LE SORGENTI DEL SILE (Il fiume verde)
Caratteristiche tecniche del percorso. Lunghezza : 4,5 km.
Difficoltà : facile ma attenzione, solo con bici robuste.
Tempo di percorrenza: 20 minuti circa.
Stagioni: tutte
GALLERIA DI IMMAGINI
UN PO’ PRIMA DI PARTIRE… I CAPITELLI VOTIVI
Via Sile, ovvero la strada che in senso longitudinale da est a ovest taglia il territorio di Casacorba, il luogo in cui il Sile nasce, introduce il nostro viaggio con una sua particolarità, ossia la presenza di numerosi capitelli votivi; ma troveremo capitelli in molte parti del nostro percorso: cominciamo quindi ad abituarci!
Il capitello votivo (normalmente ex voto) è frutto di una “pietà” popolare che si tramanda da secoli; normalmente è costruito per ringraziare per lo scampato pericolo, come la carestia, la peste, la guerra, ma anche come ringraziamento per un evento particolare. Il termine deriva dal latino "capitel” che significa “capo di colonna”. Le sue forme possono variare: ci sono le nicchie, nelle quali sono posti degli affreschi o dei rilievi, i sacelli, le croci, gli alberi sacri. Si comincia a parlare di capitelli dal XII secolo. Essi erano costruiti ordinariamente nei luoghi di confine, presso gli incroci delle vie di comunicazione, oppure in luoghi dove la tradizione popolare individuava una motivazione religiosa alla loro costruzione. Fino alla metà del XX secolo e in alcune parrocchie ancora oggi, sono meta della celebrazione delle rogazioni, processioni effettuate per chiedere la protezione divina contro i danni dovuti al maltempo. Nel cattolicesimo in particolare, si tratta di preghiere, atti di penitenza e processioni propiziatorie sulla buona riuscita delle seminagioni. Secondo la definizione di papa Benedetto XIV (1740-58) le rogazioni erano preghiere adatte a difendere la vita degli uomini dall'ira di un Dio che c'impauriva in ogni luogo. Il loro scopo era quello di "allontanare i flagelli della giustizia di Dio e di attirare le benedizioni della sua misericordia sui frutti della terra".
Porta dell’Acqua - Campi Chiusi - Fontanassi - Sorgenti - Grande Quercia
LA PORTA DELL’ACQUA
E’ il punto di partenza del nostro viaggio, un’area attrezzata posta in Via Santa Brigida a Casacorba di Vedelago. Da lì è possibile partire per la prima delle nostre mete: i Fontanassi. Porta dell’acqua è anche il nome con il quale è denominata tutta l’area di risorgiva ove il Sile nasce, in altre parole la struttura ufficiale di ingresso al territorio del Parco del Sile. Siamo nell’area delle risorgive e quindi nell’ambito delle sorgenti storiche del fiume. E’ proprio qui che in realtà hanno sede le antiche polle risorgive del Sile, ma dopo le grandi bonifiche poche ne sono rimaste, tutte tendenzialmente più a sud.
Ma cos’è una risorgiva?
Una risorgiva è una sorgente di acqua dolce di origine naturale, tipica dei terreni di piana alluvionale, come gran parte delle pianure italiane, tra cui la Pianura Padano-Veneta . L'uso del termine risorgiva è corretto quando l'affioramento è spontaneo, mentre si dovrebbe usare il termine fontanile quando esso è di origine antropica cioè determinato artificialmente dall’uomo. La sovrapposizione dei due termini deriva dal fatto che spesso i fontanili venivano scavati in aree già interessate da risorgive. La risorgiva si forma quando le acque piovane e fluviali, che trovano materiali molto permeabili, penetrano in profondità nel sottosuolo, formando una falda freatica; esse possono tornare in superficie in corrispondenza di materiali impermeabili, argillosi, materiali che fanno in qualche maniera da tappo allo scorrere delle acque sotterranee costringendole a trovare un varco in superficie . L'acqua che fuoriesce da fontanili e risorgive presenta una temperatura costante compresa fra i 9 - 10 °C in inverno e i 12 - 15 °C in estate. Nella Pianura Padano-Veneta in particolare, i materiali permeabili sono dati dalle ghiaie alluvionali dell'alta pianura, mentre gli impermeabili sono dati dai depositi di esondazione formati da limo ed argilla della bassa pianura. Le risorgive infatti, costituiscono una sorta di linea che fa da confine tra l’alta e la bassa pianura. La linea delle risorgive è ben visibile in tutta la pianura padano-veneta dal Piemonte al Friuli; nel caso del Sile la linea delle risorgive coincide con l'alto corso del fiume fino a Treviso (va da ovest ad est), per poi dirigersi verso nord-est in corrispondenza delle sorgenti di tutti gli affluenti di sinistra. ( il Melma, il Musestre ecc.)
