DA NERVESA A SALETTUOL
CARATTERISTICHE TECNICHE: Lunghezza: 23,5 km. Tempi di percorrenza: 2 ore. Stagioni: solo le stagioni asciutte.
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E’ senza dubbio una delle tappe più varie dal punto di vista della percorribilità. Useremo la bicicletta sì, ma in qualche piccolo tratto dovremo scendere, saltare sbarre, inoltrarci sullo sterrato ampio e largo e su sentieri piccoli od appena accennati. La bellezza di questa tappa sta dunque nella sua varietà sia di percorsi che di paesaggi. E allora partiamo! Il punto dal quale partire è il palazzo municipale di Nervesa. Gli diamo le spalle e in direzione est, dapprima attraversiamo il semaforo e poi procediamo per circa 0,6 km per poi entrare alla nostra sinistra in prossimità di una apertura a lato della principale. E’ un piccolo ma piacevole sentiero di 0,25 km che finisce all’altezza del Barcone Genio Pontieri, un piccolo monumento che ci ricorda che qui un tempo, ai tempi della grande guerra i ponti venivano fatti con le barche.
Sono luoghi questi pervasi e segnati di ricordi della guerra del 1915-1918. Poco oltre davanti a noi un capitello votivo a far da segnavia. Lì teniamo la sinistra e iniziamo così un tratto asfaltato. Siamo in via 24 maggio. Procediamo così per circa 2,2 km fino a vedere sulla nostra sinistra l’ingresso della Berton. Poco oltre, sempre sulla sinistra, un accesso all’argine. ( E’ consigliabile scendere dalla bicicletta qui.) Saliamo e giriamo a destra percorrendo sull’argine altri 0,4 km. Usciamo quindi sul parcheggio di una pizzeria e fuori dello stesso giriamo a sinistra cominciando a percorrere il grande ponte. Il ponte che attraversa il Piave ci porta verso Ponte della Priula e misura circa 0,45 km.
Appena finito il ponte e poco oltre il cartello che indica l’ingresso nella località di Ponte della Priula prendiamo a destra una stradina che scende verso il Piave. Lì scendiamo in direzione di una sbarra evidenziata altresì da un cippo di cemento.
Oltrepassiamo , facendo uso della nostra abilità, questa sbarra e scendiamo ancora fino a vedere sulla nostra sinistra un piccolo sentiero che si immerge nella vegetazione. Di lì procediamo per 0,2 km ed usciamo sulla tratta principale e lì giriamo a sinistra passando poco oltre, sotto il ponte ferroviario. Stiamo per entrare in uno dei tratti più interessanti della nostra tappa. Occorre fare grande attenzione in questi luoghi perché non è difficile perdersi tra cambi di direzione e sentieri. E’ consigliabile quindi tenere sempre la principale per un tratto di almeno 1,5 km. Giungiamo quindi nei pressi di un’area di sfruttamento della ghiaia del Piave. Sono molti in questi luoghi i siti di escavazione. In prossimità della rete di recinzione noi teniamo la nostra destra costeggiando la rete di recinzione che troveremo sulla nostra sinistra. Procediamo di lì per 1,5 km fino al bivio .Lì giriamo a destra cominciando ad immergersi su un sentiero più piccolo e pieno di vegetazione. Procediamo di qui per altri 0,5 km fino a giungere, alla fine della strada in una immensa distesa verde, in stagione coltivata ad erba medica e frequentata da imponenti greggi.
