VEDELAGO IN BICICLETTA
Caratteristiche tecniche
Lunghezza: 52, 5 km
tempo di percorrenza: 4 ore circa
Il territorio e l’acqua. Vedelago si estende nella parte centro-meridionale della provincia, a confine con quella di Padova, tra Altivole, Montebelluna, Trevignano, Istrana, Piombino Dese (PD), Resana, Castelfranco Veneto e Riese Pio X.. Le frazioni sono sette: Vedelago, capoluogo e sede municipale, Albaredo, Barcon, Casacorba, Cavasagra, Fanzolo, Fossalunga. Il territorio è interamente pianeggiante, compreso tra i 78 metri sul livello del mare a nord in località Caravaggio e 25 metri al confine sud con Torreselle. Dal confine settentrionale sino alla strada provinciale Corriva, i terreni sono coperti da uno spesso strato di ferretto (colorazione rossastra dovuta ad ossidi di ferro) sovrapposto ad un profondo ‘materasso’ di ghiaie alluvionali trasportate dal Piave nella fase post-glaciale (tra 20.000 e 15.000 anni fa). La struttura dei suoli in questa zona ha indotto da molti decenni la proliferazione di numerose cave che raggiungono notevoli profondità sotto la falda freatica. I soli corsi d’acqua in questo settore sono i residui canali della Brentella, gradualmente dismessi e sostituiti dalla rete di irrigazione in atto da parte del Consorzio Piave.
A sud della strada Corriva si estende la fascia delle risorgive, caratterizzata da suoli alluvionali costituiti da sabbie, limi e argille, nella quale permangono i caratteristici fenomeni di risorgenza spontanea (i “fontanazzi”) di acque di falda, sospinte in superficie da strati di suolo ad elevata impermeabilità. Quest’area, ricompresa nel Parco regionale naturale del fiume Sile è ricca di corsi d’acqua: il Sile e il Corbetta, perfezionati nel 1944-45 negli alvei attuali, un tratto del fiume Zero e il canale di Gronda, o Siletto, escavato nel 1966-69.
Un po’ di storia…
I primi insediamenti umani di questo Comune, sono documentati nella zona delle sorgenti del Sile, tra Albaredo-Casacorba e Cavasagra. Palificazioni sub-fossili ed un cospicuo numero di utensili in selce e vasellame d’argilla rivelano una lunga occupazione della zona, databile fra il Mesolitico (VIII-metà V millennio a.C.) e il Bronzo medio e recente (XVI-XIII secolo a.C.). Citato per la prima volta in un documento del 994, a proposito della donazione di alcune terre al Conte Rambaldo di Collalto da parte di Ottone III, fu colonizzato dai romani, dei quali ci sono pervenute numerose testimonianze, tra cui la via Postumia, risalente al 148 a.C. Nei secoli medievali, e certamente dal X-XII, in questo territorio si struttura dunque una rete di villaggi, ognuno raccolto intorno alla propria chiesa, che si confermerà nelle epoche successive per giungere inalterata nel suo assetto ad oggi. Nel 1339, una prima volta, e definitivamente nel 1388, il territorio vedelaghese, con l’intera Marca, sono occupati dalla Repubblica di Venezia, e nel Dominio veneziano di Terraferma rimarranno sino al 1797, quando, l’irreversibile crisi istituzionale ed economica dello Stato veneziano sarà causa del suo dissolvimento e la conseguente cessione del Veneto, occupato dai Francesi, all’Austria (trattato di Campoformio, 17 ottobre 1797). Nel corso della dominazione veneziana, l’espansione fondiaria di grandi famiglie patrizie lagunari (Barbarigo, Emo, Corner, Pisani, Condulmer, Dolfin) e della nobiltà trevigiana (Pola, Ravagnin Dal Corno) favorirono la valorizzazione agraria del territorio, grazie soprattutto alla rete irrigua della Brentella, avviata nel 1444 e diffusasi capillarmente nei secoli seguenti. Dal secolo XV si costruirono le prime rustiche case di villeggiatura, in alcuni casi trasformate tra il ‘500 e il ‘700 in splendide ville (Emo di Fanzolo e Corner di Cavasagra). Il toponimo: Vitellius o Lago? Il nome del comune, con il suffisso -ago assai frequente in Veneto, potrebbe derivare dal nome di un colono romano (Vitellius), proprietario di terreni della zona, se non di allevamenti di bovini (indicati, nel loro complesso, come fundus Vitellianus o simili). Un'ipotesi meno solida vi individua la parola lacus "lago", in riferimento ad una zona acquitrinosa.
Partiamo quindi. Il punto di partenza è posto nella centrale piazza di Vedelago ove dominano la parrocchiale e la sede del Comune.
LA CHIESA DI SAN MARTINO VESCOVO: LA PARROCCHIALE DI VEDELAGO.
Ampliata nel 1906-7 dal parroco don Luigi Brusatin sull’originario impianto settecentesco, nel 1922 l’arcipretale era già divenuta insufficiente per le esigenze di culto della popolazione. Ecco allora che tra il 1924 e il 1925, don Giuseppe Mattara, affida la progettazione di una nuova chiesa all’architetto Luigi Candiani. Domenica 5 aprile 1926 viene posta allora la prima pietra del nuovo tempio che ha una pianta basilicale, con tre navate, abside e transetto. Ma esisteva un tempio precedente che i vedelaghesi non avevano certo dimenticato. Del tempio precedente infatti si recuperano vari elementi ed arredi: tra essi, l’altare maggiore in marmo bianco e il fonte battesimale con piramide lignea datata 1599. Negli anni successivi al completamento delle strutture architettoniche si pone mano alle decorazioni degli interni: da ricordare in particolare: nel 1933 l’affresco dell’abside con il sogno di S. Martino del pittore Gino Borsato (1905-1971); nel 1940 i pavimenti lapidei a tessera veneziana; tra il 1941 e il 1947 l’imponente decorazione a forma di mosaico della navata, transetto, presbiterio e abside (Apostoli, Santi, Evangelisti, simboli eucaristici e cristologici), opera di mosaicisti muranesi e veneziani.
