LA TREVISO OSTIGLIA
DA PIOMBINO DESE A CAMPOSAMPIERO
Lunghezza: 25 km
Punti di riferimento: Piombino Dese – Ostiglia – Loreggia – Camposampiero – Rustega – Ronchi
La quarta stazione ci porterà a Camposampiero. E noi partiamo da Piombino Dese, esattamente dal piazzale della Chiesa Parrocchiale.
Più o meno di fronte alla parrocchiale, vediamo un piccolo sottopasso (dando le spalle alla parrocchiale in direzione sud). E’ via Regina Cornaro. Scendiamo per circa 400 metri e quindi ancora dritti in via Marconi per altri 100 metri. Ecco ora a sinistra l’ingresso per l’Ostiglia
E da qui cominciamo a pedalare di nuovo sulla Treviso-Ostiglia. Circa 400 metri dopo i segnali di una brutta storia, quella dei bombardamenti che questa importante via di comunicazione strategica e militare subì in più punti. Le fosse che qua e là vediamo ci raccontano di questa storia.
Andiamo ancora avanti per altri 600 metri. Ora attraversiamo via Ronchi.
Poco oltre l’attraversamento da un ponte del fiume Marzenego, il “Flumen Mestre” che si butta in mare nei pressi del parco di San Giuliano.
Altri 100 metri e abbandoniamo l’Ostiglia per andare a destra. Circa 600 metri dopo incrociamo la provinciale e la attraversiamo. Siamo in località San Luigi.
L’ORATORIO DI SAN LUIGI IN LOREGGIA
Diamo le spalle all’oratorio e andiamo in direzione sud su via Boscalto Est per 100 metri. Ora attraversiamo la strada e proseguiamo a sud per circa 250 metri. Stiamo per rientrare in Ostiglia. Ingresso che avremo sulla nostra sinistra. Fatti altri 300 metri attraversiamo via Malfattini. Fatti altri 700 metri di Ostiglia usciamo a destra in via Tolomei. Poco oltre facciamo il sottopasso e proseguiamo dritti per 600 metri. Alla rotonda teniamo la direzione ovest e proseguiamo per altri 200 metri. Ora teniamo la destra in via Jappelli Giuseppe. Di lì avanti per altri 250 metri ed eccoci al cancello di ingresso del parco comunale la Risaretta.
IL PARCO COMUNALE LA RISARETTA
Usciamo ora dal parco…
Teniamo la sinistra in via dei Tigli per 100 metri e quindi a destra in via degli Alpini sino ad uscire a sinistra ora in via Verdi. Fatti circa 200 metri siamo in pieno centro a Loreggia.
LOREGGIA, I FIUMI E LA VIA AURELIA
Il territorio di Loreggia è attraversato da due fiumi, il Muson dei Sassi e il Muson Vecchio. Il primo è un torrente artificiale, creato nel XVII secolo della Repubblica di Venezia. Esso attraversa tutto il paese ed è il responsabile delle alluvioni avvenute nel 1998 e nel 2009. Il Muson Vecchio, è un altro fiume che attraversa Loreggia nei pressi di Camposampiero e passa per la frazione di Loreggiola. Il paese è citato in un diploma del 972 dell'imperatore Ottone I. Dal XII al XIV secolo fu conteso tra Padova e Treviso. Il toponimo, citato per la prima volta in un documento del 972, deriva dal nome latino della via Aurelia che attraversa il centro abitato. Prima dell'arrivo di Venezia responsabile della vita civile era il "marigo" o "degan" (decano), eletto dal consiglio degli anziani che si riuniva probabilmente in chiesa, dopo le funzioni della domenica, per occuparsi dei problemi della comunità, riscuotere i tributi e all'occorrenza fornire al "signore" un certo numero di soldati. Il dominio di Venezia portò in tutta la zona, anni di pace e di relativo benessere, interrotti solo dalla lunga e sanguinosa guerra che la serenissima dovette sostenere contro i collegati della Lega di Cambrai. L'annessione del Veneto all'Italia non aveva portato quei risultati economici che i patrioti avevano auspicato, anzi la situazione si era aggravata per le nuove tasse imposte da Roma, come quella sul macinato, sul sale, sul bestiame, sulla ricchezza mobile, sui fittavoli e così via. La situazione interna si era fatta pesante anche per una congiuntura mondiale che vedeva la riduzione del prezzo del grano, del riso, del bestiame, così che la vita nelle campagne era diventata sempre più difficile, anche per la speculazione dei latifondisti e degli usurai. A Loreggia, oltre a ciò, si dovettero affrontare altri grossi problemi, come le condizioni ambientali, le case malsane, l'analfabetismo, la situazione sanitaria e le condizioni socio-economiche, che diedero origine, come tutto il Veneto, al triste fenomeno dell'emigrazione. Questa si manifestò nella sua fase più acuta tra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, costringendo migliaia di persone ad abbandonare tutto, cose ed affetti, e affrontare l'ignoto in terre lontane. “
Siamo nei pressi dell’incrocio fra l’antica via Aurelia e via Verdi. Proprio qui si trova la parrocchiale.
