IL MONTELLO - LA "PRESA" XXI
Caratteristiche tecniche del percorso
Lunghezza : 6,4 km
Difficoltà : facile
Altezza di partenza: metri 101 S.L.M.
Altezza massima: metri 186 S.L.M.
Pendenza media: 2,2%
La presa (2,0 km, 1 sul versante sud e uno sul versante nord): è asfaltata ed è in sostanza il tratto iniziale della Dorsale
Montebelluna: il territorio e le acque.
Il territorio di Montebelluna è per la gran parte pianeggiante, con altitudini che variano dai 69 m s.l.m., riscontrabili a sud di San Gaetano, ai 144 m, a nord di Pederiva, la frazione posta più a Nord. Ma a Montebelluna vi sono anche due colline: l'estremità occidentale del Montello (343 m) e il più modesto Capo di Monte (o collina di Montebelluna, o ancora collina di Mercato Vecchio, 199 m). Tra i due rilievi passa un corridoio naturale che, secondo alcuni, rappresenterebbe l'alveo originale del Piave, che originariamente scendeva a sud per andare verso Trevignano e quindi Istrana. La zona è naturalmente povera di corsi d'acqua ma l'approvvigionamento idrico è assicurato, sin dai tempi antichi, da un sistema di canali artificiali derivanti dal Piave. Si tratta in particolare del Canale del Bosco e del Canale di Caerano, e di alcune diramazioni della Brentella di Pederobba.
Il toponimo. Si tratta di composto. Monte- indicherebbe la collina di Mercato Vecchio, ai piedi della quale è sorto l'abitato. Più dibattuta l'origine di -belluna: potrebbe essere in relazione al culto della dea Bellona; o, posticipandone l'origine, si richiamerebbe alla città di Belluno che, nel X secolo, aveva espanso la propria giurisdizione fin oltre il Piave .
Un po’ di storia. Le prime tracce di attività umana risalgono all'età della pietra e del bronzo. La nascita di un vero insediamento si ha però verso il IX secolo a.C. Il suo sviluppo fu favorito dalla strategica posizione geografica all'imboccatura della valle del Piave, collegamento tra la pianura e l'area prealpina. Con il tempo diventerà il più importante centro del Veneto preromano. L'area continua ad essere abitata durante il periodo romano (dalla romanizzazione del Veneto tra il II-I secolo a.C. fino al II secolo d.C.). Montebelluna poi entrerà a fare parte della centuriazione del municipio romano Acelum (Asolo).
L'età medievale e il castello che non c’è più. L'esistenza della pieve di Montebelluna coincide con l'esistenza, abbondantemente documentata a partire dal 1100, di un castello. Del castello, un presidio, affidato a due capitani, sul finire del Cinquecento, rimane solo la descrizione del Bonifacio che riporto di seguito:
La Rocca s'innalzava nel mezzo del Castello di Montebelluna grande e popolato assai; indi, poco discosto, erano due Gironi, l'un detto della Cisterna, e l'altro del Capitano; perché quello ad una bella cisterna era vicino, e in quest'altro il capitano del luogo dimorava: di dentro s'aggirava una spaziosa strada vicina alla muraglia, che con alcune torri era stata assai alta fabbricata: di fuori era un'ampia fossa che abbracciava il Castello, attorno al quale era una lunga strada; poi circondavano per buon spazio le Cerchie, che da un'altra fossa erano attorniate: e avea questo Castello tre porte: l'una dalla Chiesa a questo Santo consacrata, di S. Cristoforo si chiamava; l'altra era detta di sotto dal Girone; e la terza Bagnalasino. (G. Bonifacio, Istoria di Trevigi, p. 187)
Ma dove si sarebbe trovato questo Castello? Il castello avrebbe occupato l’area che va oggi sotto il nome di “Casteller". ( vedi sotto )
La fine di Venezia, Napoleone, l’Austria e il Novecento.