I CAMPI CHIUSI
Lasciata la porta dell’acqua e dirigendoci a destra su Via Santa Brigida per circa 0,6 km. incontreremo sulla nostra sinistra una stradina sterrata che prenderemo e percorreremo per 0,3 km circa. Alla fine della stessa, e cioè all’inizio di una staccionata, noi teniamo la sinistra.
campi chiusi
Poco oltre sulla destra si aprono davanti a noi dei prati particolari, tutti contornati da siepi ed alberi. Sono i campi chiusi, una forma particolare di assetto agrario, un modo particolare di organizzare i prati. Questo modo si è realizzato a partire dall'XI secolo per opera dei monaci benedettini e consiste in un reticolato di fossi che suddivide in parcelle il terreno coltivato esclusivamente a prato stabile, prato cioè che non viene mai arato per la coltivazione. Ma cosa aveva di particolare questa forma di “coltivazione” ? Essa sfruttava la costante presenza dell'acqua che, unita all'effetto ombreggiante e quindi rinfrescante delle piante ad alto fusto, poste sul perimetro di ogni particella, manteneva un microclima umido e costante, tale da garantire un numero elevato di sfalci, (anche sette in una stagione). Ricchezza unica per chi viveva esclusivamente di terra. Oggi purtroppo non ne restano che poche "prese". Anche se non scorre più l'acqua nei fossi a causa dell’abbassamento della falda, i campi chiusi si fanno ancora apprezzare per la bellezza del loro tappeto d'erba, verde intenso anche d’inverno. A partire dalla primavera poi, qui i fiori e le piante più belle sembrano aver posto la loro fissa dimora: ecco allora il fior di cuculo, la campanula bienne e due specie di orchidee come la listera maggiore e l'orchidea galletto, rossa che di più non si può.
Ma attenzione, se sentite qualche rumorino tra le erbe, questo potrebbe essere il segnale della presenza del ramarro e della lucertola vivipara, quest’ultima ormai davvero rara.
il ramarro
lucertola vivipara
Ma procediamo nella nostra passeggiata. Superiamo i campi chiusi e poco oltre alla nostra sinistra due cilindri di cemento. Eccoci, stiamo entrando“ufficialmente” nell’area dei fontanassi. Procediamo di lì tra le radici di ontani e carici e poco oltre entriamo a destra. Siamo al Fontanasso Dea Coa Longa, la prima delle nostre mete!
Il FONTANASSO DEA COA LONGA
Il Fontanasso dea Coa Longa, è certamente uno dei superstiti più significativi e tra i più accreditati come sorgente del Sile. L'acqua delle polle sorgive, in parte nascoste da un folto intreccio di piante e rovi, si fa largo tra le erbe palustri formando ben presto un piccolo fossato limpidissimo.
fontanasso "dea coa longa"
Qui l'acqua proveniente dal sottosuolo a temperatura abbastanza fresca e costante nel corso di tutto l'anno consente lo sviluppo di numerose piante idrofile (piante la cui impollinazione avviene per opera dell'acqua) e idrofite (piante le cui radici vivono in acqua), tra cui in particolare i giunchi ed i carici. Dal fondo della risorgiva inoltre,risalgono fino alla superficie la Gamberaia comune ,la Sedanina e il Crescione dai fiori bianchi. Sul suo perimetro invece troviamo numerosi arbusti, tra cui è facile riconoscere la Frangola, l'Ontano e il Salicone.