LA CHIESA PARROCCHIALE DI LOREGGGIA
La prima testimonianza dell'esistenza di un luogo di culto a Loreggia risale al 1152; nel 1190 la pieve risultava intitolata a santa Maria. La chiesa, caratterizzata dalla presenza di divisori nel mezzo della navata per separare gli uomini dalle donne, fu consacrata nel 1437 dal vescovo di Treviso. L'edificio fu demolito all'inizio del XVII secolo per far posto alla nuova parrocchiale, costruita nel 1625. Nel 1727 la chiesa fu profondamente trasformata e ampliata, ribaltandone di 180° l'orientamento. I lavori proseguirono nei decenni seguenti: nel 1736 fu sopraelevato il campanile, nel 1752 fu posato il nuovo pavimento marmoreo e nel 1755 fu collocato l'altare maggiore barocco; nel 1777 il luogo di culto fu consacrato dal vescovo di Treviso Paolo Francesco Giustinian e intitolato alla Purificazione della Beata Vergine Maria.
Vista la chiesa andiamo in direzione sud per altri 400 metri. Sulla nostra sinistra ecco Villa Wollemborg.
VILLA WOLLEMBORG
Questa villa ha le sue origini nel Quattrocento quando la famiglia Polcastro acquista i terreni sui quali poi nel secolo successivo comincia a sorgere la villa padronale che resta in base ai dati catastali inalterata fino all'Ottocento quando lo Jappelli cura la realizzazione di un grande parco intorno alla villa che valorizza un edificio di per sé piuttosto monotono. La villa ha oggi una forma a parallelepipedo con facciata asimmetrica, nella quale è facile riconoscere la facciata originale simmetrica a sette assi e il successivo ampliamento a quattro assi verso il parco. Una grossa barchessa a nord della villa è rimasta a se stante ed ospita una mostra di antiquariato. La villa nel 1870 passò di proprietà al senatore Leone Wollemborg di una famiglia originaria di Francoforte.
Lasciamo Villa Wollemborg e dirigiamoci in direzione sud sulla principale per altri 100 metri. Alla rotonda proseguiamo dritti per altri 250 metri e quindi andiamo a sinistra in via Rana. Fatti altri 500 metri riprendiamo a destra il corso dell’Ostiglia.
Si pedala per circa 1 km sino al ponte sul Muson.
Ma di quale Muson stiamo parlando?
IL MUSON DEI SASSI
È un canale artificiale realizzato nel Seicento per deviare le acque del Musone nel Brenta. Il suo corso inizia da Castelfranco Veneto e procede, pressoché rettilineo, verso sud. Attraversa i comuni di Resana, Loreggia, Camposampiero, San Giorgio delle Pertiche, Borgoricco, Campodarsego, Cadoneghe e Vigodarzere. Sfocia nel Brenta tra Vigodarzere e Castagnara alle porte di Padova.
Appena finito il ponte teniamo la sinistra e quindi scendiamo sulla stradina a destra. Circa 500 metri oltre passeremo sopra il Muson Vecchio e poco oltre giungiamo, finita la siepe a Camposampiero.
