a  destra sullo stradone del bosco per circa 300 metri e ora a sinistra su via Pretura Vecchia per altri 200 metri sino ad uscire sulla provinciale. Andiamo a sinistra per 200 metri ed ecco sulla nostra sinistra la Parrocchiale di Biadene.

 

BIADENE

Secondo Giovan Battista Pellegrini, il toponimo potrebbe essere in relazione con Piave, forse perché un tempo la località era lambita da un suo ramo, o perché rappresentava una via d'accesso al fiume che scorre poco più a nord.

In epoca preromana nel territorio sorgevano due castellieri, entrambi localizzati alle pendici del Montello, ovvero il castelliere di Santa Lucia - presso l'omonima chiesa - e quello di Biadene - poco oltre l'inizio della presa 19. Pare fossero in relazione ad altri due siti simili, posti sulla collina di Mercato Vecchio, per l'individuazione di alcuni momenti astronomici, in particolare il solstizio d'Inverno.

Con l'avvento del Cristianesimo, sul sito del castelliere di Santa Lucia venne fondata la chiesa di San Michele. Bisognerà tuttavia aspettare il medioevo per avere notizie più precise di Biadene, la quale già nel XIV secolo aveva un parroco stabile.

Alla fine del Cinquecento, la Repubblica di Venezia requisì il bosco del Montello, il cui legname venne impiegato esclusivamente alla costruzione di navi nell'Arsenale. Gli abitanti della collina videro distrutte le loro case e dovettero trasferirsi in pianura. Solo la chiesa, con la casa del custode, venne risparmiata ma, trovandosi ormai troppo distante dal centro del villaggio, venne progressivamente abbandonata in favore della cappella di San Vittore, dove fu poi costruita la vecchia parrocchiale di Santa Lucia.

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LA PARROCCHIALE DI BIADENE

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Costruita nel 1934 dall’ing. Luigi Monterumici e con la guida di don Eliseo Pedron. Consacrata nel 1947 dal vescovo di Treviso Mons. Antonio Mantiero. La chiesa è ornata da alcune suppellettili della vecchia parrocchiale e da affreschi di Giuseppe Cherubini e Giovanni Barbisan. E’ dedicata a Santa Lucia.

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Ritorniamo sulla strada e andiamo a sinistra. Poco più avanti sulla nostra sinistra ecco Villa Querini.

 

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VILLA QUERINI (XVII SEC.)

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Edificata dal Querini verso la fine del ‘600, passò quindi in eredità alla famiglia Garioni ai primi decenni del XIX secolo. Venne allora aggiunto al fabbricato il secondo piano e furono praticati altri ampliamenti. La sala superiore è ornata da un dipinto. Vi troviamo anche un giardino, un parco e una barchessa. Un tempo vi era anche una chiesetta che però venne distrutta.

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Sull’altro lato della strada ecco Villa Bressa Monterumici

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VILLA BRESSA MONTERUMICI

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Costruita verso la fine del XVII secolo dai Bressa, subì vari rimaneggiamenti ( il pavimento della sala porta la data del 1810).

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Andiamo avanti ora per qualche metro e quindi andiamo a sinistra su via Garioni.

 

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LA CHIESA DEI SANTI LUCIA E VITTORE E IL TIEPOLO

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Edificio settecentesco di Biadene, costruito dai Pisani e donato alla comunità. Il suo antico patrimonio artistico è stato trasferito nell'anonima parrocchiale novecentesca. L’opera che rende sicuramente interessante questa Chiesa del tardo ‘700 è il primo affresco dell’Assunzione di Maria di Giambattista Tiepolo. Quest’opera giovanile del pittore Veneto, inserita tra le opere degli itinerari Tiepoleschi nei luoghi della devozione, si trova nella Chiesa cosidetta “vecchia” ed è stato ritrovato e riconosciuto nel 1985 da Adriano Mariuz e Giuseppe Pavanello. Si sapeva che esisteva, dato che lo documentava nel 1732 Vincenzo Da Canal nel suo “Vita di Gregorio Lazzarini” ma era stato erroneamente dato per distrutto dagli studiosi del Tiepolo. L’artista veneziano, allora agli inizi della sua carriera, lo aveva realizzato molto probabilmente nel 1716, come riporta la data tracciata a carbone sull’intonaco della parete sinistra del presbiterio. Lo aveva chiamato ad affrescare la Chiesa Alvise Pisani, successivamente doge di Venezia. Ai Pisani la vicina villa era giunta in dote in seguito al matrimonio di Almoro II, figlio di Alvise, con Isabella Correr. I Pisani provvidero a far erigere la chiesa che fu terminata nel 1719. L’affresco del Tiepolo, in campo ottagonale, rappresenta la Vergine Assunta sostenuta da angeli in volo, illuminata dallo Spirito Santo che in forma di colomba distende le sue ali. Non è l’unico affresco di questa bella Chiesa, recentemente avviata verso una attenta opera di restauro. La volta della navata custodisce infatti un affresco risalente al 1804, di Giambattista Canal: rappresenta l’incoronazione della Vergine e la gloria dei Santi Lucia e Vittore, patroni di Biadene.