Ha attirato la mia attenzione il modo in cui i bambini in gita parlano di questi luoghi: ecco il loro resoconto.“La prima cosa che abbiamo sentito, quando siamo arrivati alle sorgenti del Sile sono stati i canti di tanti uccelli diversi che riempivano l’aria. Abbiamo preso un sentiero verso est e alla nostra destra abbiamo visto i campi chiusi. Prima di entrare la maestra ci ha spiegato che, tanto tempo fa, la zona delle sorgenti era tutta coperta da paludi e da boschi. Sono stati i monaci benedettini ad aver scavato, circa mille anni fa, fossi e canali e interrato molte polle sorgive per prosciugare il terreno e poterlo coltivare. Il terreno però era argilloso e quindi era difficile da coltivare a grano, così fu diviso in tanti piccoli campi circondati da fossi e da alte siepi di alberi”.(Tratto da scuolaworld.provincia.padova.it)
Ecco come ne parlano i bambini …
Dopo i campi chiusi siamo arrivati al “ Fontanasso dea coa longa”. La maestra ci ha spiegato che un fontanasso è il punto in cui sgorga l’acqua che risale da sotto terra .Il “Fontanasso dea coa longa” è il più importante perché è da là che nasce il Sile. Per vederlo da vicino è stata costruita una ringhiera di legno con sotto una tubatura di cemento molto dura per far sì che la terra non crolli bloccando il suo corso. Il “Fontanasso dea coa longa” è formato da piccoli laghetti collegati e sul fondo ci sono tante polle sorgive che sono disposte a gruppetti. Hanno forma rotonda: alcune sono grandi come piatti da frutta, altre piccole come i piattini delle bambole. Le polle sembravano crateri in miniatura perché eruttavano continuamente sabbia bianca e acqua .La maestra ci ha spiegato che la sabbia bianca arriva dal fiume Brenta. La sua acqua filtra attraverso il letto sassoso, va in profondità e scorre sottoterra. Quando incontra il terreno argilloso che non le permette di passare, risale in superficie e forma le risorgive che sono i fontanassi e le polle. Intorno al fontanasso c’era un boschetto con alberi radi e non molto alti con foglie brillanti alla luce del sole. Tutto intorno il terreno era ricoperto di semi di pioppo. Alcuni volavano e si depositavano sull’acqua. Per vedere le polle la maestra ha dovuto toglierli dalla superficie. Dentro l’acqua e sulle rive c’erano tante erbe. Alcune assomigliavano a delle piccole rose, avevano un colore verde brillante e galleggiavano in superficie formando uno strano tappeto. Sulle rive c’erano molte felci che adesso vivono in montagna e sono rimaste nella palude dal tempo delle glaciazioni perché l’acqua è fresca anche d’estate visto che viene da sottoterra…
LA GRANDE QUERCIA – LA REGINA DELLE SORGENTI
A non più di cinquanta metri dal Fontanasso dea Coa Longa c'è una meta importante: la regina delle sorgenti, uno splendido esemplare di Farnia, ma anche un vero punto di riferimento da cui partono tutti i percorsi per conoscere i luoghi più interessanti dell'area e cioè a nord la Torbiera, il Corbetta e la Busa del Prete,ad est il Bosco del Conte, a sud il Fontanasso de la Coa Longa ed il Sile ormai fiume; ad ovest i Campi Chiusi.
LA FARNIA
E’ un albero a foglie decidue, cioè destinate a cadere ed è la quercia più diffusa in Europa. Questa pianta è caratterizzata da notevoli dimensioni, crescita lenta e grande longevità. Se lasciata crescere in autonomia può vivere sino a qualche secolo, mentre con interventi di potatura o di taglio alla base del fusto la sua vita può estendersi in maniera rilevante. Si calcola che alcuni esemplari viventi superino i 1000 anni. È in grado di adattarsi a diversi tipi di terreno, sebbene prediliga quelli profondi, freschi, argillosi, acidi e ben irrigati. Numerosi insetti vivono sulle sue foglie, sulle gemme e nelle ghiande. Queste ultime, poi, costituiscono un'importante fonte di cibo per diversi piccoli mammiferi e alcuni uccelli tra cui la Ghiandaia.
Curiosità : Il famoso "rovere di Slavonia” poi, con cui si fabbricano le botti per l'invecchiamento di vini pregiati e cognac, proviene in realtà dalla farnia. La farnia è detta anche Albero di Giove ed era una pianta nell’antichità a lui consacrata. La mitologia narra infatti che quando gli uomini si cibavano con la carne umana, fu proprio Giove ad indicare agli stessi le ghiande della quercia come fonte di cibo. Fu proprio da quel giorno che questa pianta fu dedicata a lui e grazie alle sue ghiande fu chiamata anche Albero Felice. Le querce furono anche le prime chiese perché sotto di esse si radunava il popolo per celebrare sacri riti per assemblee, per apprendere la sapienza dagli anziani
la grande " Quercia "
Continuiamo ora il nostro viaggio! Con lo sguardo ora fissiamo alla sinistra della grande quercia. Una struttura in legno ci indica che di là c’è qualcosa da vedere. Ed ecco un prato imponente: è la torbiera.