Proseguiamo ora dritti costeggiando la linea ferroviaria e dopo circa 200 metri alla nostra sinistra ecco l’imponente complesso dei Santuari Antoniani.
I SANTUARI ANTONIANI DI CAMPOSAMPIERO
Si tratta di un imponente complesso composto dal Santuario della Visione, dal convento dei frati, dal convento delle clarisse e dalla Chiesetta del Noce.
Il Santuario della Visione
Il santuario di S. Giovanni Battista e Antonio o della Visione sorge sul luogo della primitiva chiesa di s. Giovanni, eretta in epoca antecedente al castello dei conti Tiso, come dimostra la sua collocazione al di fuori delle mura. Più tardi diventerà la cappella dei castellani. Attorno ad essa si formò il convento che ospitò s. Antonio. Ma il secolo successivo, a seguito delle aspre lotte tra i Camposampiero e i Carraresi per il possesso del castello, i francescani lasciarono questo luogo. La chiesa in quesitone non è dunque quella primitiva, e fu ricostruita insieme al vicino convento dal nobile Gregorio Callegari da Camposampiero negli anni 1426-31. Vi avevano sede, con altare e tomba, le confraternite di S. Antonio, del Nome di Gesù, dell’Immacolata e di s. Francesco. Gli altari erano dieci, alcuni provvisti di argenteria di pregio e di tele, purtroppo andate smarrite, di artisti quali Francesco Vecellio, Bartolomeo Montagna, Marcello Fogolino, il veneziano Antonio Boselli. Saccheggiata e deteriorata in seguito alle soppressioni del 1767 ad opera della Repubblica di Venezia che impose ai frati l’abbandono, il complesso cadde in rovina e la chiesa venne pure in parte demolita nel 1798 dal vandalismo francese. Dopo il passaggio dei diritti di proprietà alla famiglia Allegri, subentrata ai Camposampiero, e quindi al Comune di Camposampiero, che li acquisisce nel 1854, i frati si riappropriano di questi gloriosi luoghi antoniani e fanno ritorno a Camposampiero il 16 ottobre1895.
La Chiesa, oramai assai decadente e ritenuta troppo angusta, venne demolita per lasciar posto a un nuovo edificio di culto, di cui fu celebrata l’inaugurazione il 13 giugno 1909. Ne ideò il progetto e diresse l’esecuzione dei lavori l’architetto Augusto Zardo. In essa è custodita la Cella nella quale il Santo di Padova ebbe la memoranda Apparizione di Gesù Bambino.
Fa bella mostra di sé accanto alla Chiesa la possente mole del campanile (1932) ideato dall’architetto Antonio Beni.
Il Convento dei Frati
Il 17 ottobre 1895, nel settimo centenario della nascita di s. Antonio, si è riaperto solennemente a Camposampiero dopo travagliate vicende il Convento dei Frati Minori Conventuali. All’arrivo i frati trovarono una situazione di degrado che riguardava allora sia il convento che la chiesa, fatiscente e troppo piccola per accogliere i fedeli che accorrevano sui luoghi del Santo sempre più numerosi. Per la chiesa nacque l’idea di abbatterla e di progettarne un’altra più capiente. Essa sorgerà a partire dal 1906 e verrà inaugurata nel 1909.
Nel 1907 era poi rinata la Provincia Patavina dei Frati Minori Conventuali, cioè la regione religiosa in cui si situavano i conventi veneti. Essa si era infatti appena staccata e resa autonoma dalla Provincia della Dalmazia dei Frati Minori Conventuali, a cui era affiliata in quanto parte dell’impero austro-ungarico. I luoghi antoniani di Camposampiero, Arcella e Padova furono i primi tre luoghi storici a segnare l’avvio della Provincia religiosa del Santo.
Il primo pensiero del primo Ministro provinciale della Provincia patavina, p. Antonio Bolognini, che era stato Rettore dei Santuari Antoniani dal 1901 al 1908, fu quindi sia quello di costruire a Camposampiero una nuova chiesa, come di restaurare il convento dei frati. Si andò poi oltre sognando la possibilità di aprire un Seminario per la formazione umana, cristiana e vocazionale di chi iniziava un cammino al seguito di s. Francesco.