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Andiamo ora a detra in via Aglaia Anassilide. Poco oltre sulla sinistra ecco Villa Pisani.

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VILLA CORRER PISANI

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Il corpo centrale della Villa è arretrato in mezzo a due ali perpendicolari ai lati che portano nella testata gli stemmi a fresco dei Correr e di Pisani. Ragguardevole edificio della seconda metà del XVII secolo costruito da Angelo Correr, procuratore di San Marco. La struttura, articolata e imponente, mantiene parte della decorazione interna, ma ha perduto progressivamente arredi e statue del giardino. Parte integrante della villa, la cappella che ospita l’Assunta del soffitto attribuita al giovane Giovambattista Tiepolo. All'interno molti affreschi e decorazioni furono asportati o lasciati andare in rovina. La Villa fu utilizzata da varie famiglie e istituzioni: Grimani, Erizzo, Pigazzi, Maffei-Fenerolli, Marchesi, Vescovo di Treviso, PP. Missionari della Consolata. Durante le due guerre mondiali e nel periodo intermedio fu ospedale militare e asilo antimalarico. A partire dal 1979 Villa Pisani passa sotto la proprietà del Comune di Montebelluna per diventare la sede di diverse associazioni nonché teatro di numerose manifestazioni di carattere artistico, culturale e ricreativo.

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Andiamo ora in direzione est per circa 200 metri. Ora a sinistra su vicolo Galeazzo. Avanti 100 metri e ora a destra sullo stradone del Bosco. Pedaliamo per 1,3 km e quindi a destra su via Caonada. Ora avanti per 200 metri ed ecco sulla nostra sinistra la parrocchiale e il suo particolarissimo campanile nudo.

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CAONADA

È l'abitato più orientale del comune, trovandosi tra Biadene e Venegazzù di Volpago. Sorge ai piedi del Montello, le cui pendici meridionali sono delimitate dal canale del Bosco: proprio da Caonada si dipartono le prese XVII e XVIII. Priva di fondamento è l'ipotesi che rimanda il toponimo al latino caput navis o caput nautea, ovvero "porto fluviale", in riferimento al fatto che la zona era anticamente attraversata dal Piave. Appare tuttavia probabile la derivazione da caput con il significato di "capo", "estremità", attraverso il veneto cao. Rappresentò, come la vicina Biadene, una delle più antiche parrocchie del territorio, sebbene il fonte battesimale più vicino si trovasse presso l'antica pieve di Santa Maria in Colle, a Montebelluna.

A dominare la piazza è la parrocchiale e il suo campanile nudo.

 

LA PARROCCHIALE DI CAONADA

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E’ una chiesa di recente costruzione, opera del 1937 su volere di  don Pietro Mezzalira. Essa è dedicata a San Giacomo. Il nudo campanile fu eretto accanto su progetto del geom. Mario Cornuda negli anni sessanta.

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Tenendo ora la chiesa alla nostra sinistra, ci dirigiamo in direzione est su via Capitello per 500 metri. Ora giriamo a destra su via Storti. Avanti per altri 500 metri e ora siamo sulla regionale che unisce Montebelluna a Volpago. Teniamo la destra e dopo circa 200 metri entriamo a sinistra in via Cal di Mezzo. Pedaliamo per 2,2 km. Ora teniamo la destra su via Argine per 300 metri. Ci immettiamo a destra sulla regionale Feltrina e la lasciamo andando a sinistra dopo aver percorso 100 metri prendendo via Castagnole. Circa 1,1 km dopo nei pressi del Bioparco Noè, noi teniamo la sinistra e procediamo per altri 300 metri. Ora a sinistra in via Villette; facciamo il dosso e avanti ancora per 700 metri. Alla rotonda noi prendiamo la prima uscita (Via Tezzon). Circa 500 metri e quindi a destra in via Raschietti. Di lì avanti per 500 metri ed è ora che girando a destra cominciamo il nostro viaggio sull'argine sinistro del canale Brentella. Circa 700 metri più avanti ci ritroveremo a vedere davanti a noi la strada asfaltata. Noi invece teniamo la sinistra e scendendo dalla bici attraversiamo il sottopasso pedonale strettissimo della ferrovia. Appena usciti andiamo quindi dritti per 500 metri e poi superiamo una sbarra e ci dirigiamo a sinistra. Avanti altri 100 metri e quindi a destra. Qualche metro ancora e a destra. Poco oltre attraversiamo la principale. E’ via Feratine. Avanti ancora 200 metri e entriamo a sinistra su una ciclabile. Fatti altri 200 metri andiamo a destra in via dei Balla. Avanti 100 metri, attraversiamo la strada ed ecco davanti a noi la Chiesa Parrocchiale di Guarda Bassa.