La posizione di centralità dell'area nella circolazione dei beni e delle persone continuò e si rafforzò nel passaggio al Comune moderno di età napoleonica e austriaca. Tale consolidata vocazione sarà all'origine delle prime forme di manifattura e di commercializzazione della calzatura, attività che, seppur presente sin dal Medioevo, si afferma in modo deciso solo nella seconda metà dell'Ottocento. Il trasporto del mercato in pianura (1872) e la conseguente nascita del centro urbano segnano il passaggio alla modernità, dando alla cittadina i suoi tratti ancora riconoscibili (le grandi piazze, gli edifici). Nonostante l'alto tasso di emigrazione, è in questo periodo, tra la seconda metà del XIX secolo e i primi decenni del '900, che la città vive la sua fase più intensa di sviluppo, anche grazie all'arrivo della ferrovia (la tratta Treviso-Montebelluna viene inaugurata il primo aprile 1884). All'inizio del secolo scorso si insediano le prime aziende industriali e già nel 1904 il distretto di Montebelluna occupava il quarto posto in Provincia per potenza. La rapidità dello sviluppo è peraltro confermata dal fatto che, ancora nel 1885, l'unica attività non agricola di una certa rilevanza erano le sette filande di bozzoli che davano lavoro a 140 donne. Alla crescita economica si accompagnarono le prime forme associazionistiche: in particolare la Società Popolare di Mutuo Soccorso, fondata nel 1870. Un paese vitale dunque, come testimonia, almeno in parte, il noto Resoconto Economico-Morale del 1909 nel quale vengono riportate con enfasi le conseguenze dei primi insediamenti industriali e il continuo sviluppo commerciale della città imperniato sul volano mercantile.
L’organizzazione civile amministrativa del territorio e le frazioni. Come si legge nello statuto comunale, di Montebelluna sono riconosciute undici frazioni: Biadene, Busta, Caonada, Contea, Guarda, la Pieve (che è la sede comunale), Mercato Vecchio, Pederiva, Posmon, San Gaetano, Sant'Andrea. Vanno tuttavia fatte delle precisazioni. Storicamente, la comunità di Montebelluna, che si identificava con la pieve di Santa Maria in Colle, era divisa in cinque colmelli, ovvero Posmon, Visnà, Pieve, Guarda e Pederiva (quest'ultima fu in seguito associata a Mercato Vecchio). Busta, Contea, Sant'Andrea e San Gaetano erano località minori dipendenti rispettivamente da Posmon, Visnà e Pieve, mentre Caonada e Biadene avevano una propria autonomia, facendo capo alle rispettive parrocchie. L'espansione urbana del secondo dopoguerra ha portato alla formazione di una grande conurbazione e allo sviluppo di nuove frazioni che ha stravolto questa organizzazione. Visnà e Pieve sono praticamente scomparse, tant'è che la stessa cartellonistica li identifica come un unico quartiere definito "Centro". Anche Posmon e Guarda risultano ormai delle semplici appendici di questo agglomerato, e nel frattempo hanno assunto una propria autonomia Busta, Contea, Sant'Andrea e San Gaetano, un tempo località minori. D'altra parte, anche Mercato Vecchio e Pederiva hanno visto uno sviluppo tale da doverle dividere.
Siamo quindi al centro di Montebelluna, nella centrale Corso Mazzini.
Bici a mano e andando a est prendiamo via XXIV Maggio. Avanti a destra superando la prima rotonda e quindi sempre salendo superiamo dopo circa 900 metri Bocca Cavalla e quindi in discesa lo svincolo e quindi a sinistra in via Feltrina sud per circa 300 metri. Ora andiamo a destra in via Galeazze. Ora, in leggera salita andiamo avanti per altri 300 metri circa. Alla fine della strada davanti a noi ecco Villa Pisani.
VILLA PISANI
A partire dal sesto decennio del '600 Anzolo Correr, grande diplomatico e procuratore di S. Marco, intraprende un' intensissima attività fondiaria a Biadene che culminò con la costruzione di un Palazzo Dominicale il cui assetto ci viene fedelmente restituito dalla mappa dello Spinelli del 1681. L’abitazione, assume, sin dall'inizio, una forte caratterizzazione aristocratica, evidente nello splendore degli interni affrescati . Tale vocazione verrà riaffermata in occasione delle nozze di Isabella Correr e Almorò Pisani, celebrate nella parrocchiale di San Vittore e Santa Lucia adornata, per l'occasione, dal saggio (L'Assunta) del giovane Giambattista Tiepolo. Dopo essere transitato, nel corso del Settecento, per i Grimani e gli Erizzo, il complesso subisce, nel secolo successivo e almeno fino alla metà del Novecento, una serie di consistenti trasformazioni che stravolgono, in parte, l'assetto originario. È in ogni caso significativo constatare come, negli ultimi due secoli, i locali della villa abbiano assunto una funzione sempre più protesa all'accoglienza socio-umanitaria (Croce Rossa veneziana, Società Umanitaria di Milano, Asilo antimalarico, ospedale militare, orfanotrofio, sede di istituzioni benefiche e religiose) favorendo così quello straordinario mix di vocazioni-culturali e sociali che ancora persiste e ne sostiene l'identità.