Per accogliere gli aspiranti fratini fu dunque usata parte del convento di Camposampiero. Nel gennaio del 1908 si apriva qui il nuovo Seminario Minore. Passata la crisi della grande guerra del 1915-1918 si progetterà in seguito anche un ampliamento portato a termine nel 1923. Con la seconda guerra mondiale il convento dei frati di Camposampiero subisce devastazioni e bombardamenti. Il 20 febbraio del 1945 una grave incursione aerea colpisce il convento e la zona circostante. Viene centrata in pieno l’ala ovest del convento, la portineria e la biblioteca vengono gravemente danneggiate. Durante uno di questi bombardamenti muoiono anche tre suore francescane missionarie che prestano la loro opera nel Seminario.
Gli anni successivi sono di alacre ricostruzione che si completa agli inizi degli anni ’60. Il Convento e il Seminario vivono anni di notevole fioritura e intenso lavoro apostolico. A partire dalla fine degli anni ’70 inizia un ripensamento della proposta vocazionale allora rivolta soprattutto ai ragazzi che frequentano il Seminario Minore, quali aspiranti alla consacrazione religiosa. In questo contesto le Suore Francescane Missionarie di Assisi maturano la decisione di lasciare Camposampiero (1990).
Nel 1994, dopo anni gloriosi al servizio della formazione dei fratini la Provincia Patavina dei Frati Minori Conventuali chiude il Seminario Minore di Camposampiero
La riflessione sull’utilizzo degli spazi rimasti ha portato alla ristrutturazione degli ambienti dell’ex Seminario. Questi hanno lasciato il posto all’ “Oasi Giovani” per l’animazione vocazionale e la pastorale giovanile. Si tratta di uno spazio che propone iniziative aperte a tutti coloro che vogliono interrogarsi sulla fede e curare la propria formazione cristiana, condividendo questo cammino di ricerca insieme con altri nello spirito di s. Francesco. In particolare le attività sono rivolte agli adolescenti e ai giovani e si accolgono, con possibilità di autogestione, gruppi organizzati e singole persone per giornate di incontro e formazione.
All’interno del Convento si può visitare poi il semplice, lineare ed elegante chiostro.
Lungo le pareti di quest’ultimo si conservano numerosi cimeli dell’antica chiesa e del convento medievale e rinascimentale: lapidi, colonne, capitelli, portali, iscrizioni su marmo e pietra, pietre tombali.
Tenendo davanti a noi la grande chiesa, guardiamo alla nostra sinistra. Si apre un viale alberato in fondo al quale si giunge ad uno dei luoghi più significativi della zona: la chiesetta del Noce.
La chiesetta del noce
Usciti dal Santuario della Visione, un viale alberato conduce al vicino Santuario del Noce, così chiamato perché sul posto sorgeva il noce caro a s. Antonio.
L’elegante protiro fu aggiunto agli inizi del sec. XX, quando la chiesetta venne restaurata e la snella facciata abbellita con tre guglie (la centrale accoglie una statua del Santo). Di epoca più antica il campaniletto a vela. La chiesetta consta di tre corpi architettonici. Il primo, m. 9x6, fu fatto erigere nel 1432 dalla comunità dei frati unitamente al nobiluomo Gregorio Callegari, per ricordare un luogo santificato dalla presenza del Taumaturgo. La seconda sezione dell’oratorio venne aggiunta una ventina-trentina d’anni dopo, e misura m. 6x6. Solo nel 1865 fu costruita, in forme assai modeste, l’abside che fungeva anche da sacrestia.
Le opere all’interno del santuario del Noce
Entrando nella chiesetta del Noce il visitatore è immediatamente colpito dagli affreschi che ricoprono le campate del santuario, opera di Girolamo Tessari, detto «dal Santo» perché aveva la sua abitazione presso la Basilica di S. Antonio; nacque in Padova nel 1480 circa, e vi si spense intorno al 1561. Suo maestro fu il padre, Battista, che praticava la pittura. Buon artista, dotato di ottimo mestiere, diligente assimilatore, dipinge «in dialetto padovano». Egli desume atteggiamenti espressivi dal Mantegna, dal giovane Tiziano, da altri «addetti alla pittura» locali. La sua fama si diffuse anche fuori Padova, se fu chiamato ad eseguire affreschi a S. Maria di Castello a Udine.