CHIESA DI GUARDA

E’ la chiesa di Maria Ausiliatrice costruita su disegno di Guido Dall’Armi per iniziativa del mons. Giuseppe Furlan che la inaugurò nel 1910 con l’annesso Asilo Infantile

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Torniamo sui nostri passi e riprendiamo la principale. Ora a destra per circa 800 metri. Davanti a noi una rotonda e proprio di fronte a noi al di là della rotonda stessa ecco Villa Mazzolenis ora Polin.

 

VILLA MAZZOLENIS (ORA POLIN)

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Semplice ma interessante edificio di villa della fine del Seicento. Impostato su un interessante corpo centrale, l’edificio appare asimmetrico a causa di una divisione confinaria dovuta alla costruzione dei due corpi laterali in epoche diverse. XVII secolo per il corpo di destra (oggi Villa Mazzolenis), XVIII secolo per il corpo di sinistra (oggi Villa Mazzolenis, Polin).

 

Lasciamo Villa Mazzolenis e rechiamoci a destra  lungo  per altri 500 metri. Sulla nostra sinistra Villa Barbarigo.

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VILLA BARBARIGO (ORA BIAGI)

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Barchessa superstite di un complesso imponente del Seicento, del quale sopravvivono gli antichi locali del fattore, ora sede degli uffici del museo. La barchessa è stata restaurata di recente e ha recuperato parte della patina originaria, intonata su stilemi di un certo interesse stilistico.

 

Circa 400 metri più avanti sempre sulla sinistra ecco Villa Guerresco

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VILLA GUERRESCO

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Solidi e semplici edifici di metà Ottocento appartenenti al vasto patrimonio immobiliare della famiglia Polin

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Andiamo ora a sinistra. Sulla nostra sinistra ecco la chiesetta di San Vigilio

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SAN VIGILIO

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Si tratta di ciò che rimane di una struttura chiesastica medioevale risalente al '200 e appartenente al complesso residenziale vescovile intitolato a San Vigilio.

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Proseguiamo ora in direzione nord per altri centro metri. In una posizione ormai sacrificata dalle rotonde e dagli svincoli ecco sulla nostra destra una chiesetta dai toni ben distinti. Si tratta dell’Oratorio della maternità di Maria, più comunemente nota come Madonna delle Crozzole.

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MADONNA DELLE CROZZOLE

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All’incrocio tra la Cal Trevisana, oggi via Feltrina Sud, via S. Vigilio e Alla Guizza, oggi  via Crozzole, c’era una Cappelletta, forse in origine solo un’ “edicola” con un affresco rappresentante la Maternità di Maria. I Biadenesi manifestavano particolare devozione a quella santa immagine, elargitrice di “grazie”, che dalle tre lampade perennemente accese, forse anche per illuminare il crocicchio, veniva chiamata Madonna dei tre lumi. La devozione si deduce dagli “ex voto”, specialmente “crozzole” (grucce) che la gente appendeva alle pareti una volta ottenuta la guarigione. Tutti i sabati e ad ogni vigilia e festa di Maria, la gente si radunava a pregare per invocarne l’aiuto. Nel 1824, il parroco Zini, vista la devozione, promosse l’erezione di un Oratorio e, anche con la collaborazione dei parrocchiani di Caonada, si trasportò l’altar maggiore della demolita parrocchiale sul Montello, indicendo inoltre una sagra per la seconda domenica di ottobre. Mons. Ambrosi ricorda che le sagre dell’Oratorio per frequenza e devozione emulavano quelle dei paesi vicini. Dopo 38 anni, raddoppiata la popolazione e divenuto l’Oratorio bisognoso di costosi restauri, venne deciso di solidificarlo e di ampliarlo. Fu alzato di 2 metri, si aggiunse il presbiterio,  la scalinata marmorea, l’atrio con le colonne  e sopra il timpano venne posta la statua della Madonna. Mons. Ambrosi, nota che le 4 colonne di granito del pronao provengono dal demolito “palazzon” di Barcon (palazzo Pola), di cui oggi rimane solo il muro di cinta e una barchessa.  La 2° domenica di ottobre si festeggiava solennemente, mentre il lunedì successivo festeggiava  Caonada,  con bancherelle, cuccagna, ecc., fino agli anni 70, periodo nel quale fu costruita la nuova strada Feltrina che tolse tutto lo spazio antistante la chiesa rendendo pericoloso l’accesso. Ora più che mai, l’accesso alla chiesa è problematico a causa di una nuova rotonda che ne limita anche la visuale.

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Torniamo sui nostri passi e andiamo dopo 100 metri a destra in via Buziol per circa 700 metri. Ora a sinistra ancora in via XXIV maggio per 300 metri. Ora a destra su viale Mazzini e quindi avanti per 100 metri. Ora a sinistra su via Manin. Poco oltre sulla destra l’ingresso del Parco Manin. Andiamo a farci una visita e poi usciamo da dove siamo entrati e ora teniamo la destra; 300 metri e ora a destra. Superiamo la rotonda e poco oltre sulla nostra destra una ciclabile sterrata. Circa 200 metri e ci troviamo in via Tullio Caverzan. Lì attraversiamo la strada e ci ritroveremo poco oltre in Piazza Negrelli.