Teniamo ora la sinistra e andiamo avanti per circa 300 metri. Sulla nostra sinistra il complesso della vecchia chiesa di Biadene.
LA VECCHIA PARROCCHIALE DI BIADENE (il Tiepolo)
E’ la chiesa dei santi Lucia e Vittore. Trattasi di un edificio Settecentesco , costruito dai Pisani e donato alla comunità. L’opera che rende sicuramente interessante questa Chiesa del tardo ‘700 è il primo affresco dell’Assunzione di Maria di Giambattista Tiepolo. Quest’opera giovanile del pittore Veneto, inserita tra le opere degli itinerari Tiepoleschi nei luoghi della devozione, è una delle pochissime opere ancora recluse al pubblico. E' stato ritrovato e riconosciuto nel 1985 da Adriano Mariuz e Giuseppe Pavanello. Si sapeva che esisteva, dato che lo documentava nel 1732 Vincenzo Da Canal, ma era stato erroneamente dato per distrutto dagli studiosi del Tiepolo. L’artista veneziano, allora agli inizi della sua carriera, lo aveva realizzato molto probabilmente nel 1716, come riporta la data tracciata a carbone sull’intonaco della parete sinistra del presbiterio. Lo aveva chiamato ad affrescare la Chiesa, Alvise Pisani, successivamente doge di Venezia. L’affresco del Tiepolo, rappresenta la Vergine Assunta sostenuta da angeli in volo, illuminata dallo Spirito Santo che in forma di colomba distende le sue ali. Non è l’unico affresco di questa bella Chiesa. La volta della navata custodisce infatti un affresco risalente al 1804, di Giambattista Canal: rappresenta l’incoronazione della Vergine e la gloria dei Santi Lucia e Vittore, patroni di Biadene. Biadene in realtà, in origine aveva due chiese: quella ufficiale era sul primo sperone del Montello con il titolo di San Michele Arcangelo, e poi di Santa Lucia. La seconda, era all’incrocio di Cal Trevigiana con la attuale via Garioni. La strada che conduceva alla parrocchiale però si fece sempre di più impervia data l’incuria a cui era sottoposta, per cui la gente cominciò a disertare le funzioni che qui si svolgevano “tradendo” per la più comoda chiesa di San Vigilio in Guarda Alta ( siamo nel 1602). Nel 1621 poi la situazione precipitò quando il parroco venne arrestato e messo in galera per aver tagliato abusivamente alcune querce del suo podere. C’era bisogno di una nuova chiesa: vi provvidero, come detto sopra, i Pisani nel corso del XVIII secolo.
Ora teniamo la destra in salita e facciamo quindi 100 metri ( sulla nostra destra una fontanella d'acqua. Io l'ho ribattezzata " la fontana della pazienza"; l'acqua che viene fuori da qui spesso per i primi tre minuti è sabbiosa, ma poi ... con pazienza, ci si ristora bene! Giriamo ora a sinistra sullo sterrato. Siamo sullo stradone del Bosco.