Quanto al ciclo che ora stiamo per ammirare, si tratta di un’attribuzione, sorretta da forme ed echi del tessuto espressivo confrontati con creazioni certe del maestro padovano. Non essendoci pervenuti documenti, non conosciamo né chi siano stati i committenti del poema pittorico antoniano, né la data di esecuzione. Si può ipotizzare l’anno 1530 circa, e che l’incarico venisse affidato a Girolamo dalla comunità francescana che aveva la cura dell’oratorio.
La vergine, San Girolamo e Sant’Antonio
Accedendo al protiro, lo sguardo va spontaneamente alla lunetta parentesi sopra il portale. Vi sono raffigurati la Vergine con il Bambino, tra s. Girolamo e s. Antonio. Maria stringe ai fianchi il bimbo Gesù, il quale sta ritto, rivolto verso il Taumaturgo; egli prende con la sinistra il giglio offertogli dal Santo, che è munito d’un libro chiuso. La Vergine tiene gli occhi rivolti a terra. Accanto a Lei, s. Girolamo, immerso nella lettura d’una solenne Bibbia, sembra estraneo alla scena.
Analizzeremo tutti questi affreschi utilizzando uno schema che ci permetta di ammirarli e capirli tutti.
Di seguito:
A) Affreschi della prima campata
1. Miracolo del cavaliere caduto.
Caduto da cavallo, mentre si raccomanda al Santo, il cavaliere viene liberato da pericoli mortali.
2. Il calice di cristallo.
Il calice di vetro che resta intatto pur gettato dall’alto converte l’eretico, provando la verità della fede.
3. Miracolo del piede riattaccato
Mentre miracolosamente guarisce la grave ferita, il Santo c’insegna ad avere una fede inconcussa.
4. S. Antonio predica ai pesci
Quelle orecchie attente che gli eretici si rifiutavano di offrire ai sacri sermoni, qui i pesci mostrano di porgere.
5. I cibi avvelenati
Un segno di croce tracciato sui cibi del Santo, rende inefficace l’animale velenoso.
6. Il neonato che parla
Il Santo libera una moglie dal sospetto di tradimento, ordinando all’infante d’individuare suo padre.
7. La mula adora l’Eucaristia
Qui un asinello presta culto a quel sacramento che l’eretica empietà nega essere vera presenza di Cristo.
8. Il Santo predica dal noce
Qui, mentre viene seminata la sacra Semente, le messi calpestate dai piedi risorgono più vigorose.
9. Miracolo dell’anello ritrovato
Il Santo ritrova la pietra preziosa che viene restituita al padrone, in seguito a un dono offerto da costui.
10. La predica pentecostale
Mentre il Santo rivolge un sermone a papa Gregorio e ai cardinali, riceve gli appellativi di Martello delle eresie e Arca dell’Alleanza.
B) Affreschi della seconda campata
1. S. Giovanni Battista
2. S. Giuseppe
3. B. Giacomo Ongarello
4. S. Berardo e compagni protomartiri
5. B. Damiano Conti
6. B. Cherubino da Spoleto
7. B. Michele da Milano, s. Giacomo della Marca
s. Giovanni da Capestrano
8. B. Bernardino da Feltre
9. B. Luca da Padova
10. S. Daniele e compagni martiri
11. B. Giacomo da Padova
Il comparto centrale del santuario sembra sia stato abbellito da affreschi contemporaneamente alla prima campata e dalla stessa «ditta» di Girolamo dal Santo, maestro cioè e collaboratori. Alla base delle 11 lunette corre una fascia decorativa, in cui vediamo alternarsi un motivo vegetale al viso d’un angioletto. Le lunette: 8 sono abitate da una sola figura, le tre rimanenti da 3, 5, 7, immagini rispettivamente. Si tratta di santi o beati ritratti a mezzo busto. Nessuna figura femminile. Gran parte presentano l’emblema del libro, la Bibbia, segno di sapienza
Visitato questo luogo davvero carico di spiritualità, invertiamo la nostra rotta e ripercorriamo il viale di tigli e noci sino ad uscire prima sul piazzale della chiesa e poi sulla strada. Lì giriamo a sinistra e quindi subito a destra Facciamo 50 metri e quindi a sinistra. Ecco la piazza con il Municipio e la torre.