 

 

PIAZZA NEGRELLI

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Superiamo piazza Negrelli, ora a sinistra, poi qualche metro e a destra e poi ancora a sinistra e quindi ancora a destra ove dopo poco ci ritroveremo sulla regionale ove gireremo a sinistra. Andiamo avanti sulla regionale per altri 100 metri. Ora a destra su via Santa Maria del Colle. Ancora 200 metri e sulla nostra destra ecco Villa Legrenzi, la sede del Consorzio di Bonifica.

 

VILLA LEGRENZI

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Costruita nel 1850 dall’ingegnere Giuseppe Legrenzi. E’ di stile neoclassico e ha un frontone sostenuto da sei mini colonne.

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Andiamo ora in direzione nord per altri 100 metri e poi svoltiamo a sinistra in via Canova. Avanti di lì per 200 metri e quindi a sinistra in via Kolbe.Altri 200 metri e quindi a sinistra in via Salvo D’Acquisto. Altri 200 metri e siamo nuovamente sulla regionale. Ora a destra. Poco oltre sulla nostra sinistra ecco il Tempietto di Montebelluna.

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IL TEMPIETTO

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Trattasi in realtà di un oratorio dedicato alla Madonna della Addolorata. È il luogo di culto più vicino al centro storico, eretto su un terreno donato da Pietro Pellizzari, fatto restaurare in passato da Ernesto Danieli come voto perché il figlio pilota si era salvato da un incidente in elicottero. È un piccolo edificio a pianta circolare, incuneato tra altri edifici, lungo la via principale che attraversa la città.

 

Proseguiamo ora  per 200 metri e sulla nostra sinistra ecco il Duomo di Montebelluna.

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IL DUOMO DI MONTEBELLUNA

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La chiesa collegiata prepositurale di Montebelluna, dedicata all'Immacolata e più nota semplicemente come duomo di Montebelluna, è il principale edificio religioso della città, nonché sede del vicariato omonimo della Diocesi di Treviso.La chiesa dedicata all'Immacolata si presenta come un grandioso edificio costruito in stile neogotico a partire dal 1908, è stato progettato dall'ingegnere montebellunese Guido Dall'Armi per volere del prevosto mons. Giuseppe Furlan.

 

Facciamo ora 200 metri in direzione ovest sulla regionale e quindi giriamo a sinistra su Via San Francesco; giù per 200 metri e quindi a sinistra su via San Pio X. Ora avanti per 300 metri e quindi a destra su viale XI Febbraio. Andiamo avanti per 200 metri ed entriamo ora a sinistra in via Caterina da Siena. Circa 200 metri più avanti, nascosta tra gli alberi ecco Villa Bertolini.

 

VILLA BERTOLINI

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Costruita nel XVI secolo, parzialmente ampliata nel XIX secolo dal senatore e Ministro Pietro Bertolini che creò il giardino romantico disegnato da un architetto francese con fontane, cascate, ruscelli e laghetto su una superficie di 4 ettari, Villa Bertolini è un’isola verde nel cuore di Montebelluna.

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Qualche metro e ancora alla rotonda giriamo a destra in via San Gaetano. Circa 100 metri oltre teniamo la destra per entrare sulle sponde destre del Canale di Caerano. Pedaleremo per circa 300 metri sino ad entrare a sinistra in via Maso. Percorriamo via Maso per circa 1 km e quindi entraiamo a sinitra in via Storta . percorriamo via Storta per altri 1,2 km e quindi ora a sinistra in via Giotto per circa 400 metri. Siamo oramai nei pressi della Parrocchiale di San Gaetano.

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SAN GAETANO

La frazione di San Gaetano in tempi antichi era nota come Basso Pieve e faceva parte della Pieve di S. Maria di Montebelluna. Essa era un territorio brullo e ghiaioso, povero a causa della mancanza di qualsiasi forma di acqua salvo quella che proveniva dalle precipitazioni piovose. Per ovviare a ciò la Repubblica di Venezia, che prese possesso dei territori del trevigiano dal 1338, nel 1456 fece costruire il "Branteon" che portava l’acqua del Piave da Pederobba alle campagne della Bassa Pieve; un secolo dopo circa (1543) fu costruita la bretella di Fossalunga che attraversava la futura San Gaetano e ciò contribuì allo sviluppo dell’agricoltura grazie anche alle nuove colture provenienti dall’America, una per tutte il mais, e all'incremento della popolazione. Una delle prime presenze documentate a San Gaetano è quella della famiglia Contarini, proveniente da Venezia e che, agli inizi del 1500, lasciò un piccolo oratorio dedicato alla Madonna del Carmine.

 

Oggi, in località Contarini di San Gaetano, c'è un capitello tuttora dedicato al culto della Madonna del Carmine. Il nome di San Gaetano appare per la prima volta nella frazione nel 1683 per merito della famiglia Rigamonti, che fece costruire un piccolo oratorio dedicato per l’appunto a San Gaetano Tiene, divenuto santo da poco (1671), come si può desumere dalla scritta in calce al registro dei Battezzati alla data del 12 agosto 1691.