SAN MARTINO E IL SUO SOGNO
Martino nacque nel 316 o 317 nella provincia romana della Pannonia, l'odierna Ungheria. Il padre, militare, chiamò il figlio Martino, cioè piccolo Marte, in onore del dio della guerra. Ancora bambino Martino giunse coi genitori a Pavia, dove suo padre era stato destinato, ed in questa città fu allevato. Proprio a Pavia, Martino chiese di essere ammesso al catecumenato, ma, come ogni figlio di veterano aveva una carriera già tracciata: l'esercito. A soli 15 anni fu obbligato al giuramento militare dal padre, irritato dalla ripugnanza del figlio per la professione delle armi e della sua inclinazione verso la vita del Monaco cristiano. Così Martino si preparò alla carriera delle armi e fu in breve promosso al grado di "circitor". Il compito delle "circitor" era la ronda di notte e l'ispezione dei posti di guardia. Durante una di queste ronde, Martino incontrò, nel cuore dell'inverno, un povero seminudo e, non avendo più denari, prese la spada, tagliò in due il proprio mantello e ne donò la metà al povero. La notte seguente egli vide in sogno Cristo, avvolto in quel mantello che gli sorrideva riconoscente...
Visitata la parrocchiale procediamo in direzione ovest sulla regionale. Attraversiamo il semaforo e procediamo per circa 500 metri.
Qui giriamo a sinistra per via Colmello. Scendiamo a sud per circa 400 metri e quindi ancora a sinistra per via della Valle. Avanti per circa 600 metri ( attraversiamo il canale Piccolo ) poi la provinciale che attraversiamo e avanti ancora per circa 1,7 km (sfiorando i bordi di una cava).
Alla nostra sinistra una stradina che percorreremo per circa 900 metri transitando tra l'altro per la stazione ferroviaria di Albaredo. Siamo ormai nella prima frazione di questo territorio che visiteremo.
( IL CAPITELLO NEI PRESSI DELLA STAZIONE )
Usciamo ora a sinistra su via Stazione e poco oltre andiamo a destra in via Casoni. Poco oltre attraversiamo la provinciale e andiamo dritti per circa 300 metri. Passiamo sopra il canale Giaroni e teniamo la destra per circa 100 metri. Quindi a sinistra per altri 800 metri ( attraverseremo canali che rispondono al nome di Canale Giaroni ramo 4,5 ecc. ...capiremo meglio più avanti di cosa si tratta).
Giunti ora a destra in direzione nord per altri 700 metri sino al limitare della cava ove gireremo a sinistra su una stradina.
Avanti per 400 metri superando qui il canale Giardino. A sud ora e quindi a sinistra per circa 1,2 km (via Cal Croce prima e quindi Pozzetto).
Usciamo ora sulla principale tenendo la sinistra e procedendo verso il centro di Albaredo. Siamo ormai in via Brenta.
( VILLA MEMMO ORA PINARELLO )
Attraversiamo la rotonda e ancora dritti sino a giungere dopo circa 1,7 km nei pressi della Parrocchiale di Albaredo, chiesa che domina questa piazza così carica di storia. Siamo ad Albaredo.
ALBAREDO
Il toponimo deriva dalla voce latina "arbor" (albero) o "albulus" (pioppo), e richiama con chiarezza la natura del luogo e del territorio, in epoca medioevale ricoperti da estese boscaglie. Si tratta di un insediamento di origine romana, come testimoniano i numerosi resti (monete, una tomba a inumazione, pozzi ed embirici) e la famosa centuriazione romana asolana, che comprende tutta la zona di collegamento tra Asolo e l'ovest trevigiano.
LA CHIESA PARROCCHIALE. Una chiesa pievana antica, citata il 3 maggio 1152 in una bolla di papa Eugenio III, l’arcipretale di Albaredo, dedicata all’Annunciazione della Beata Vergine Maria. Molto probabilmente proprio sui luoghi dell'antica chiesa avvenne la sua ricostruzione avvenuta tra il 1679 e il 1692. Un Pregevole testimonianza artistica della chiesa vecchia è la pala dell’altar maggiore con l’ Annunciazione della Beata Vergine Maria, dipinta tra il 1615 e il 1623 da Pietro Damini (1592-1631). L’affresco sul soffitto documenta, invece, l’avvenuto completamento della chiesa seicentesca: si tratta di un'opera del pittore castellano Melchiore Melchiori (1641-1686), firmata e datata 1685, raffigura l’Annunciazione. Sopra la porta d’ingresso sud: Monumento funebre del pievano Giacomo Cesari in marmo di Carrara, datato 1692.
( CANONICA )
Procediamo ora a sud per circa 50 metri. Praticamente annessa alla parrocchiale ecco Villa Morosini ora Zambon Pozzobon.
VILLA GRIMANI MOROSINI GATTERBURG ZAMBON POZZOBON
Si tratta di una villa del XVII sec. ristrutturata nel XIX secolo e una delle principali testimonianze delle proprietà dei patrizi veneziani in questi luoghi. La dinastia Grimani Morosini Gatterburg terminò nel 1884 con la morte di Loredana e la loro proprietà di Albaredo fu divisa in due: la fattoria dei Grimani andò ai Marcello, poi ai Marcon e la villa con la barchessa andò ai Tassoni, quindi ai Pozzobon e nel 1984 fu acquistata dagli attuali proprietari Zorzato–Pozzobon che iniziarono la ricerca storica, lo studio e il restauro della dimora. La villa è stata costruita in parte su strutture preesistenti e conserva al suo interno le “quattro stagioni” (o età della vita) di A. Thorvaldsen, scultore neoclassico danese, che insieme ad A. Canova rappresenta l’apice della scultura europea del periodo.
PALAZZO GRITTI (al di là della strada)
Una casa del 1400 dotata sul retro anche di una colombera che fu sede di ospedale da campo nella Prima Guerra Mondiale. Di particolare è da segnalare i disegni a rombo rossi che ne caratterizzano la facciata. Era uso nelle dimore dei veneziani del tempo usare questa forma di pittura per richiamare in qualche modo la fastosità del Palazzo Ducale di Venezia.
Procediamo ora su via Gazzie per circa 200 metri. Alla nostra sinistra un capitello. Entriamo quindi in via dei Piazzotti, scendendo per circa 200 metri tenendo quindi la sinistra al bivio e procedendo per circa 250 metri.
Eccoci ora in via Corbetta. Teniamo la sinistra in direzione nord per circa 350 metri girando ora a destra in via delle Siepi, via che percorreremo per circa 700 metri sino ad entrare a destra in una stradina.
A sud per circa 800 ed eccoci in via Santa Brigida. Scendiamo per circa 1 km e poco oltre ecco l’ingresso per le Sorgenti del Sile. Avanti così per circa 200 metri e quindi a sinistra e ancora avanti per circa 600 metri (sulla nostra sinistra l’ingresso ufficiale delle sorgenti; una visita al Fontanasso del Prete e al Fontanasso dea coa longa e riprendiamo l’ingresso da cui siamo venuti). Seguiamo ora il sentiero sino a giungere in una stradina più ampia. Poco oltre attraverseremo il Corbetta.