CAMPOSAMPIERO
Origini del nome
Nonostante la presenza romana sia stata molto forte, il toponimo Camposampiero è certamente di origine medievale. Il primo documento scritto a riportarlo è un atto notarile del 15 giugno 1117, ma si tratta di un riferimento indiretto: si cita infatti un Folco da Camposampiero, membro dell'omonima famiglia di feudatari (che presero il nome dal paese sul quale esercitavano il loro potere). Nel 1152 la bolla Justis fratrum di papa Eugenio III rivolta a Bonifacio (vescovo di Treviso) elenca, tra le altre chiese trevigiane, la plebem de Campo S. Petri cum pertinentiis suis riferendosi in questo caso però alla sola parrocchia di San Pietro. Il primo documento storico conservato nel quale la località viene citata in modo diretto è Italia sacra dell'Ughelli, pubblicato a partire dal 1642, dove si parla appunto di Campus Sancti Petri.
L'origine ed il significato del nome “Camposampiero” sono da ricercarsi nell'etimologia dei termini stessi che lo costituiscono, cioè campo e San Piero; e nonostante questa affermazione non sia supportata da documenti, ad oggi viene ritenuta la più credibile. È probabile che il primo, dal latino campus, fosse stato attribuito alla località durante la rinascita dell'anno Mille: l'abbattimento dei boschi che infestavano gran parte del Padovano permise infatti di ricavare nuovi spazi coltivabili, il termine campus applicata a questa località rifletterebbe quindi le condizione del suolo che da luogo incolto, boschivo e paludoso dopo il 1000 ritorna ad essere appunto campus cioè terreno produttivo. La denominazione Sancti Petri è assunta invece dal titolare della pieve, intitolata appunto a San Pietro, in modo da distinguere il paese da altri vicini come Campodarsego e Campo San Martino. Secondo la tradizione (molto discutibile) l'origine di questa pieve sarebbe da attribuirsi a San Prosdocimo fondatore di un sacello dedicato a San Pietro sulle rive del fiume Vandura.
Storia
Il territorio di Camposampiero in epoca romana fu certamente abitato, questa affermazione è supportata dal fatto che il paese (in quella che è la sua configurazione attuale) era attraversato in direzione verticale dalla via Aurelia nonché posto in vicinanza della via Decumana, oggi Via Desman, che rispettivamente costituivano il Cardo Maximus ed il Decumanum Maximus del graticolato romano. Questo fatto è confermato dal ritrovamento di numerosi ruderi appunto di epoca romana quali medaglie, lapidi, pignatte piene di carbone e ossa frantumate. Ad oggi non è invece possibile affermare se l'area fosse abitata anche in periodi precedenti all'epoca romana.
Non esiste praticamente nessun documento che fornisca notizie sugli eventi che si verificarono a Camposampiero nel corso dell'Alto Medioevo, è però possibile avere un'idea generale delle vicende di questo periodo analizzando ciò che avvenne nella regione e nelle città circostanti ed in particolare nella vicina città di Padova. È certo che Alarico I, con i Visigoti verso il 400 e Radagaiso e con gli Svevi, Burgundi e Alani verso il 405, devastarono il Veneto raggiungendo le mura di Padova e non essendo riusciti ad espugnarla attaccarono i paesi limitrofi. Alarico discese nuovamente in Italia nel 409 riuscendo questa volta ad entrare a Padova saccheggiandola.
Sempre Padova venne poi nuovamente saccheggiata nel 452 dalla mano degli Unni di Attila e vista la posizione di Camposampiero essi probabilmente si trovarono nella necessità di attraversane il territorio nell'andata e nel ritorno, per questo è facile pensare anche in questo caso i due centri abitati subirono lo stesso destino. È noto inoltre che alla voce dell'arrivo degli Unni molti abitanti della terraferma spaventati dal continuo riapparire dei barbari cercarono rifugio nelle paludi, dove avrebbero poi fondato Venezia.