LA TORBIERA
i bambini ne parlano...
Dietro la grande quercia c’era un piccolo ponte che portava ad un sentiero dentro un boschetto di frangola. La frangola è un albero non molto grande che cresce sui terreni umidi. Alla fine del sentiero, poco prima di uscire all’aperto in un lungo prato che costeggiava il fosso Corbetta Nuovo, la maestra ci ha fatto sentire che, quando si salta, il suolo rimbalza perché un metro sotto terra si trova già l’acqua. Poi abbiamo osservato il terreno. Era molto scuro, quasi nero e molto friabile, formato da piccoli pezzettini di legno e di erba. Questo tipo di terra si chiama torba. La torba si forma dentro l’acqua perché le erbe e le piante morte che si accumulano non marciscono per il fatto che, senza aria, mancano i batteri e i piccoli animaletti che le decompongono di solito. Si forma così un alto strato di terreno morbido e fertile su cui crescono prima le erbe e poi le piante, e dove si può camminare. Il prato in cui siamo arrivati era tutto formato di torba e infatti si chiama torbiera. Vi crescevano molti ciuffi di erba di color verde scuro con i bordi ruvidi e un po’ taglienti. La maestra ci ha detto che nella torbiera crescono dieci specie diverse di orchidee ...”(Tratto da scuolaworld.provincia.padova.it)
la torbiera
IL FONTANASSO DEL PRETE
Il Fontanasso del Prete si raggiunge partendo dalla torbiera. Sul lato est della stessa troviamo un piccolo sentiero speso ostruito da rovi. Lo prendiamo e facciamo circa 100 metri.
I rovi appunto: la loro presenza infestante soffoca ogni altra forma di vita vegetale, ma nel contempo offre sicuro riparo alla fauna minore e, nella stagione dei frutti, una buona dispensa, e non solo per gli uccelli. Infatti anche il Moscardino, piccolo roditore presente in tutta l'area, pur essendo ghiotto di nocciole, non disdegna le grosse more di rovo. Il nome "Fontanasso del Prete" ricorda un evento infausto: la leggenda di una regina che, per non essersi inchinata alla comunione portata da un prete ad un moribondo, fu sprofondata dal fulmine divino con i suoi cavalli e la carrozza, dando origine alla profonda e oscura sorgiva. Recarsi al fontanasso del Prete non è semplicissimo; non è facile trovarlo: lo dicono bene i bambini … “Siccome la vegetazione era più alta di noi la maestra, per trovare il Fontanasso del prete, ha alzato gli occhi verso il cielo e ha visto le chiome di alcuni pioppi neri messi in cerchio così ha potuto orientarsi. Il Fontanasso del prete è come un piccolo laghetto dove l’acqua esce da sotto. Adesso il Fontanasso ha l’acqua molto più bassa di quando la maestra è venuta in agosto perché durante l’inverno non ha piovuto. Abbiamo visto nelle foto che era più grande ed era tutto ricoperto da una pianta chiamata lenticchia d’acqua che sembrava un enorme tappeto verde brillante. Poi ci ha raccontato che questo è il luogo in cui è ambientata la leggenda della contessa Cornara che abitava nella villa che ancora oggi si può vedere oltre il Palù e che era la padrona di tutte le terre intorno al Sile.
il Fontanasso del Prete
Ma qui non c’è solo il Sile, altri corsi d’acqua lo accompagnano in questo suo nascere, primo fra tutti, il Corbetta nuovo.