Al limitare della stessa si può riprendere contatto con il letto del fiume. Di qui invertiamo la marcia, attraversiamo nuovamente la distesa verde e andiamo a riprendere il punto da cui siamo usciti. Riprendiamo la stradina in mezzo alla vegetazione e al primo piccolo incrocio teniamo la destra. Procediamo ancora per altri 0,4 km fino a riprendere la principale. Lì teniamo la destra, fino al sottopassaggio autostradale. Lì rivediamo un Piave potente e blu, decisamente blu. (abbiamo percorso altri 0,9 km ) .Passiamo sotto il ponte dell’autostrada … e continuiamo a pedalare su un terreno molto ghiaioso . Passiamo sotto un piccolo viadotto. La nostra pedalata continua per 1,0 km, in un terreno non facile data la contemporanea presenza di ciotoli molto grossi e quindi difficile da aggredire su due ruote e da alcune buche improvvise. Ma ne vale la pena, le “grave” in queste zone sono davvero selvagge e ricche di animali. Non è per niente difficile imbattersi in timorosi fagiani e veloci, velocissime lepri che qui trovano il loro habitat più interessante. Giunti quindi all’incrocio che segue, teniamo la nostra sinistra.
Inizia da qui un tratto di sterrato molto dolce e piacevole, una vera e propria immersione in infinite distese di vigneti. Così per 1,5 km (l’ultimo tratto è in asfalto).Giungiamo quindi in prossimità di un “parchetto” davvero piacevole e per alcuni aspetti anche curioso.
Giurerei di aver visto qui uno scoiattolo … ma .. che strano ‘sto posto!! Subito dopo all’incrocio giriamo a sinistra e poco oltre allo stop, di nuovo a sinistra. Pedaliamo per altri 0,2 km e subito giù a destra in via Prese. Ci stiamo dirigendo verso la frazione di San Michele del Piave. Avanti sempre dritti per 0,4 km fino ad una rotonda dominata alla nostra destra da una bella trattoria, la Trattoria al Borgo. Proseguiamo dritti su Via Piave per altri 0,9 km fino a giungere all’incrocio con Via Giuseppe Garibaldi ( sullo sfondo la parrocchiale di San Michele di Piave con la sua grande cupola : unica da queste parti.) Facciamo altri 0,2 km e siamo nei pressi della Chiesa.
Riprendiamo il nostro viaggio! Poco dopo la chiesa sulla nostra destra entriamo in “ Borgo Chiesa”.
Facciamo tutto il borgo e alla fine dello stesso entriamo a destra in Via Torresani. Finita via Torresani entriamo a sinistra in via Cal San Michele. Andiamo avanti per circa 1,3 km sino a uno snodo, una rotonda. Noi lì andiamo dritti scendendo. (siamo in via Vendrame). Procediamo sulla principale per 2,0 km fino a giungere dritti dritti sulla Piazza Centrale di Cimadolmo, piazza dominata dalla parrocchiale e da un monumento.
All'incrocio teniamo la destra e facciamo circa 100 mestri sulla provinciale e poi ancora a destra, altri 70 metri e ancora a destra. Avanti ancora 150 metri e quindi ecco lo stradone. Lì teniamo la destra, facciamo circa 70 metri e giriamo a sinistra sulla stradina in corrispondenza dell’indicazione “ Trattoria alla Botte”. Procediamo per circa 700 metri ( abbiamo superato la trattoria). Passiamo sotto il ponte.
Appena superato il ponte teniamo la nostra destra sullo sterrato costeggiando a questo punto la provinciale per circa 0,3 km fino a salire girando a destra sulla strada. Stiamo per affrontare l’attraversamento dalla sinistra alla destra Piave: in mezzo le Grave di Papadopoli. Due ponti da affrontare per due “ rami del fiume”.Così per 5,0 km. Fino a giungere all’incrocio con via Spartaco Lantini ove gireremo a sinistra. Stiamo per entrare nella località Salettuol ( siamo nel territorio di Maserada sul Piave). Procediamo per altri 0,5 km fino a giungere nei pressi di un’area monumentale dedicata alla Prima Guerra Mondiale.
Invertiamo quindi la nostra marcia ed entriamo a destra fino a raggiungere la chiesetta di Salettuol. Qui si chiude la nostra tappa!