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Nel 1840 viene costruito il campanile vicino a un oratorio dedicato a san Gaetano in cui già da qualche tempo veniva saltuariamente celebrata la messa. Nel 1853 il vecchio oratorio viene demolito e al suo posto eretta la chiesa; essa presentava un corpo a pianta ottagonale con 4 semicappelle chiuso in alto da una cupola; erano presenti tre ingressi e, in corrispondenza di quello principale, rivolto verso via San Gaetano, venne addossato all'edificio un pronao con quattro colonne sull'esempio della facciata del Pantheon. Sulla parete opposta rispetto all'ingresso si apriva l'abside a pianta quadrata su cui era situato l'altare. Il 15 novembre 1911, con decreto di Papa Pio X, si autorizza a conservare il Santissimo Sacramento nella chiesa di San Gaetano.

Dopo la prima guerra mondiale, visto che la popolazione di San Gaetano - Sant'Andrea continuava a crescere, nel 1922 si decise di ingrandire la chiesa. Furono erette due nuove navate, una sul lato sud (la cosiddetta parte degli uomini) e una più piccola a nord dell'altare (del coro), con annessa la nuova sacrestia; per esigenze logistiche la parte degli uomini venne edificata molto più lunga sia del precedente edificio (chiamato da allora tempietto) sia della parte del coro, in quanto queste ultime furono limitate dalla presenza di via San Gaetano e via Giotto. Da ciò deriva la forma particolare della chiesa.

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Andiamo in direzione sud ora per altri 1,7 km completando in sostanza Via San Gaetano. Ora a destra in via Talponada. Altri 800 metri e quindi a destra su via Lisbona. Avanti altri 1,1 km e quindi a sinistra in Via dei Venturato. Avanti 300 metri e quindi ancora a destra su Via Sant’Andrea. Circa 900 metri più a nord ecco Sant’Andrea e la sua chiesetta.

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PARROCCHIALE DI SANT’ANDREA

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Le origini della chiesetta di Sant’Andrea risalgono al XIV secolo.
Le prime informazioni relative alla Costruzione si hanno dagli "Annali di Montebelluna" in cui è riportato, per l'anno 1344, che "La plebs di S.Maria di Montebelluna" tra le varie cappelle comprendeva il Chiericato di S.Andrea di Visnà; essa è situata nella parte alta della frazione, e risulta essere una delle prime realizzate nel Comune.

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Procediamo ora in direzione nord per 900 metri. Poco dopo aver superato sulla  nostra destra il vecchio Ospedale di Montebelluna, andiamo a sinistra in via Cicognara.

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Andiamo avanti per 200 metri e superato il ponte sul Canale di Caerano andiamo subito a sinistra. Siamo  in via San Liberale. Qualche metro più avanti ecco Villa Cicogna.

 

 

VILLA CICOGNA

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Modesta costruzione del XVII secolo a pianta quadrata e a tre piani. Il suo frontone reca nel timpano un medaglione con lo stemma Cicogna disegnato a mosaico con dei ciottoli. Il suo breve giardino è lambito da un ramo del canale di Caerano (la Brentella).

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Avanti per altri 50 metri e ora leggermente a sinistra in via Sant’Antonio. Poco oltre sulla destra una bella chiesetta: la chiesetta di Sant’Antonio.

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Andiamo ora a nord su via Sant’Antonio per circa 200. Ora a destra per 100 metri e quindi a sinistra su via Monte Tomatico per circa 100 metri. Ora a sinistra per altri 100 metri e quindi a nord su via Montecengio per altri 200 metri. Ora a sinistra per 50 metri e quindi a destra. Poco oltre a sinistra su via Monfenera per 300 metri. Attraversiamo l’incrocio ed entriamo in via Cima Mandria. Poco dopo sulla nostra sinistra l’ingresso di quella che un tempo era Villa Pola.

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VILLA POLA, LA VILLA CHE NON C’E’ PIU’ E I PALADINI

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Costruita nel XV secolo dai Pola, famiglia proveniente da Pola e trasferitasi poi a Treviso nel 1443, la villa venne inconsultamente distrutta nell’Ottocento. Del complesso non si conserva ora che una modesta barchessa con portone ad arco. Una di queste facciate è invece di grande interesse : il fatto straordinario è che questo manufatto di fine '400 è interamente decorato da una fascia a fresco sulla linea di gronda e, più in basso, dalle immagini di Carlo Magno e dei dodici paladini. L’edificio ha trovato spazio in antiche cronache in occasione della guerra di Cambrai di inizio ‘500. Si vuole infatti che durante la guerra della Lega di Cambray francesi e tedeschi che saccheggiarono l’intera borgata risparmiassero invece la villa in omaggio a queste pitture.