IL CORBETTA NUOVO
Il lato nord della grande torbiera è delimitato da un canale dalle acque sempre molo limpide: è il Corbetta Nuovo. Si tratta di un canale artificiale scavato dopo il 1920 per prosciugare una vasta area di terreno da destinare alla coltivazione, un corso d'acqua lungo pochi chilometri, che trae origine nelle zone di risorgiva in cui si delimitano le sorgenti del Sile. Il suo è un fondo molto ghiaioso su cui crescono la Veronica Beccabunga, il Non-ti-scordar-di-me palustre, la Menta acquatica, il Pepe d'acqua e i Carici. Sulla superficie poi potremmo osservare il Ranuncolo e la Brasca Increspata. Anche la fauna ittica è interessante: lo Scazzone, il Panzarolo, il Gambero di fiume e il Temolo qui li troviamo. E dove la sponda è più alta sarà anche possibile osservare fioriture di Giaggiolo d'acqua, il Cardo di palude e anche piante di Rosa selvatica comune .
il Corbetta nuovo
I bambini ne parlano …
Mentre stavamo ritornando, dopo aver visto il Fontanasso del prete, la maestra ha preso un sentiero a destra e ci ha detto di aspettare. Dopo pochi metri ha trovato lo strano ponte che aveva tanto cercato. Allora ci ha chiamati uno alla volta e ce l’ha mostrato. Era un grande salice caduto di traverso sul Corbetta Nuovo: aveva i rami che erano cresciuti verso l’alto come alberi normali. Volevamo attraversarlo e andare nei campi del Palù a cercare selci, ma non avevamo tempo .Sotto c’era tanta acqua.
Luoghi d’acqua, luoghi legati all’acqua, benedetta e maledetta acqua. Ecco cosa accadde da queste parti qualche anno fa!
LA BATTAGLIA DELL’ACQUA
La grande guerra, la guerra del 15-18 era da poco finita. La gente di Casacorba, Cavasagra e Albaredo aveva avuto, come tutta la nazione, le sue tragedie: mariti, capifamiglia, giovani vite tutte finite nei tanti cimiteri del Carso o del Piave. Le ragioni della guerra avevano fatto abbandonare anche queste campagne. E anche questi luoghi diventarono luoghi di guerra. A Cavasagra ,Villa Corner per esempio, era diventata il quartier generale della terza armata del generale Caviglia; in paese si erano in qualche modo sistemati “buffi scozzesi in gonnellino e Arditi prepotenti”. Qui si erano dedicati ad esercitazioni con bombe a mano; e il luogo più adatto per questo era ovviamente un angolo del palù, tanto quelle terre così cariche di acqua non potevano essere coltivate! Finisce la guerra e riprende la vita di sempre, povera vita di sempre e con nuove bocche da sfamare. I piccoli proprietari erano spesso indebitati: mezzadria e contratti umilianti con i potenti delle zone. Non si dimentichi che furono proprio queste condizioni a portare all’esasperazione collettiva che il 30 novembre 1907 portò all’incendio della barchessa della villa a Cavasagra. Ma quello che esasperava in maniera altrettanto logorante era la presenza delle paludi: terre così vicine ma così inutilizzabili, così nere ( la torba ) ma così sterili! Avere i campi a portata di mano ed essere costretti ad emigrare! E poi quella maledetta umidità: partiva dalla terra, avanzava dentro le case, anneriva i muri, faceva gocciolare gli armadi, inzuppava i pagliericci, penetrava nelle ossa. In modo implacabile distribuiva un po’ a tutti un’asma o una bronchite, una tubercolosi o dei reumatismi. Al resto pensavano le zanzare. Ormai era chiaro a tutti che il nemico era uno solo: l’acqua. Era l’acqua sorgiva che rubava raccolti, era l’acqua sorgiva che faceva ammalare. Occorreva la bonifica, lo diceva anche Mussolini. Ne valeva la pena anche a costo di rinunciare agli indubbi vantaggi che il palù comportava; pochi ma significativi in un’economia di sopravvivenza. Il pesce, per esempio: bisate, tinche e marsoni. Con l’abilità dettata dalla tradizione e dalla fame si potevano pescare con l’amo ma, meglio ancora, con l’uso delle varie reti: negosse,negossoni e redesine. I più esperti si armavano di fòssina (fiocina), infilzando il pesce, quando toccava il fondo. Ma il palù non offriva solo pesci o rane. Roveri, pioppi, frassini, olmi e ontani costituivano una grossa riserva per legna da ardere o da lavorare. Qua e là c’era stato anche qualche tentativo di risaia. E ai margini del palù era coltivata anche la canapa.