Con la fine dell'impero romano (476) il paese seguì il destino dell'intera Italia, conquistata dagli Eruli di Odoacre prima e dai Goti di Teodorico poi (489).
Sessant'anni dopo questi ultimi vennero sopraffatti dai Bizantini di Narsete, a loro volta sconfitti dai Longobardi di Alboino nel 568. La città di Padova che nel conflitto restò fedele ai bizantini opponendosi all'avanzata dei Longobardi, venne punita con la diminuzione del suo territorio e Camposampiero assieme e Vigodarzere e Piove di Sacco venne depredata ed occupata dai duchi di Treviso (il titolo di duca con i Longobardi corrispondeva allo status di governatore di una provincia). È noto inoltre che nel 589 si verificò la storica alluvione della Rotta della Cucca, in cui l'Adige, il Bacchiglione ed il Brenta esondarono, allagando le campagne circostanti provocando così una grave carestia alla quale seguì l'arrivo della peste. La dominazione Longobarda ebbe termine circa duecento anni dopo nel 774.
A questo punto due terzi del territorio italiano passarono sotto il controllo di Carlo Magno il quale instaurò il regime feudale che come si vedrà sarà un'istituzione fondamentale per la storia di Camposampiero, il paese infatti sarà capoluogo di un feudo e sede di un feudatario. Anche il dominio dei carolingi giunse al termine (nell'888) e ad esso seguì l'istituzione del regno d'Italia con a capo Berengario il quale venne funestato nell'889 dall'arrivo degli Ungheri. Anche quest'evento, con il quale si chiuse il ciclo delle invasioni barbariche, è cruciale per la storia di Camposampiero, gli Ungheri infatti inizialmente sconfitti da Berengario fuggirono, ma nei pressi di Fontaniva vennero bloccati da una piena del fiume Brenta, in questa situazione l'esercito sconfitto trovandosi in una morsa costituita dal fiume da una parte e dall'esercito di Berengario al loro inseguimento dall'altra, con una mossa disperata attaccarono gli inseguitori riuscendo ad aprirsi un varco fra di essi, assalendoli così alle spalle facendone massacro; i vincitori poi, attaccarono e diedero alle fiamme la città di Padova. Gli Ungheri ridiscesero più volte in Italia nel corso dei successivi vent'anni inducendo i feudatari a costruire mura e castelli, ed a questo costume si uniformarono successivamente pure i feudatari di Camposampiero. Alla morte di Ottone III (1002) marchesi e conti elessero re d'Italia Arduino d'Ivrea ma a tale decisione si impose il nuovo imperatore Enrico II il quale scese per due volte in Italia per rivendicare i suoi diritti. Fra coloro che accompagnarono l'imperatore, un'antica tradizione ricorda un certo Tiso che dall'imperatore stesso ottenne poi il feudo di Camposampiero dal quale la famiglia prese poi il nome. Proprio ai Tiso, ai quali è indissolubilmente legata la storia del paese, si deve l'edificazione del castello.
Dal 1405 Camposampiero passò sotto la dominazione della Repubblica di Venezia e ne seguì le sorti fino al 1797.
La peste del 1624
Gli abitanti di Camposampiero erano 1100 alla visita del vescovo Vincenzo Giustiniani nel 1625. La peste del 1631 fece circa 500 vittime. Alla vista del vescovo Marco Morosini del 1641 gli abitanti risultarono 750.
Usciamo ora dalla piazza tenendo la direzione ovest e prendiamo la statale. Transitiamo nella parte centrale della borgata e più avanti, circa 300 metri dopo giriamo a sinistra in via Piave. Ora avanti per altri 500 metri sino ad aggirare entrando a sinistra, il parco della libertà. Pedaliamo per altri 250 metri e quindi teniamo la destra. Siamo in via Tiso. Poco oltre davanti a noi il corso del Muson Vecchio. Giù dal ponte teniamo la sinistra ed entriamo in via Cima, costeggiando il Muson.