IL CORBETTA
Si tratta di un canale artificiale scavato dopo il 1920 per prosciugare una vasta area di terreno da destinare alla coltivazione, un corso d'acqua lungo pochi chilometri, che trae origine nelle zone di risorgiva in cui si delimitano le sorgenti del Sile. Il suo è un fondo molto ghiaioso su cui crescono la Veronica Beccalunga, il Non-ti-scordar-di-me palustre, la Menta acquatica, il Pepe d'acqua e i Carici. Sulla superficie poi potremmo osservare il Ranuncolo e la Brasca Increspata. Anche la fauna ittica è interessante: lo Scazzone, il Panzarolo, il Gambero di fiume e il Temolo qui li troviamo.
In direzione est per circa 900 metri e usciamo a sinistra in via Munaron. A nord per circa 1,7 km ed eccoci sulla principale ove gireremo a sinistra sino a giungere poco oltre alla chiesa e alla canonica di Casacorba.
CASACORBA (la casa curva)
l territorio della frazione, che si estende a sudest del capoluogo comunale, è completamente pianeggiante, con altitudini comprese attorno ai 30 m s.l.m. Il toponimo sembra derivare dall'esistenza intorno all'anno 1000 in questi luoghi di una abitazione con particolare pianta arcuata ovvero di un gruppo di edifici posti a semicerchio, forse in relazione ad una particolare conformazione del terreno che da queste parti è sempre stato particolarmente ricco di acque.
Luoghi d’acqua, luoghi legati all’acqua, benedetta e maledetta acqua. Ecco cosa accadde da queste parti qualche anno fa!
LA BATTAGLIA DELL’ACQUA
La grande guerra, la guerra del 15-18 era da poco finita. La gente di Casacorba, Cavasagra e Albaredo aveva avuto le sue tragedie: mariti, capifamiglia, giovani vite tutte finite nei tanti cimiteri del Carso o del Piave. Le ragioni della guerra avevano fatto abbandonare anche queste campagne. E anche questi luoghi diventarono luoghi di guerra. A Cavasagra ,Villa Corner per esempio, era diventata il quartier generale della terza armata del generale Caviglia. Finisce la guerra e riprende la vita di sempre, povera vita di sempre e con nuove bocche da sfamare. I piccoli proprietari erano spesso indebitati: mezzadria e contratti umilianti con i potenti delle zone. Non si dimentichi che furono proprio queste condizioni a portare all’esasperazione collettiva che il 30 novembre 1907 portò all’incendio della barchessa della villa a Cavasagra. Ma quello che esasperava in maniera altrettanto logorante era la presenza delle paludi: terre così vicine ma così inutilizzabili, così nere ( la torba ) ma così sterili! Avere i campi a portata di mano ed essere costretti ad emigrare! E poi quella maledetta umidità: partiva dalla terra, avanzava dentro le case, anneriva i muri, faceva gocciolare gli armadi, inzuppava i pagliericci, penetrava nelle ossa. In modo implacabile distribuiva un po’ a tutti un’asma o una bronchite, una tubercolosi o dei reumatismi. Al resto pensavano le zanzare. Ormai era chiaro a tutti che il nemico era uno solo: l’acqua. Era l’acqua sorgiva che rubava raccolti, era l’acqua sorgiva che faceva ammalare. Occorreva la bonifica, lo diceva anche Mussolini. Ne valeva la pena anche a costo di rinunciare agli indubbi vantaggi che il palù comportava; pochi ma significativi in un’economia di sopravvivenza. Il pesce, per esempio: bisate, tinche e marsoni
Ma tutte queste risorse erano considerate di ripiego. I grossi proprietari come investimento, i piccoli come rimedio alla fame e alle malattie, tutti coltivavano il sogno di prosciugare, bonificare, coltivare.
Per questo motivo con un Regio Decreto del 1927, si era costituito il Consorzio di Bonifica “Destra Sile Superiore”. Subito però nacque al suo interno lo storico contrasto tra la zona delle sorgenti e quelle successive, il bacino più alto e quelli più bassi, in definitiva tra i comuni di Vedelago e Morgano che evidentemente non potevano avere gli stessi interessi, anzi direi gli stessi erano assolutamente contrapposti ( è il destino della “ guerra tra chi sta a monte e chi sta a valle”). Le relative amministrazioni entrarono quindi in perenne contrasto fino a che l’Amministrazione ordinaria fu sciolta e arrivò il Regio Commissario. In attesa di discussioni più serene però, i proprietari non rimasero inoperosi e procedettero privatamente. Camillo Frova (quello di villa Corner e presidente del Consorzio Brentella) unitamente a Bolasco, Di Broglio, Monis e Montini costruirono verso il 1927 la società dei padroni, con partecipazioni ovviamente proporzionate alle terre possedute. Lo scopo era quello di ottenere un Corbetta nuovo, più diritto e più a sud, con l’evidente risultato di prosciugare le terre a nord. Ma non bastava! Non era possibile avere terre asciutte alle sorgenti finché i vari mulini a sud-est facevano da imbottitura, tenendo alto il livello delle acque. Bisognava agire anche sui mulini: bisognava ridimensionare i mulini. Il primo ad essere ridimensionato fu il Munaron nel 1937, ma non bastava. Fu solo l’anno dopo, con l’eliminazione del mulino di Morgano, che si videro i primi soddisfacenti risultati: in alcuni punti l’acqua si abbassò addirittura di un metro. Nel 1940 poi fu annunciato l’arrivo di un’imponente macchina per una grande battaglia contro l’acqua, quella finale, quella definitiva! Si voleva spostare il Sile più a sud, raddrizzarlo e allargarlo di molto. La draga arrivò: era piazzata su due barconi e sputava di continuo la melma appena risucchiata. In un sol colpo preparava al Sile un nuovo letto di dieci metri e ne alzava vigorosamente gli argini. Si cominciò dalle “case rosse”, vicino alla fornace, in rettilineo fino alla strada del Munaron. La guerra, la seconda guerra mondiale però, costrinse a una pausa: poi si riprese fino al fontanasso dea Coa Longa. In tutto tre chilometri. Eravamo nel 1944 e anche il palù fu teatro di guerra. Inquietante in tal senso fu l’incendio che i fascisti appiccarono al Munaron. Salutati con entusiasmo, invece, i numerosi lanci di materiale sulle prese da parte degli aerei americani per i partigiani rifugiati in casera. Ma una cosa è certa, e cioè che nella ritirata da Piombino per via S. Brigida, i tedeschi furono ostacolati più che dagli aerei americani, dal palù inzuppato dalle piogge primaverili. E