Per questo motivo con un Regio Decreto del 1927, si era costituito il Consorzio di Bonifica “Destra Sile Superiore”. Subito però nacque al suo interno lo storico contrasto tra la zona delle sorgenti e quelle successive, il bacino più alto e quelli più bassi, in definitiva tra i comuni di Vedelago e Morgano che evidentemente non potevano avere gli stessi interessi, anzi direi gli stessi erano assolutamente contrapposti ( è il destino della “guerra tra chi sta a monte e chi sta a valle”). Le relative amministrazioni entrarono quindi in perenne contrasto fino a che l’Amministrazione ordinaria fu sciolta e arrivò il Regio Commissario. In attesa di discussioni più serene però, i proprietari non rimasero inoperosi e procedettero privatamente. Camillo Frova (quello di villa Corner e presidente del Consorzio Brentella) unitamente a Bolasco, Di Broglio, Monis e Montini costruirono verso il 1927 la società dei padroni, con partecipazioni ovviamente proporzionate alle terre possedute. Lo scopo era quello di ottenere un Corbetta nuovo, più diritto e più a sud, con l’evidente risultato di prosciugare le terre a nord. Fu per questo lavoro assunta manovalanza locale dotata di vanghetti e pale per scavare il nuovo canale. Il materiale, caricato su carrelli, era poi trasportato lungo delle ferratine e ribaltato più a nord. Ma non bastava! Non era possibile avere terre asciutte alle sorgenti finché i vari mulini a sud-est facevano da imbottitura, tenendo alto il livello delle acque. Bisognava agire anche sui mulini: bisognava ridimensionare i mulini. Il primo ad essere ridimensionato fu il Munaron nel 1937, ma non bastava. Fu solo l’anno dopo, con l’eliminazione del mulino di Morgano, che si videro i primi soddisfacenti risultati: in alcuni punti l’acqua si abbassò addirittura di un metro. Nel 1940 poi fu annunciato l’arrivo di un’imponente macchina per una grande battaglia contro l’acqua, quella finale, quella definitiva! Si voleva spostare il Sile più a sud, raddrizzarlo e allargarlo di molto. La draga arrivò: era piazzata su due barconi e sputava di continuo la melma appena risucchiata. In un sol colpo preparava al Sile un nuovo letto di dieci metri e ne alzava vigorosamente gli argini. Si cominciò dalle “case rosse”, vicino alla fornace, in rettilineo fino alla strada del Munaron.La guerra, la seconda guerra mondiale però, costrinse a una pausa: poi si riprese fino al fontanasso dea Coa Longa. In tutto tre chilometri. Eravamo nel 1944 e anche il palù fu teatro di guerra. Inquietante in tal senso fu l’incendio che i fascisti appiccarono al Munaron.Salutati con entusiasmo, invece, i numerosi lanci di materiale sulle prese da parte degli aerei americani per i partigiani rifugiati in casera. Ma una cosa è certa, e cioè che nella ritirata da Piombino per via S. Brigida, i tedeschi furono ostacolati più che dagli aerei americani, dal palù inzuppato dalle piogge primaverili. E infatti, il 29 aprile del ’45 la colonna finì poi bloccata dagli alleati sulla statale a Vedelago. Finita la seconda guerra mondiale, riprese quella locale contro l’acqua sorgiva. Nel 1946 fu eseguito un nuovo intervento sul canale Corbetta e se ne anticipò lo sbocco sul Sile; si era conquistata nuova terra per l’agricoltura, si era abbassato il livello dell’acqua e dell’umidità, ma non bastava ancora: indicative le relazioni del dr. Meo che nel 1962 passava in rassegna Casacorba e ne ricavava un quadro preoccupante di malattia e di depressione tanto da ottenere, tramite la Croce Rossa svizzera un contributo per alimenti e una macchina da radiografie che fu posta nell’asilo parrocchiale. La lotta non era quindi finita.Tra il 1966 e il 1969, con la costruzione del canale di Gronda, le draghe della ditta Agribeto e l’ing. Facchinello sferrarono l’attacco definitivo. Con un taglio profondo più di due metri e mezzo furono radicalmente interrotte le prime correnti di falda, immediatamente fatte emergere, incanalate verso est e immesse nel Sile al confine tra Ospedaletto e Villanova. Il risultato fu che le terre a sud, inaridirono e si abbassarono di colpo, anche di due metri, fino a portare molte radici al sole e a risucchiare i fontanazzi . Adesso si poteva finalmente coltivare e tornare dei capitali investiti e richiamare gli emigrati e dormire asciutti…