 

Ritorniamo ora sui nostri passi e ritorniamo sulla ciclabile sterrata. Teniamo la sinistra e andiamo avanti per 400 metri (siamo sul retro di Villa Giustinian Rinaldi). Usciamo ora a sinistra e andiamo avanti per 100 metri. Ritorniamo sulla regionale e giriamo a sinistra: poco oltre sulla sinistra ecco Villa Giustinian Rinaldi.

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VILLA GIUSTINIAN (RINALDI)

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Edificio dei primi del Seicento, dalla struttura complessivamente pesante, ma che era al centro di un luogo di delizie di notevole rilevanza nonché perno fondamentale dell'assetto urbano della villa di Posmon. Interessante l’adiacenza che termina con una chiesetta che dà sulla strada provinciale. Gli interni sono praticamente spogli. Rimane, nel retro, il sito dell’antico giardino delle meraviglie di Giustinian.
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Procediamo ora in direzione est per altri 200 metri. Ora a destra in via Castellana. Poco oltre sulla nostra destra ecco Villa Axel Loredan.

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VILLA LOREDAN VAN AXEL

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Si tratta di un edificio del XV secolo su resti di una costruzione più antica. Ha un lungo poggiolo in ferro a forma di paniere. Ospita al suo interno e precisamente sotto la loggia,  le uniche vedute dei primi anni del XVI secolo  di Piazza dei Signori, forse la più antica rappresentazione pittorica del palazzo dei trecento e S.Marco prima degli interventi cinquecenteschi. Nella seconda veduta  in particolare, e quindi quella di S.Marco si vede il campanile di San Marco ancora senza la cuspide e cella campanaria
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Andiamo ora in direzione sud per altri 300 metri. Sulla nostra destra ecco allora  Villa Falier.

 

CA’ FALIER ORA MENEGON: (XVI SECOLO)

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La ramificazione della seriola Contarina (sistema Brentella) si arricchisce nel corso delle trasformazioni della grande proprietà Falier, il cui squadrato edificio dalla possente struttura quattrocentesca, impreziosita dall'elegante bifora centrale, dominava al centro di una vasta azienda ricca di frutteti, di giardini e luoghi d'acqua attraversata dalla strada Castellana. Molto bello e particolare il suo camino.

 

Scendiamo ancora 300 metri e alla nostra destra l’ingresso di Villa Morassutti.

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VILLA MORA (ORA MORASSUTTI)

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Grande e monumentale edificio fatto costruire da Bortolamio Mora tra il Sei e Settecento. Attorno alla metà del 1600 quella che sarebbe diventata la grande proprietà Mora era frazionata tra i Cicogna (antichi proprietari dei lotti) e un certo Francesco Riva, ragioniere ducale; il quale nel 1664 chiede ai magistrati veneziani dei Beni Inculti di poter irrigare i suoi due broli, in uno dei quali insiste un modesto edificio colonico, nucleo originario della futura villa. E` quindi assai verosimile che il disegno fiscale del 1712 si riferisca allo stesso edificio del 1664, del quale conserva approssimativamente le dimensioni e il posizionamento in verticale. Ad ogni modo, due anni più tardi, i broli di Francesco Riva diventano proprietà di Bortolo Mora che acquista il tutto il 16 giugno 1666. Costui aveva ottenuto la nobiltà veneta l'anno precedente e cominciato i suoi investimenti nel montebellunese. La grande penetrazione fondiaria dei Mora a Posmon e Visnà proseguirà poi con il nipote, Bortolamio, erede dell'enorme fortuna dello zio. Bortolamio nasce nel 1677 e si nobilita nel 1694 grazie al solito, cospicuo, versamento in denaro alle casse esangui dello stato veneto. Nel 1700 sposa Virginia Capello e comincia la sua attività di amministratore pubblico (Podestà di Feltre e di Treviso) .E`, del resto, Bortolamio a farsi residente ed è sempre a lui che si devono gli interventi edilizi sul vecchio complesso famigliare.

Se all'inizio del secolo il muraro locale Domenego Dea presenzia a diversi atti stipulati in Cà Mora, è solo attorno agli anni venti che gli indizi si infittiscono e segnalano maestranze edili ripetutamente presenti, sino a diventare prova documentaria nel 1730, allorché il muraro Giorgio Zorzetto di Asolo dichiara spontaneamente, di vantare crediti dal Mora. Il documento è ricchissimo di particolari attinenti ai rapporti di lavoro col committente, ma a noi quel che interessa è il passo nel quale Zorzetto afferma di poter avanzare le sue pretese perché "furno fatte le stime dell'operationi (del muraro) dal Signor Giorgio Massari protto".  

La chiamata in causa di Giorgio Massari come autore della chiesetta e di un possibile progetto di ristrutturazione può del resto trovare parziale conferma nei tempi, nell'importante sintassi del monumentale corpo centrale. La consuetudine del Massari col Mora è nota. Scrivendo in data 22 marzo 1721 al conte Fietta in occasione della costruzione di villa Fietta, l'architetto fa sapere di essersi recato "con l'Ecc.mo Mora a Montebelluna e a Zenson di Piave".