PER SAPERNE DI PIU'
SAN MICHELE DI PIAVE La frazione di San Michele di Piave dista quasi 2 chilometri dal comune di Cimadolmo cui essa appartiene. Poco più di mille abitanti e tanta tranquillità … direi! Siamo a 38 metri sul livello del mare e quello che ha colpito la mia macchina fotografica è la lentezza, il riposo che in particolare il suo borgo storico, poco di là dalla chiesa, mette.
LA CHIESA DI SAN MICHELE ( ARCANGELO) DI PIAVE
“Fioriscono storie di tutti i tipi sulle sponde del Piave. Storie di gente tenace e paziente al pari dell’acqua del fiume che, nonostante gli ostacoli, sa sempre trovare la propria strada.”
Storie come quella che ha inizio a San Michele di Piave quasi mille anni fa, con la costruzione di una chiesa dedicata al santo patrono, san Michele Arcangelo, particolarmente amato in questi luoghi. Della piccola chiesa originaria, non si sa molto: nel 1580 risulta possedere un fonte battesimale, mentre nel 1592 la ritroviamo “descoverta”, secondo le parole del vescovo Francesco Cornaro, e bisognosa di riparazioni. Benché a metà del Settecento venga definita “di struttura passabile”, quasi un secolo dopo al suo posto ne viene edificata un’altra, su progetto di Antonio Zanchetta: più ampia e impreziosita da affreschi del bellunese Giovanni De Min, è composta da un’aula circolare centrale e da un coro a pianta quadrata, e si merita nel 1885 la consacrazione a parrocchia indipendente. Tutto sembra procedere per il meglio, ma la Storia incombe: quando sul cielo d’Italia si addensano le nubi, e soprattutto gli aerei, della prima guerra mondiale, della bella chiesa di San Michele non restano che macerie. Al termine del conflitto la situazione è difficile, il paese devastato e la povertà estrema. Dedicarsi all’architettura potrebbe sembrare l’ultima delle priorità, e invece ecco emergere il carattere delle genti del Piave, determinate a stringere i denti e difendere il proprio luogo di culto così come San Michele arcangelo difese la fede cacciando il Male: non solo si decide di riedificare la chiesa distrutta, ma lo si vuol fare in grande, senza lesinare. Del progetto viene incaricato l’architetto Luigi Candiani e i lavori iniziano già nel 1922. Candiani ha le idee chiare: il suo sarà un tributo alla classicità, con citazioni ben distribuite, nel migliore stile eclettico. Fino ad allora la critica in architettura aveva sempre attribuito alla pianta centrale connotati pagani, e infatti sono pochi gli edifici di culto progettati secondo questo disegno. Negli anni Venti del Novecento si sta però affermando la cultura fascista, con l’esaltazione del razionalismo da una parte, e la riscoperta della romanità dall’altra. Ecco quindi che la “celebrazione delle rigorose forme del classico” diviene un valore, e i richiami ad architetture storiche sono ben accetti. Riprendendo quindi la pianta dell’edificio precedente, con l’aula cilindrica e il coro senza abside che richiamano la cappella vecchia di San Lorenzo disegnata da Brunelleschi a Firenze, Candiani dà vita a una fabbrica ad aula circolare, con quattro cappelle laterali e un presbiterio rettangolare rialzato. All’interno, in tempi che potremmo definire record e che gli valsero più di una critica per una certa mancanza di accuratezza nel risultato finale, il pittore Carlo Donati realizza un ciclo di pitture a secco che rappresentano le vicende di San Michele ed episodi della vita di Cristo; accanto a questi si trovano poi belle statue dei quattro Evangelisti, affreschi a impreziosire le colonne, una pregevole tavola lignea recentemente attribuita a El Greco e un’antica acquasantiera, sopravvissuta alla distruzione della chiesa precedente, e probabilmente opera di maestranze venete dei primi del Cinquecento. L’accesso avviene attraverso un pronao tetrastilo con timpano apicale, che si rifà palesemente alla più antica chiesa cristiana d’Italia e di Roma, quel Pantheon che è anche l’edificio religioso a pianta centrale per antonomasia (e non per caso, essendo nato come tempio pagano, poi convertito a chiesa cattolica). E, forse proprio come tributo al Pantheon, Candiani decide di sostituire il tetto a cilindro schiacciato dell’edificio precedente con una grande cupola a tutto sesto, tanto caratteristica da diventare negli anni l’elemento distintivo della chiesa. Il “cupolone”, come quello di San Pietro, si rende riconoscibile fin da lontano, unico nel paesaggio di campi e campanili, identificando per estensione tutto il paese e guidando chi vi si avvicina. Un po’ come pare facesse, in tempi remoti, la lanterna posta sulla sua sommità, che univa alla funzione di illuminare l’interno della cupola quella di guidare quanti navigavano il fiume di notte. Non c’è che dire: la chiesa di San Michele di Piave è unica!