infatti, il 29 aprile del ’45 la colonna finì poi bloccata dagli alleati sulla statale a Vedelago. Finita la seconda guerra mondiale, riprese quella locale contro l’acqua sorgiva. Nel 1946 fu eseguito un nuovo intervento sul canale Corbetta e se ne anticipò lo sbocco sul Sile; si era conquistata nuova terra per l’agricoltura, si era abbassato il livello dell’acqua e dell’umidità, ma non bastava ancora: indicative le relazioni del dr. Meo che nel 1962 passava in rassegna Casacorba e ne ricavava un quadro preoccupante di malattia e di depressione tanto da ottenere, tramite la Croce Rossa svizzera un contributo per alimenti e una macchina da radiografie che fu posta nell’asilo parrocchiale. La lotta non era quindi finita. Tra il 1966 e il 1969, con la costruzione del canale di Gronda, le draghe della ditta Agribeto e l’ing. Facchinello sferrarono l’attacco definitivo. Con un taglio profondo più di due metri e mezzo furono radicalmente interrotte le prime correnti di falda, immediatamente fatte emergere, incanalate verso est e immesse nel Sile al confine tra Ospedaletto e Villanova. Il risultato fu che le terre a sud, inaridirono e si abbassarono di colpo, anche di due metri, fino a portare molte radici al sole e a risucchiare i fontanazzi . Adesso si poteva finalmente coltivare e tornare dei capitali investiti e richiamare gli emigrati e dormire asciutti…
LA PARROCCHIALE DI CASACORBA. La cappella, dedicata a S. Fosca Vergine e Martire, fu soggetta alla pieve di Albaredo sino al 1757, quando il vescovo Giustiniani ne dispose l’erezione in parrocchia autonoma. Già nel 1722, il popolo di Casacorba aveva posto la prima pietra di un nuovo campanile e nel 1736 aperto il cantiere di una nuova chiesa. La chiesa, in particolare, si presentava, come ora, di notevole qualità architettonica (progetto attribuito all’architetto veneziano Giorgio Massari). All’interno si possono ammirare tre splendidi altari. Il maggiore (sec. XVIII) in marmo bianco e rosso con quattro colonne tortili; mensa con paliotto ad altorilievo in marmo bianco con angeli e simbolo eucaristico; sul fastigio angeli, cherubini e padreterno; sullo sfondo pala con i Santi Fosca, Giovanni Battista e Girolamo, attribuita o a Giovanni Bonagrazia (1654-circa 1730) o ad un anonimo pittore veneto del sec. XVIII. L’altare laterale di sinistra (presso il presbiterio) del sec. XVIII dedicato a S. Valentino riprende i motivi stilistici del maggiore: quattro colonne tortili, mensa svasata con ovale in marmo giallo recante, al centro, rilievo della Madonna del Carmine in marmo bianco, e pala con Maria tra i Santi Antonio da Padova, Rocco e Michele Arcangelo, datata 1679 e siglata dal pittore Giacomo Galletti.
Lasciamo ora la parrocchiale e dirigiamoci a nord su via Sile in frazione e quindi dopo circa 60 metri a destra. Proseguiamo per circa 300 metri. Usciamo ora sulla principale e andiamo a destra sfruttando la ciclabile. Avanti altri 750 metri ed ecco sulla sinistra della strada l’imponente Villa Corner.
VILLA CORNER. Villa appartenuta ai patrizi veneziani Corner del ramo Piscopia, documentata tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, sul cui corpo centrale intervenne Giorgio Massari tra il 1715 e il 1717, Una radicale ristrutturazione che attribuì all’edificio pianta e prospetto attuali avvenne nella seconda metà del ‘700 probabilmente per mano dell’architetto castellano Francesco Maria Preti (1701-1774). Il 30 novembre 1907, la villa, allora in proprietà del bergamasco Antonio Frova, fu al centro di una rivolta dei fittavoli, esasperati dalle oppressive condizioni imposte dallo stesso Frova. Nella fase conclusiva della Prima Guerra Mondiale, la villa fu sede del comando dell’VIII Armata, guidata dal generale Enrico Caviglia.
Procediamo ora per circa 300 metri ed eccoci nel pieno centro di Cavasagra.
CAVASAGRA: UN PO’ DI STORIA
Cavasagra è abitata da almeno 5-6 000 anni. Resti archeologici d'epoca preistorica furono ritrovati nell'area del Palù, la palude che fino all'inizio del Novecento occupava l'area posta a sud del paese. Alcuni ritrovamenti sono avvenuti in località Fossa Storta, non lontano dalle sorgenti del fiume Sile: strumenti in selce, lame, raschiatoi, apici di falcetti, punte di frecce. Questi oggetti sono da iscrivere al Neolitico e cioè a 4.550 – 3.000 anni avanti Cristo. Il primo accenno scritto alla località risale all'anno 997.È meno noto che alcune persone del luogo parteciparono ai moti del 1848, nella difesa cioè della Nuova Repubblica Veneta di San Marco, proclamata da Daniele Manin. Di Cavasagra sono i caduti Catterino Basso e Luigi Vettori, il primo nella difesa del forte di Marghera, il secondo nella difesa di Venezia. Tra il 1867 e il 1871 a Cavasagra fu sede municipale, sotto la denominazione di Comune di Sant'Andrea di Cavasagra. A Cavasagra venne infatti trasferita la sede dell'ex comune di Albaredo. Il Comune fu poi soppresso e integrato a Vedelago. Un decisione che suscitó non poche polemiche e resistenze. Nella seconda metà dell'Ottocento, era in funzione a Cavasagra uno dei pochi molini dell'area. Poco dopo venne aperta la prima linea ferroviaria che attraversava la frazione: nel 1877 fu inaugurata la Vicenza-Treviso con stazione ad Albaredo. Anche in questo caso tra le proteste, in quanto i residenti hanno inutilmente chiesto un'ulteriore stazione nei pressi della borgata di Carpenedo.
La storia del paese nella prima metà del Novecento è legata però a doppio filo al conte Antonio Frova ed alla sua famiglia. Il conte arrivato a Cavasagra da Milano nel 1902, acquistò subito dai conti Persico la villa “Corner” e la relativa tenuta agricola. Frova è una figura importante per questa terra perché fu lui che promosse le opere di bonifica e il rinnovamento dei sistemi di coltivazione. Innovazioni non sempre comprese e positivamente valutate dai contadini del posto. Il 30 novembre del 1907 la villa infatti fu teatro di una rivolta contadina contro il conte Frova: una cinquantina di rivoltosi, incolpati dell'incendio della barchessa, finirono in carcere per tre mesi e solo grazie al monsignor Angelo Brugnoli furono liberati. I Frova hanno poi venduto le proprietà nel 1946.