LO STRADONE DEL BOSCO
Una strada, anzi una stradona, una lunga strada che costeggia il bosco. E' il grande bosco del Montello. Sappiamo che il Montello conservò la sua importanza di bosco per tutto il Medio-Evo, ma solo più tardi, durante il periodo della Repubblica Veneta ricevette particolari cure e attenzioni. La Serenissima infatti ebbe particolarmente a cuore il bosco del Montello e già nel 1471 fece proclamare la famosa legge del “bando” espropriando i margini boschivi dai privati che se ne erano parzialmente impossessati, affidandone la custodia ai Comuni. Il Montello divenne così riserva dell’Arsenale. Nel 1515 i tredici comuni vicini al bosco venivano obbligati a provvedere alla sua custodia. Un bando del 1519 poi ordinava ”la rovina di tutte le fabbriche del Montello”, ovvero la demolizione di tutte le costruzioni erette sul Montello. Contro le pretese di numerosi privati che vantavano diritti di proprietà all’interno del bosco, il 28 Gennaio 1592 il Consiglio dei Dieci ne deliberò la completa assunzione alla proprietà pubblica e la definizione dei confini, con la sola eccezione del Convento dei Certosini, dell’Abbazia di Nervesa e della Chiesa di Giavera.
Nel 1592 furono quindi definiti i confini del bosco attraverso la collocazione di cippi di pietra confinari, se ne tracciò la mappa e dopo aver eliminato le vigne abusive e i castagni, si procedette la rimboschimento mediante semina di ghiande. Una fitta sequela di leggi, decreti, ”terminazioni ” doveva garantire l’integrità del bosco per tutto il periodo della Repubblica. Il Montello era un bosco ben delimitato a nord dal corso del fiume Piave e a Sud da uno stradone di esclusiva proprietà erariale (lo Stradone del Bosco) e da un fosso al quale nel 1788 venne aggiunta una siepe viva. Ecco dunque: lo stradone del bosco vecchio di oltre 400 anni nasce prima di tutto con lo scopo di determinare un confine al bosco del Montello nel suo versante sud. Con il tramonto della Repubblica di S. Marco tutto il patrimonio boschivo subì un gravissimo danno: si abbatterono per es. numerosissime querce. Il Montello tuttavia conservava ancora la sua importanza e un decreto del 1811 del Governo Italico (dominio francese) ridusse il bosco a demanio statale. Si suddivise quindi il Montello in 20 prese marcate con cippi di pietra e si ordinò, tra l’altro, tagli di querce senza provvedere alla loro sostituzione. Il secondo periodo del governo austriaco che seguì (1815-1866) frenò in parte il disordine boschivo. Il manto boschivo del Montello riprese vigore e splendore ma questa felice situazione non doveva durare molto perché dopo appena 26 anni di Regio Governo Italico, nel 1892 venne decretata la vendita ai privati e, di conseguenza, la distruzione del bosco. Era la cosiddetta legge Bertolini. Tale legge, ispirata da “propositi sociali”, stabiliva che la ripartizione dei terreni rinvenuti fosse assegnata per metà alle famiglie povere dei “pisnent” e per metà che fosse venduta ai privati. “Pisnent ” era un termine che indicava gli abitanti del Montello fin dal 1600 e da qualcuno interpretato come “due volte gnente”, mentre secondo Boerio G., nel suo Dizionario veneziano, “Pisnent ” era un povero bracciante giornaliero privo di ogni diritto, che non aveva più niente da perdere (“Pisnent ” = più niente). Nel 1893 il Consorzio dei comuni stabilisce la divisione del territorio in 1224 quote e 386 poderi interessando complessivamente 2400 famiglie. Si decise e si realizzò inoltre la costruzione di 20 strade di accesso dominante “prese” che attraversano il Montello da Nord a Sud. Inutile dire che tale legge si rivelò un fallimento dato che col tempo la superficie agraria del Montello passò dai “pisnent ” in mano a speculatori che rivendettero a loro volta a coloni provenienti dagli altopiani di Asiago e del bellunese. Nacquero così i centri abitati del versante Nord del Montello: Santa Croce (1899), Santi Angeli (1904) e S. Maria della Vittoria (1925)…
E a scorrere sulla nostra destra un canale d'acqua: è il Canale del Bosco.