 

E` stato sostenuto che il giro di piacere avesse come obiettivo quello di ricavare dal Massari un parere sugli edifici che a Zenson e Montebelluna il Mora stava costruendo. Si tratta solo di un’ipotesi che, ovviamente, non può escludere il dato, francamente ben più logico, che Massari sia stato a Montebelluna per seguire, invece, lo stato del cantiere di una sua opera o delle sue opere. Ad ogni modo, nella congiuntura costruttiva va senz'altro attribuito al Massari anche l'oratorio esterno che il Mora aveva ottenuto di costruire il 2 dicembre 1728. Comunque sia villa Mora, ancora sconosciuta ai più perché immersa in un grandioso parco che la sottrae alla vista dei passanti, costituisce, senza alcun dubbio, il capitolo architettonico di gran lunga più rilevante del montebellunese

copyright - Lucio De Bortoli 2011

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Altri 200 metri e ora a destra su via delle Piscine; altri 500 metri e a destra su via Contea. Poco più avanti nel mezzo del bivio ecco la parrocchiale di Contea.

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CONTEA

L'origine del toponimo è discussa: potrebbe derivare da contà "contado", mentre è meno probabile una relazione con il titolo nobiliare (quest'ultima ipotesi può essere sostenuta dalla presenza in loco dei Contarini). Il toponimo è molto tardo essendosi consolidato nella seconda metà dell'Ottocento, se non alla fine. Il centro si sviluppò sul finire del Cinquecento come un modesto insediamento di braccianti raccolto attorno a un imponente palazzo dei Contarinipatrizi veneziani (l'edificio, oggi scomparso, si collocava dove ora sorge la scuola elementare. Contea ricadeva allora nel territorio della villa di Posmon e tale rimase sino all'epoca recente, quando venne dichiarata frazione autonoma.

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LA PARROCCHIALE DI CONTEA

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La chiesa di Contea, in origine intitolata a San Martino vescovo, esisteva già prima del 1369. Divenuta in seguito oratorio di villa Contarini, passò poi ai Revedin che nel 1776 la intitolarono alla Madonna della Salute. Furono in seguito i Van Axel a donarla alla popolazione. Rinnovato più volte, l'edificio attuale presenta un particolare sviluppo orizzontale ottenuto al termine di un recente ampliamento laterale. È sede della parrocchia di Busta-Contea, istituita il 1º gennaio 1979 scorporandone il territorio dalla parrocchia di Montebelluna. L'attuale campanile risale agli inizi del '900. La forma strana della chiesa come si presenta oggi è dovuta a recenti aggiunte laterali per accrescerne la capienza. Non trascurabili gli affreschi alle pareti, mentre quelli al soffitto sono caduti.

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Torniamo ora sui nostri passi e diamo alle spalle alla parrocchiale. Attraversiamo la provinciale e andiamo a sud su via Calmaggiore. Scendiamo per 200 metri e quindi a sinistra in via del Carmine. Scendiamo per 1,4 km. Ora a destra. Poco oltre sulla nostra destra il Capitello del Carmine. Siamo in località Contarini.

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CAPITELLO DEL CARMINE

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Circa 1,5 km più a sud teniamo la destra ed entriamo in via Busta. Circa 800 metri più avanti ci ritroviamo nel centro di Busta di Montebelluna.

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BUSTA

Siamo al centro della località. Sulla nostra destra la chiesa e sulla nostra sinistra Villa Busta.

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LA CHIESA DI BUSTA

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La parrocchia di Busta-Contea è nata il 1° gennaio 1979, insieme con le parrocchie di Guarda e S. Gaetano per distacco dalla parrocchia di Montebelluna; il riconoscimento civile è arrivato il 13 febbraio 1987. La chiesa che è intitolata alla Madonna delle Grazie, nella forma attuale è stata solennemente inaugurata l'8 dicembre 1863.

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VILLA BUSTA (XVIII SECOLO)

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L’edificio apparteneva al conte Paolo Pola ed era il fulcro di una proprietà di medie dimensioni. Villa Busta rientra nella categoria delle cosiddette “case da statio”: ville venete a tutti gli effetti, ma anche complessi nei quali la gestione della tenuta agricola affiancava, e in qualche caso prevaleva, sull’aspetto residenziale-signorile. Lo splendore di questa Villa, edificata nei primi anni del Seicento, è stato recentemente recuperato seguendo lo stile tipico dell’antica dimora veneta, utilizzando esclusivamente materiali locali.

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IL RITORNO VERSO CASA

Andiamo ora a sud in via Cerer per circa 1,3 km. Attraversiamo ora la strada e avanti ancora per 200 metri. Altro attraversamento e ora siamo su via Schiavonesca.  Avanti per 700 metri e ora a sinistra in via Martinella.

VIA MARTINELLA (2).jpg

Pedaliamo per 1,5 km e quindi a sinistra in via Sant’Anna. Altri 300 metri e all’incrocio andiamo dritti per 1,3 km sino ad uscire a destra in via Castellana. Avanti ancora 300 metri e sulla nostra destra ecco Villa Corner Pullin.