La rivolta di Cavasagra. Esistono molti resoconti storici che descrivono il "grave fatto" avvenuto a Cavasagra sabato 30 novembre 1907. Verso la mezzanotte la villa Persico ora Frova, al suono della campana a martello, fu assalita da contadini infuriati che divelsero i cancelli, atterrarono le statue del giardino, devastarono le serre e le adiacenze e per ultimo appiccarono il fuoco alla scuderia e fienile. Era la notte di Sant'Andrea e la descrizione riporta le parole del Sindaco dell'epoca, in una sua relazione. L'interrogativo era se si trattava di un movimento spontaneo di protesta di contadini esasperati dai metodi del padrone, oppure una sommossa provocata ad arte da "mestatori" guidati da interessi politici o particolari. Il padrone era Antonio Frova, ex guardaboschi bergamasco, il quale aveva acquistato pochi anni prima, nel 1903, la tenuta e la villa della contessa Persico. Già il cambio di proprietario aveva suscitato molte preoccupazioni negli affittuari, che dal nuovo padrone "non possono ripromettersi se non un forte aumento sui fitti", come si legge in un documento della locale fabbriceria. L'aumento arriva puntuale negli anni seguenti, dopo che Frova ha introdotto alcune migliorie, bonifiche di terreni, una diversa rotazione delle colture ed ha riempito le stalle di bestiame. Non è più la tradizionale gestione paternalistica dei vecchi nobili; di essa forse rimane soltanto la pretesa di "ubbidienza assoluta" e di onoranze ed obbligazioni (carriaggi, lavori a 60-80 centesimi al giorno), sempre meno tollerate dai contadini. Solo il padrone, poi, può provvedere all’acquisto di concimi chimici ed all’assicurazione del frumento contro i danni della grandine, naturalmente a spese degli affittuari. Delle loro condizioni economiche si preoccupa fino ad un certo punto, si limita a raccomandare "la massima pulizia nelle case, nei cortili e nelle stalle"; ma se in caso di rimostranze fa rispondere dal suo legale: "Emigrate in America!" I cambiamenti introdotti, che nei primi anni portano più che altro nuovi oneri per i contadini, il diverso tipo di rapporti con il padrone, di cui pure si riconosce la competenza, suscitano malumori e proteste. Spuntano scritte sui muri e volano sassate contro la villa, viti e gelsi vengono tagliati di notte. Poco dopo l’ultimo aumento dei fitti, nel San Martino del 1907, scatta l’assalto alla villa. C’è subito un forte dispiegamento di forza pubblica. "Entro poche ore Cavasagra era in una sorta di stato d'assedio. Una sessantina di contadini vengono arrestati, ma le indagini non approdano a risultati concreti e qualche mese dopo gli indiziati sono tutti scarcerati. Grazie soprattutto all’intervento del Vescovo, del suo Cancelliere don Brugnoli, e del Parroco, don Luigi Perizzolo. Il Tribunale dichiara il "non luogo a procedere per non privata vita". Frova ottiene la solidarietà e l’appoggio della gerarchia ecclesiastica, delle autorità e degli organi di stampa, concordi nel riprovare pubblicamente i fatti.
Dopo aver pensato di vendere tutta la sua tenuta (e don Brusatin stesso entra per un certo tempo in trattativa), Frova decide di rimanere e giunge a concludere un nuovo e migliore contratto con i dipendenti. "Circa gli autori dei misfatti regna un mistero impenetrabile... V’è chi suppone l’opera intelligente di persone estranee, forse era questa la via che doveva battere l’autorità giudiziaria per conchiudere meglio la sua istruttoria", annota il Vescovo in occasione della visita pastorale dell’8 ottobre 1908. I sospetti cadono, infatti, sui socialisti di Castelfranco infiltratisi tra i contadini; e la tesi sarebbe avvalorata anche da una testimonianza di don Ferdinando Pasin. Certo un’organizzazione ci dev’essere senz’altro stata: lo fa capire la numerosa partecipazione alla sommossa, la scelta della notte della sagra del paese, il prolungato suono delle campane a martello, l’azione di ostacolo all’arrivo degli aiuti. Ma sull’attribuzione della responsabilità c’è qualche dubbio: don Pastega infatti, allora parroco alla Pieve di Castelfranco, confessa, nel suo diario, di aver subito saputo "pochi giorni dopo il delittuoso incendio, il nome delle persone maggiormente responsabili" e di averli comunicati a persona influente della Curia, che "soffocò possibili strascichi". Se si fosse trattato veramente di socialisti, forse le cose non sarebbero andate come andarono, visto anche i rapporti molto conflittuali che don Pastega aveva a Castelfranco con gli esponenti di quel partito. L’episodio, comunque, fa molto scalpore per l’inatteso ed inconsulto scoppio di violenza ed ha addirittura un’eco in parlamento a Roma. Testimoniava soprattutto lo stato di esasperazione a cui erano giunti i contadini veneti, ma è anche una riprova del ruolo svolto dal clero, ancora in grado di far opera di pacificazione.
Il Toponimo. Varie sono le ipotesi circa l'origine del curioso nome del paese. È probabile che la "r" del vocabolo Cavasagra non sia originale , tanto che antichi testi fanno riferimento a: Cavaxiaga, Cavaxaga, Cavassalea o Cavasaxea ("cava sassea", in riferimento agli scavi di materiale di costruzione); Cava sacra "Da una vasta cava eseguita nel terreno sacro in occasione d'un'epidemia per riporvi i cadaveri del vicino ospedaletto". Si parla anche di "Hospitale de Cavaxaga". Dalla fama della festa patronale, tanto che il paese fu a lungo conosciuto come "Sant'Andrea". "Dalla sua chiesa titolata a Sant'Andrea, nella cui sagra o festa, molti vi concorrevano, trasse l'attuale suo nome".
LA PARROCCHIALE DI CAVASAGRA Nella visita pastorale del 1779, la chiesa vecchia fu ritenuta insufficiente per una popolazione di quasi 800 anime. Nel 1818 si pose mano ad una nuova chiesa, l’attuale, come la precedente dedicata a S. Andrea Apostolo, per iniziativa del parroco don Marco Bonetti e grazie al concreto aiuto della popolazione. Dopo alcune disavventure strutturali, i lavori furono affidati al capomastro Natale Boato di Salzano (autore del progetto della facciata) e si conclusero nel 1824 (consacrazione il 19 ottobre 1828). Il campanile fu innalzato nel 1893, sulle rovine del precedente eretto nel 1673.