IL MUSON VECCHIO
Nasce in comune di San Martino di Lupari, attraversa il territorio di Loreggia e, a Camposampiero, incrocia il Muson dei Sassi tramite un ponte-canale. Prosegue dunque verso est sino a Mirano, dove le sue acque sono incanalate (dopo un salto di circa 3 metri tra i bacini di sopra e di sotto) verso il Naviglio del Brenta per mezzo del Taglio Nuovo o Canale di Mirano (7 km). L'appellativo Vecchio risale all'inizio del Seicento: è infatti ciò che resta del corso originale del Muson, radicalmente modificato in seguito alle opere idrauliche intraprese dalla Serenissima. Sino a suddetto secolo il letto del fiume raccoglieva alcune acque da svariate sorgenti che nascevano nelle colline a nord di Asolo. Nel 1612 le acque del Muson Vecchio furono deviate dalle acque di Asolo sino a immettersi nel fiume Brenta tramite un fosso corrispondente all'attuale Muson dei Sassi. I lavori operati dalla Serenissima portarono il Muson Vecchio a sfociare nel Brenta presso Mira. L'originaria foce del fiume era situata presso la laguna. Oggi il corso del fiume è in gran parte canalizzato e scorre in un paesaggio diverso da quello originario, ricco di foreste e paludi.
Il viaggio ora prosegue in via Cime per 1,2 km. Ora a destra in via Guizze San Pietro, oltrepassiamo il ponte sulla statale e quindi giriamo a sinistra. Avanti per altri 300 metri e quindi a destra in via Guizze di Rustega. Avanti 1 km e quindi a sinistra sulla provinciale. Pedalando per 1 km ci ritroveremo a Rustega, una delle frazioni di Camposampiero.
RUSTEGA
Rustega è l'unica frazione del Comune di Camposampiero e dista circa cinque chilometri dal centro, in direzione Est. La omonima parrocchia arcipretale di Santa Maria Assunta della Diocesi di Treviso, conta 1850 abitanti. Secondo uno storico locale Rustega era un feudo del Vescovo di Treviso certificato da una bolla promulgata nel 1152 dal papa Eugenio III. La chiesa era importante, perché era matrice, titolare cioè della fonte battesimale e quindi ebbe per competenza (per altri diversi secoli) anche della pieve (senza fonte battesimale) della vicina parrocchia di Massanzago. Rustega ebbe un ruolo importante nella storia. Aveva un suo piccolo castello, una bastia, che sostenne diverse battaglie, compresa quella del 1383 contro la città di Treviso. Ci fu anche un feudatario che prese il nome dal paese, il più importante fu tale Tiso da Rustega, figlio di Guercio, feudatario di Vigodarzere. Tiso da Rustega aveva ricevuto il piccolo feudo nel 1258 dal principe vescovo di Treviso, Adalberto Ricco, con bolla del papa Alessandro IV come premio perché aveva combattuto contro la potente e terribile famiglia degli Ezzelini da Romano, alleati dell’imperatore del Sacro Romano Impero. Secondo alcuni storici il castello esisteva nell’angolo formato dal fiume Muson e il suo affluente, il piccolo rio Rustega che attraversa il paese. Lo storico scrive che il piccolo castello terminò la sua vita plurisecolare nel 1459 perché Venezia ne ordinò la distruzione.
Prima della chiesa noi teniamo la sinistra in via d. Luigi Moretto. Saliamo a nord per 1,5 km e quindi andiamo a destra in via Zacco per 200 metri e quindi a sinistra in via Soligo per 1,5 km sino a rientrare a destra sulla Treviso-Ostiglia. Facciamo pochi metri e quindi andiamo a destra in via Ronchi. Percorriamo Via Ronchi per 800 metri circa. Eccoci all’incrocio con alla nostra sinistra l’Osteria al Cristo e a destra il capitello.
Andiamo avanti altri 600 metri e quindi a sinistra in via del Santo. Pedaliamo per 1,3 km. Ora un incrocio e alla nostra destra un capitello votivo.