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VILLA CORNER PASINETTI, POI PULLIN

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Curioso e interessante edificio della seconda metà del XVII secolo, recentemente restaurato. Su una grande ala che sorge perpendicolarmente a un lato della facciata, è dipinta una meridiana che porta la data 1683 . Troviamo poi quatto pigne di pietra sui pilastri del cancello principale. La villa opitò più volte il Doge Giovanni Renier che qui vi trascorreva i mesi estivi. Verso il 1750 ospitò inoltre il Vescovo di Adria, il Mons. Vincnezo Pullin e durante la guerra del 1915-1918, il comandante della Terza Armata Emanuele Filiberto Duca d’Aosta. Durante tutte e due le guerre mondiali tra l’altro subì gravi danni. E’ la classica  casa da statio, con forme tipiche della casa di campagna dei ceti abbienti.

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Qui si chiude anche il nostro viaggio.          

APPROFONDIMENTI

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L'ORATORIO MADONNA DELLE CROZZOLE

Dove si trova?

 

Siamo a Montebelluna in provincia di Treviso e più precisamente in località Biadene a ridosso (purtroppo) dello snodo di strade ad alta percorrenza e cioè la strada regionale Feltrina e la SP numero 2.

posizione madonna delle Crozzole.PNG

Le sue origini e la sua storia

L’oratorio sorge sul sedime di un antico capitello costruito in questo luogo  probabilmente come ampliamento di un’edicola eretta dai primi cristiani, dove si trova un antico affresco rappresentante la Maternità di Maria Vergine (Madonna dei tre lumi). Trattasi quindi di un manufatto di origine medievale. La sua costruzione nelle forme poi sviluppatesi nel corso del tempo risale al 1824. E’ in quell’anno infatti che, sotto la cura dell’ Arciprete Giovanni Zini si amplia il manufatto medievale, innalzando anche un altare per la Vergine col Bambino, devozione già manifestata con ex voto e grucce (crozzole). Viene così costruito un oratorio a pianta quadrata e, probabilmente, si eseguono anche i lavori per la torre campanaria. Nel 1836 viene costruita anche la sacrestia.

La sua forma

CHIESA MADONNA DELLE CROZZOLE (1).jpg

Il manufatto ha una pianta quadrata con un'unica navata, su cui si innesta un'abside della stessa forma, leggermente rialzata. A est sono ci sono la sacrestia e il campanile, collegati da un percorso interno. L'ingresso principale è preceduto da un pronao, sopraelevato rispetto alla quota stradale tramite due gradini. Gli ingressi secondari, anch'essi rialzati, sono disposti in maniera simmetrica sulle pareti Nord e Sud. Il prospetto è caratterizzato dalla presenza del pronao, realizzato nella seconda metà dell'Ottocento. Esso si compone di quattro colonne in Rosone di Sicilia con capitelli dorici provenienti dalla demolizione del Palazzo Pola di Barcon di Fanzolo, che reggono una trabeazione decorata. La composizione è conclusa da un timpano strombato, sormontato da una statua lapidea. Il campanile si innesta su un ambiente secondario, posto a Sud del presbiterio. Esso, a pianta quadrata, ha un fusto in pietra di Vas ed è sovrastato da una cella campanaria, racchiusa tra due fasce sporgenti e aperta da una monofora per lato. La composizione è completata da un tamburo ottagonale e da una cuspide.

 

Gli ambienti interni

Gli ambienti interni sono fittamente ornati, con stucchi e decorazioni in finto marmo, nei toni del viola e del verde. La navata è scandita da lesene con capitello corinzio e fusto liscio, riquadrato e impreziosito da una specchiatura circolare centrale.

 

Le opere

 

La maternità della Vergine Maria

NATIVITA' DELLA VERGINE MARIA DI PAOLO V

Siamo nel presbiterio e precisamente sulla parete nord; qui è conservato l’antico affresco rappresentante la Maternità della Vergine Maria, attributo a Paolo Veronese o a un suo collaboratore.

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La cena di Emmaus

LA CENA DI EMMAUS.jpeg

Siamo nel presbiterio e questa volta la parte è quella di sud. Ecco allora l’affresco della Cena di Emmaus, di autore ignoto.

 

La pala dell’altare

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Nell’oratorio, è stata posta una pala d’altare, dipinta su tela, raffigurante la Vergine con il bambino Gesù, attorniata dai santi Vettore, Lucia, Antonio ed Apollonia. Essa venne realizzata nel 1844 da Ippolito Guglielmo Pizzolotto, allievo dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, poi, a seguito di deterioramento del dipinto, venne copiato da un altro pittore della Scuola Romana e posizionata al suo posto.

 

Sul soffitto della navata e del pronao, probabilmente all’epoca dell’innalzamento della copertura (1862), sono stati realizzati alcuni affreschi, di cui non si conosce l’autore.

IL SOFFITTO.jpeg
LATO OVEST.jpeg
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