IL CANALE DEL BOSCO
Il canale del Bosco, è un canale artificiale realizzato nel 1500 per deviare attraverso la Brentella di Pederobba l’acqua del Piave e portarlo sui territori a sud del Montello ( Biadene, Volpago, Giavera del Montello ecc. ). L’acqua del Piave all'altezza di Fener di Alano di Piave, attraverso il Brentella, scorre parallelamente al Piave e, poco dopo Crocetta del Montello, si dirama nei canali detti di Caerano e del Bosco. Il primo, che è il principale, attraversa gli abitati di Caerano di San Marco e Montebelluna e, poco prima di Trevignano, si divide in canali minori; l'altro lambisce il versante sud del Montello e sfocia nel canale della Vittoria di Ponente a Giavera. Il canale Brentella è un canale di approvvigionamento d’acqua estratta dal Piave a Pederobba.
Proposto dal Consiglio di Treviso e approvato dal Senato Veneto nel 1436, fu destinato a soddisfare i bisogni di una vasta area dell’alta pianura trevigiana. Si iniziò a scavare prima del 1440 e il sistema raggiunse la sua configurazione definitiva nel 1540. La pianura tra Piave e Musone era ghiaiosa e comunque poco favorevole all’agricoltura e all’allevamento. All’inizio del Quattrocento l’acqua piovana si dimostrava ormai insufficiente ai bisogni umani e animali. L’idrografia era povera. L’idea di derivare l’acqua dal Piave avrebbe potuto soddisfare più esigenze. La navigabilità (presto abbandonata), l’irrigazione (i risultati, almeno sino al ‘900, non furono brillanti), l’alimentazione di uomini e animali, l’offerta di energia che portò alla presenza di numerosi mulini da macinazione e opifici pre-industriali (battiferro, mole, folli da panni, seghe da legname) e l’insediamento.
Conosciuto lo stradone del bosco, ci pedaliamo quindi in direzione ovest, per circa 1,2 km sino all'incrocio. Giriamo a destra e cominciamo la salita: siamo in via XXIV Giugno. Il primo tratto di circa 500 metri è duro ( 8,6%). Poco prima ( all'altezza di un cartello sulla nostra sinistra potremo notare l'accesso all'AREA BOLANI.
AREA BOLANI
Si tratta in sostanza di un centro diurno per persone con disturbi mentali. L'area è gestita dalla Rete Orchidea attraverso la cooperativa sociale agricola " Montelletto".
Ma fatto questo grande sforzo, la via all'altezza della intersezione con via XXIV Giugno, il primo tratto della dorsale, comincia a farsi molto meno dura, siamo in un falso piano.
La via scorre ora piacevolmente su un falso piano davvero bello.
Il punto più alto del viaggio lo troveremo proprio in corrispondenza dell'inizio di questo tratto a quota 186 metri s.l.m.
All'altezza del km. 4,8 del nostro viaggio, ecco CASA COUNTRY HOUSE, il primo dei B. & B. che incontriamo nel nostro pedalare sul Montello.
Altri 350 metri in discesa su via Generale A.Gandolfo e quindi giriamo a sinistra.
IL GENERALE GANDOLFO
Asclepiade Gandolfo (Imperia, 22 luglio 1864 – Roma, 31 agosto 1925) è stato un generale italiano. Militare di carriera. Massone, fece parte della loggia "Giuseppe Mazzini" di San Remo, "ma se ne era dimesso perché essa era così repubblicana da rendere impossibile la presenza di militari". Capitano dei bersaglieri nel 1898, e nel 1907 fu, come comandante del 1º battaglione bersaglieri ciclisti, tra i promotori della specialità. Allo scoppio della prima guerra mondiale, fu posto al comando del 10º reggimento fanteria. Nel 1916 ottenne la medaglia d'argento al valor militare e la promozione a maggiore generale con il comando della Brigata Pisa. Nel 1917 comandò la 31ª divisione. Nel giugno 1918 fu promosso tenente generale e comandante dell'VIII corpo d'armata. A Fiume nel settembre 1919 si rifiutò di far sparare dalle sue truppe i legionari di D'Annunzio durante la marcia di Ronchi. Nel 1921 aderì al partito nazionale fascista. Presso la sua residenza, a Oneglia, fu redatto, insieme a Italo Balbo, Dino Perrone Compagni ed a Ulisse Igliori, il primo regolamento delle camicie nere.
Membro del Gran consiglio del fascismo, fu nominato da Mussolini nel gennaio 1923 prefetto di Cagliari e nel maggio 1924, rientrato nei ranghi dell'esercito, fu nominato generale di corpo d'armata.