LE GRAVE DI PAPADOPOLI
Grave di Papadopoli è il nome di un'isoletta sassosa (grave significa "ghiaie") lambita dal Piave e compresa nei comuni di Maserada, Cimadolmo e,in minima parte, Spresiano. Attualmente è coltivata a vigneti. Durante la prima guerra mondiale, dopo la disfatta di Caporetto e l'arrivo degli Austriaci sul Piave, venne considerata terra di nessuno, ovvero un lembo di terra che faceva da cuscinetto tra il fronte italiano ed austriaco. Il 15 giugno del 1918 gli Austriaci attaccavano e superavano le Grave di Papadopoli. Gli italiani,che avevano disposto una mitragliatrice ogni 500 metri furono sommersi dalle granate nemiche e si ritirarono a circa due chilometri dal Piave, verso Maserada, su una seconda linea già preparata da tempo, per poi riprendere le posizioni di partenza quando l'attacco austriaco si esaurì ("Battaglia del solstizio", 15-23 giugno). Durante la battaglia venne fatto uso di gas tossici. Esistevano allora due metodi per salvarsi in tempo dal gas ed indossare le maschere. Davanti alle trincee venivano appesi a dei fili dei vasi di latta vuoti (di solito piccoli contenitori di conserva od altro): quando i vasi iniziavano a scuotersi rumorosamente, di solito era il gas che arrivava. Altre volte venivano tenute delle anatre od oche, che erano le prime a crollare a terra all'arrivo del gas letale. Il metodo veniva usato sin dalle battaglie dell'Isonzo, anche se a Caporetto 3000 soldati italiani morirono in pochi attimi in una grotta, perché non fecero in tempo ad indossare le maschere. A fine ottobre del 1918, le truppe italiane della VIII armata, sostenute da rinforzi inglesi, superavano d'impeto le grave e, nonostante il Piave in piena avesse travolto diverse passerelle usate per il passaggio, avanzarono di là dal fiume travolgendo le truppe austriache. Iniziava così lo sfondamento del fronte austriaco che in pochi giorni portava al collasso dell'Austria e alla fine dell'Impero Austriaco. A Tezze di Piave, vicino alla chiesa del paese, si trova il cimitero di guerra inglese, che raccoglie i resti di molti giovani soldati che negli ultimi giorni dell'ottobre del 1918 combatterono e morirono a fianco delle truppe italiane. A Salettuol, vicino all'argine del Piave (appena dopo il ponte sul fiume) si trova il monumento ai soldati inglesi, costruito a ricordo degli inglesi che combatterono con gli italiani, in quella zona. Alcuni anni fa nella zona delle grave furono ritrovati i resti di un giovane soldato cecoslovacco, sepolto poi nel tempio di Ponte della Priula. Dal materiale ritrovato (scritti ed altro) non fu possibile risalire all'identità del giovane e sfortunato combattente.