Poco oltre la chiesa ecco sulla nostra sinistra via San Paolo. La prendiamo e la percorriamo per circa 150 metri e quindi svoltiamo a destra. Affrontiamo questa via in aperta campagna per circa 700 metri e quindi, sconfinando nel vicino territorio di Istrana, entriamo in via dei Castellari girando a nord e quindi a sinistra.
Procediamo su questa via sino a vedere, dopo 200 metri, un ingresso alla nostra sinistra: lo prendiamo! Altri 800 metri e al successivo incrocio andiamo a destra. Dopo circa 700 metri di pedalate ci troveremo davanti al passaggio a livello e quindi, subito oltre nel pieno del “centro” di Carpenedo.
CARPENEDO. E' un colmello di Cavasagra, non una frazione ma un borgo piccolo piccolo. Il suo nome sembra avere a che fare con il "carpino", albero della famiglia delle betulle forse un tempo presente in questi luoghi in gran quantità.
Lasciamo ora Carpenedo e la parrocchiale sulla nostra sinistra e proseguiamo a nord su via San Filippo Neri. La strada si snoda più avanti tra il verde di campagne ancora ben curate. Pedalato per circa 1,1 km usciamo su una nuova stradina ora asfaltata a sinistra sempre in direzione nord. Ancora 800 metri ed eccoci sulla regionale ove gireremo a sinistra. Pedaliamo per circa 1,5 km. Alla nostra destra ora una stradina e sulla sinistra l’oratorio di San Michele.
ORATORIO DI SAN MICHELE ARCANGELO
Oratorio costruito intorno al 1750. E' dedicato a san Michele Arcangelo ed è situato in località Rizzardina, località che prese il nome dalla nobile famiglia veneziana Rizzardi che qui possedeva "una casa dominicale con altre Fabriche da Castaldi ... chiesa e brolo unito da muro". Una curiosità: seppur costruito nel 1750 l'oratorio non ebbe molta fortuna per la sua sacra funzione in quanto già nel 1790 il vescovo di Treviso vietò la celebrazione di messe al suo interno perchè vi mancavano i necessari arredi sacri e il certificato di autenticità per le reliquie qui custodite.
Visitato l’oratorio di San Michele ritorniamo sulla regionale, giriamo quindi a destra e procediamo per circa 100 metri. Poi ancora a destra in direzione nord su via M.L.Crico. Andiamo avanti per circa 800 metri ed ecco alla nostra sinistra l’oratorio dedicato ai Santi Simone Giuda.
ORATORIO DEI SANTI SIMONE E GIUDA. La chiesetta del colmello di Pozzobon,è senza dubbio molto antica. Si tratta di una Sobria ed elegante costruzione, menzionata nei documenti già dal 1171. Già nel 1400 si ha notizia che questa cappella fosse soggetta alla pieve di Albaredo anche se i quartesi appartenevano al rettore di Fossalunga che qui esercitava anche la cura d'anime. Seguono poi alterne fortune che determinano nei fatti il pieno decadimento della struttura tanto che nel 1792, il vescovo di Treviso ne ordinò il restauro. Si trattava di una chiesa importante per gli abitanti della zona che erano costretti ad andare nella lontana pieve per ogni rito religioso. Il disagio era così evidente che fu proprio in una assemblea popolare che venne "balotata" ( votata ) con 32 "balle" o voti a favore contro 4, l'intimazione al rettore del seminario di Treviso di provvedere al restauro della chiesa.
VERSO FOSSALUNGA
Divergenti appaiono le opinioni degli storici sull'”esatta origine del nome. Alcuni di essi si riallacciano alle affermazioni di uno storico trevigiano secondo cui i Veneziani, intorno al 1410, scavarono una lunga fossa «nel Trivigiano lunga ventidue miglia, che da” monti giungeva fino al mare, per impedire il passaggio agli Ungheri››; altri si riferiscono all'ipotesi per cui «nell°898, per difendersi dall'invasione degli Ungari, fu approntato una specie di “vallum”, la fossa lunga, da cui il toponimo Fossalunga, che ricalcava fedelmente l'andamento dell'antico alveo del Piave.
Ammirato l’oratorio dei santi Simone e Giuda, procediamo per qualche metro a nord e poi a sinistra. Pedaliamo per altri 900 metri circa e quindi giù a sinistra in via Giuseppe Lazzati. Qualche metro e poi ancora a sinistra in via Isonzo. Altri 250 metri e quindi a sinistra in via Fiume. E’ verso la fine di questa via e quindi dopo circa 400 metri che potremmo ammirare sulla nostra sinistra Villa Ravagnin.
VILLA RAVAGNIN
L’imponente villa Ravagnin, poi De Lotto, è stata costruita nella seconda metà del secolo XVII. Ha l’aspetto di un vero e proprio palazzo cittadino a tre piani, più che quello della villa di campagna. All’interno i due saloni centrali sono richiamati in facciata, da trifore con balconi in pietra. Il piano terra è occupato da vaste cantine, mentre l’ampio sottotetto era adibito a granaio.
Lasciamo ora la villa e andiamo in direzione sud su via Trento-Trieste per circa 600 metri sino a vedere sulla nostra sinistra una stradina sterrata. La prendiamo e pedaliamo di qui per circa 500 metri. Ora giriamo a destra per circa 300 metri quindi a sinistra e cominciamo a risalire a nord dapprima sfiorando l’area dell’aeroporto. Fatti 1,2 km usciamo a sinistra su via Montello. Ci stiamo davvero addentrando nell’abitato di Fossalunga. Cinquecento metri più avanti un bellissimo capitello dedicato alla Madonna.
Procediamo ancora e lo sguardo ora dovrà concentrarsi sul lato destro della strada: stiamo per andare a visitare delle belle ville. La prima la incontriamo quasi subito: si tratta di Villa Cariolati Setti.
VILLA CARIOLATI SETTI
Villa Cariolati Setti, edificata nel XVI secolo e interamente affrescata, è, per questa sua caratteristica, unica nel suo genere. I dipinti, di contenuto allegorico e mitologico, anche se non sempre di facile lettura, sono attribuiti a Santo, figlio di Martino da Caselle, un frescante abitante all’epoca a Fossalunga. Elegante residenza signorile di campagna, la villa è particolare per non aver subito nel tempo modificazioni, evento invece molto normale nelle ville dello stesso periodo. Accanto alla villa sorgeva un oratorio dedicato a San Giuseppe demolito però nel 1640.
Andiamo avanti e ancora sulla destra ecco dopo circa 150 metri ecco Villa Alessandrini.
VILLA ALESSANDRINI
Siamo ormai in piazza. Nella piazza principale, notevole l’edificio quattrocentesco, con bella bifora, ora adibito ad osteria e già appartenente alla famiglia Pomini. Di fronte ecco la chiesa parrocchiale.
LA CHIESA PARROCCHIALE DI FOSSALUNGA
A Fossalunga, di una prima chiesa di modeste dimensioni, dedicata a S. Agata Vergine e Martire, si ha memoria documentale fin dal XIII secolo. Alla fine del secolo XVIII i capifamiglia e il parroco don Melchiorre Spada (parroco dal 1754 al 1787) intrapresero la costruzione di una nuova chiesa. Dopo la morte dello Spada, la chiesa cadde in stato di abbandono e solo l’ingresso a Fossalunga nel 1798 di don Lorenzo Crico impresse l’energia indispensabile per aprire un nuovo cantiere, al fine di completare ed abbellire la chiesa che lo Spada non era riuscito a portare a termine. Si fecero interventi strutturali e tra il 1802 e il 1803 il pittore veneziano Giambattista Canal (1745-1825), affiancato dal pittore e quadraturista Giuseppe Borsato (1771-1849), realizzò uno spettacolare apparato decorativo, al vertice del quale si colloca a diritto lo splendido soffitto con Il martirio e la glorificazione di S. Agata. Ai lati del presbiterio (sulla volta:La Fede) il Canal affrescò La moltiplicazione dei 5 pani e dei 2 pesci (nord) e La caduta della manna (sud); sulle pareti e sulla controfacciata: riquadri con figure di Evangelisti, La Madonna del Rosario, San Sebastiano, sette episodi della vita di Gesù, le storie di Tobia e del figliol prodigo (in monocromia), La Pietà e L’orazione nell’orto (in policromia). Nella “sala picta”, come è stata definita la chiesa, vi sino altre opere meritevoli di segnalazione: la pala dell’altare maggiore con i Santi Agata, Sebastiano e Luigi Gonzagadi Sebastiano Santi (1789-1865), il Martirio di Sant’Eurosia, pala di pittore veneto del sec. XIX, con stemma Ravagnin alla base, e l’affresco del sec. XIV raffigurante Madonna con Bambino e S. Cristoforo (altare a sinistra del presbiterio), proveniente da una antica casa del paese.
Lasciamo ora la Chiesa di Fossalunga e andiamo in direzione nord su via Sant’Anna. Procediamo così per circa 1,5 km sino a uscire sulla via Postumia. Giriamo ora a sinistra e circa 500 metri dopo entriamo a destra in via Molino. Percorriamo via Molino per circa 2,8 km e quindi andiamo a sinistra in via Terza Armata. Procediamo per circa 1,8 km ed eccoci nel pieno centro di Barcon di Vedelago.
BARCON DI VEDELAGO
Il toponimo di questa località sembrerebbe derivare dalla fiorente attività agricola in questo territorio sin dall'epoca medievale: deriverebbe insomma da "BARCO", nome con cui si indicava storicamente una costruzione destinata a stallaggio e ricovero di attrezzi rurali nonché di legnami e foraggi.
IL VECCHIO MERCATO DI BARCON
Questo piccolo villaggio, scelto dai conti Pola come luogo di residenza e come centro coordinatore del loro latifondo, conobbe, tra il 1788 e i primi anni dell'”Ottocento, una particolare ed intensa animazione, nonché i vantaggi economici di un mercato che durò comunque solo per un ventennio. L”iniziativa era stata presa dai Pola i quali, allo scopo di migliorare le loro finanze, chiesero alla Repubblica Veneta, il 15 febbraio 1788, di poter ufficialmente istituire un mercato da tenersi il 2 e il 5 di ogni mese. Il conte Antonio, forte anche delle sue amicizie e dei meriti di governo della sua gloriosa famiglia, riuscì ad ottenere, nel marzo 1797, l'autorizzazione ad attribuire frequenza settimanale al mercato di Barcon. Ma a questa notizia insorse immediatamente il comune di Montebelluna che, a motivo della vicina concorrenza, vedeva notevolmente compromesso il proprio antico mercato, florido ed attivissimo grazie anche ad una serie di antichi privilegi fiscali, sulle merci in entrata e in uscita . A far decadere rapidamente il mercato di Barcon contribuì il declino politico ed economico dei Pola i quali non riuscirono ad impedire la cancellazione del mercato. Esso venne,con un regio decreto del 1811 sostituito con una fiera da tenersi due volte l'anno. Un mercato durato solo 23 anni!!
LA BARCHESSA DI VILLA POLA
Venne costruita a partire dal 1721 su progetto di Giorgio Massari per la nobile famiglia veneziana dei Pola. Villa con 364 finestre sorse al centro del quadrilatero ancor oggi recintato da mura; ai fianchi si eressero due barchesse.Il palazzo, divenuto col passare degli anni un onere insostenibile per i Pola, fu demolito tra il 1858 e il 1861. Rimase intatta la sola barchessa di ponente, una sorta di "tempio di campagna con richiami forti al 500 palladiano".
VERSO CARAVAGGIO
Procediamo ora a nord prima in piazza Cavour e poi in via Duca D'Aosta. Così per circa 100 metri. Giriamo ora a destra e poi a sinistra per recuperare Via Mercato Vecchio in direzione nord. Ancora avanti per circa 600 metri e quindi a sinistra su via Duca D’Aosta: altri 600 metri circa e ora a destra in direzione nord. Circa 500 metri più avanti ecco sulla nostra sinistra ecco il Santuario della Madonna del Caravaggio.
IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL CARAVAGGIO
Il tempietto dedicato alla Beata Vergine del Caravaggio è situato in località Edificio a Nord dall’abitato di Fanzolo al confine del comune di Vedelago con quello di Altivole. La costruzione opera dell’architetto Michele Fapanni prende a modello il Tempietto Palladiano della villa Barbaro di Maser. La chiesetta che oggi si vede fu iniziata nel 1830 e consacrata nel 1845. Fu voluta dai contadini della zona per propiziare la protezione della Vergine in un periodo di gravi calamità naturali che per dieci anni, fra il 1820-30, si erano abbattute sulle campagne portando fame, distruzione e miseria. Il 26 di maggio di ogni anno si celebra la festa della Madonna. Una folla accorre anche da regioni lontane e aspetta per lunghe ore che la statua della Madonna venga portata fuori dalla chiesa perchè il simulacro della Vergine, secondo una tradizione, ha il potere di guarire gli indemoniati. Per proteggere la Madonna dagli ammalati che andavano in trance per opera del demonio e diventavano aggressivi, fu necessario costruire una gabbia di ferro e, per questo, la Madonna del Caravaggio è conosciuta anche come la “Vergine in gabbia”.
VERSO FANZOLO. Lasciata la chiesa del Caravaggio, poco oltre sulla sinistra ecco via del Caravaggio. La percorriamo per circa 2,9 km ed ecco sulla nostra destra, VILLA EMO.
VILLA EMO
La vicenda storica della Villa è, strettamente legata alla storia della famiglia Emo. Prima del 1535, il patrizio veneziano Leonardo Emo, conoscitore ed estimatore di queste terre di pianura, deciso a ritirarsi dal suo servizio allo stato, acquista da Andrea Barbarigo il fondo di Fanzolo, pari a 80 campi trevigiani. Qui decide di dedicarsi attivamente alla coltivazione e all'allevamento, promuovendo la bonifica delle terre, il rinnovamento delle colture, l'impianto di molini e filande. La prima preoccupazione, nell'ottica di una pratica agricola rigorosamente pianificata, fu quella di organizzare il regime della acque, abbondanti e diffuse nei campi della proprietà, per bagnare le terre e abbeverare il bestiame. A questo scopo ottenne nel 1536 la concessione per la "seriola" Barbariga, canale irriguo della Brentella. Il cambiamento più innovativo che segnò la successiva storia del territorio, dell'economia, della società fu l'introduzione della coltura del mais al posto del pastone di saggina, detto "sorgo rosso", che fino ad allora era stato alla base del misero regime alimentare della popolazione locale, che accolse con esultanza l'arrivo di chi contribuiva al miglioramento del "desco". Rimane testimonianza di questo passaggio storico nella decorazione delle sale della Villa, tutta ispirata a motivi agrari: un ciuffo di pannocchie costituisce il motivo ornamentale dei festoni decorativi. Una volta organizzato il regime del suolo, Leonardo Emo decide di volerci anche abitare. Non riuscirà a realizzare il suo progetto in quanto muore nel 1539, e a rendere concreto questo sogno ci penserà il nipote omonimo suo erede. Demolita la Villa Barbarigo esistente, Leonardo Jr si rivolge al più accreditato architetto dell'epoca, che gli garantisca un progetto architettonico adeguato ai suoi intenti. Non si conoscono esattamente le relazioni esistenti tra Leonardo Emo e il Palladio ma è certo che l'operazione di progettazione e costruzione della Villa furono per il nobiluomo un'avventura particolarmente stimolante e impegnativa. Probabili ascendenze di questo progetto si possono riconoscere nel palazzo Soranzo a Castelfranco, di Michele Sanmicheli, e nel villino Cornaro a S.Andrea oltre il Muson, entrambe di poco antecedenti, che in qualche misura hanno influenzato committente e architetto, in relazione alla filosofia del progetto e al suo linguaggio. Negli esiti progettuali della Villa si sente ovunque la personalità del committente, che chiede all'architetto risposte precise alle esigenze di una fabbrica di campagna, che sia al contempo esemplare azienda agricola e granaio per la propria casa.
Poche pedalate e siamo nel centro di Fanzolo. A dominare la piazza: la parrocchiale!
LA CHIESA PARROCCHIALE DI FANZOLO
I lavori di costruzione della chiesa, dedicata ai Santi Vittore e Corona Martiri, attuale iniziarono il 3 marzo 1887 e si conclusero nel corso del 1905. Consacrata il 4 maggio 1911, fu ampliata ed abbellita nel 1887 ed ancora nel 1953. Della chiesa vecchia rimangono alcune pregevoli opere d’arte. Esposti sulla controfacciata: al centro Madonna col Bambino in gloria e i santi Vittore e Corona, opera databile al 1740 circa, attribuita a Mattia Bortoloni (1696-1750), in origine collocata dietro all’altare maggiore; ai lati: San Paolo (a sinistra) e San Pietro (a destra), pale entrambe di pittore veneto del sec. XVIII. Inoltre: sul primo altare a sinistra (entrando), dello stesso Bortoloni, Santa Maria Maddalena nel deserto e un angelo crucifero; nel primo altare a destra del presbiterio, ai lati:Vergine annunciata (più sotto: immagine devozionale di pittore locale proveniente dal capitello del cimitero) e L’Arcangelo Gabriele, oli su tela di pittore veneto, databili alla fine sec. XVIII. Ai lati del presbiterio, due grandi tele di Luigi Gasparini datate 1906 e rappresentanti (a destra) Cristo predice la distruzione di Gerusalemme e (a sinistra) Il trionfo della SS. Eucarestia. Dello stesso Gasparini sono gli affreschi: Martirio dei Santi Vittore e Corona sul soffitto, Angeli adoranti sul catino dell’abside, le varie stazioni della Via Crucis in sequenza, dalla parete ovest sino a quella est.
IL RITORNO A VEDELAGO. Ritorniamo in via Unione e poco oltre, quasi di fronte alla chiesa Parrocchiale prendiamo a sinistra via Boscalto. Percorriamo questa via per circa 250 metri e quindi a sinistra in via Palladio: avanti per circa 500 metri e ora a destra su via Montegrappa. Scendiamo per circa 1,5 km, attraversiamo la via Postumia e andiamo dritti; fatti circa 800 metri sulla sinistra ecco l'oratorio di San Mamante.
L'ORATORIO DI SAN MAMANTE
L’Oratorio di San Mamante, piccola e sobria chiesetta rurale del 1640, dopo essere stata adibita alle più varie funzioni, nel corso degli anni; conserva una pala d’altare raffigurante il Santo martirizzato (l’iconografia potrebbe ricordare invece San Sebastiano) di Domenico Santoro, una tela cinquecentesca con l’Adorazione dei Magi e una statua in legno raffigurante il santo Patrono con la palma del martirio, opera contemporanea dello scultore gardenese Walter Panchieri.
Pedaliamo ancora per circa 1 km e poi a sinistra su via Monte Tomatico e quindi subito a destra su via Monte Cesen. Altri 900 metri sino ad uscire su via Papa Sarto ove giriamo a sinistra. Facciamo altri 400 metri ed ecco sulla nostra destra la settecentesca villa dei nobili trevigiani Zuccareda. Qui si chiude il nostro viaggio!
VILLA ZUCCAREDA