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LE PALUDI DEL SILE 

 

Caratteristiche del percorso:

Lunghezza: 13,5

Difficoltà: facile

Stagioni: da marzo ad ottobre

Tempo di percorrenza: 1 ora e 10 minuti circa.

GALLERIA DI IMMAGINI

LÍ DOVE TUTTO SEMBRA FERMO

Le ex fornaci di Istrana - La palude di Morgano - Le Buse di Carlesso - La palude dell’Oasi Mulino Cervara – L’Oasi di San Giorgio - La palude di Canizzano

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La palude è il biotopo più ricco di specie animali e vegetali che si può incontrare nell'alto corso del Sile. Oggi non ne restano che alcuni scampoli, mentre un tempo, l’estensione della palude era considerevole e costituiva, per gli abitanti dei villaggi limitrofi, un'importante fonte aggiuntiva di reddito. Le bonifiche più rilevanti sono state eseguite dalla colonizzazione veneziana di queste terre già nel 1500,  mentre le più recenti si sono concluse negli anni '60, con indubbi vantaggi per la monocoltura estensiva, ma gravi perdite per la complessità e la  ricchezza del territorio. Quando territorio e reddito non vanno proprio d’accordo! Il tratto che percorreremo si allontana spesso dal corso del Sile, ma ciò si rende necessario per andare a recuperare spazi ancora incontaminati. Nell'alto corso del Sile cinque sono i siti in cui oggi è presente la palude: le cave delle ex Fornaci di Istrana, la Palude di Morgano, le Buse di Carlesso, la Palude dell'Oasi del Mulino Cervara e quella di Canizzano. Pur essendo simili, presentano fattori di  diversità: alcune sono naturali, altre naturalizzate; alcune profonde e allagate, altre semi-allagate, o asciutte. 

Ma cos’è una palude?  Una palude è un terreno pianeggiante completamente intriso d’acqua, caratterizzato dallo sviluppo di una particolare vegetazione che si è adattata all'elevata umidità e spesso anche dalla presenza di specie animali peculiari. L'origine della palude è di solito dovuta alla mancanza di un normale deflusso delle acque che convergono in superficie nella zona, o attraverso la falda sotterranea nell'area interessata, oppure dal lento prosciugarsi di un lago. Quando la palude è originata dall'accumulo di acqua di piena in zone basse, prende il nome di lama.   

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Un passo indietro: il nostro percorso inizia dalla stradina sterrata posta al confine sud est dell’area dei fontanassi. In altre parole, siamo appena usciti dall’area delle sorgenti del Sile. Percorriamo la stradina per 0,2 km. Poco prima di un ponte giriamo a sinistra ed iniziamo a percorrere una strada sterrata ampia ma con qualche difficoltà dato che le tracce profonde dei trattori che vi passano lasciano profondi avvallamenti sul terreno non sempre agevoli da superare.

 

Si percorre la strada sterrata per circa 0,7 km fino ad un’abitazione che troveremo alla nostra destra e fino quindi ad incrociare una stradina asfaltata. Siamo in Via Munaron. Giriamo quindi a destra e proseguiamo dritti per altri 0,3 km circa fino ad oltrepassare un ponte di cemento sul Sile e aver quindi rivisto il corso ormai già deciso del fiume. In prossimità di un capitello votivo che troveremo sulla nostra destra, noi giriamo a sinistra sullo sterrato . Si continua sullo sterrato per 2,3 km. Alla fine della strada noi teniamo la sinistra. Entriamo in Via Rialto e di qui attraversiamo il ponte dei tre confini quelli dei comuni di  Piombino Dese, Istrana e Morgano. 

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NELLA PALUDE ALLA RICERCA DEI TAXODIUM.

 

 

Attraversiamo il ponte e dirigiamoci, prima sullo sterrato, sempre dritti verso la sede “ rumorosa” di una nota azienda di trasformazione di materie plastiche: seguiamo la recinzione a destra e, dopo un centinaio di metri, imbocchiamo alla nostra sinistra una stradina segnalata da un cartello che indica la presenza dei Taxodium.

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Spettacolari davvero questi luoghi per una passeggiata di fine autunno! Anche se soli, saremo accompagnati dai suoni della brina che si scioglie… piccoli suoni ovattati ed improvvisi che guidano i nostri passi: da provare!

Al primo cambio di direzione teniamo la sinistra.Ci stiamo decisamente inoltrando nella palude di Istrana. L'autunno qui risente di colori davvero importanti. Ancora qualche centinaio di metri ed ecco i grandi Taxodium isolati in quest’enorme campagna.

Il TAXODIUM

E’ un albero molto resistente all’acqua e alle inondazioni. Questi alberi possono raggiungere grandi dimensioni (45 m d’altezza).Tra queste la specie più conosciuta è il Taxodium distichum, che è chiamato cipresso delle paludi o cipresso calvo. Si tratta di piante originarie dell'America settentrionale in particolare del Delaware.

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IL CIPRESSO

Il genere è diffuso in tutte le regioni a clima caldo e temperato-caldo, anche arido, dell'emisfero settentrionale. Più di metà delle specie sono originarie del ristretto triangolo formato da California, Arizona e Messico ma, esistono cipressi anche nel cuore del deserto del Sahara. È l'albero tipico dei cimiteri perché le sue radici, come quelle di tutti gli alberi, hanno identica estensione e sviluppo dei rami; quindi, nel caso del cipresso, scendendo a fuso nella terra in profondità invece che svilupparsi in orizzontale (come succede con le querce e qualsiasi albero dalla chioma larga), non crea inconvenienti alle tombe. Curiosità: I Greci e i Romani lo collegavano al culto di Plutone, dio degli Inferi e ancora oggi è destinato a ornare sepolcri quale simbolo di lutto. Una leggenda cinese racconta che strofinando sui talloni la sua resina si riesce a camminare sulle acque e a rendere il corpo molto leggero. Nei tempi passati il legno di cipresso aveva usi specifici sempre ricollegabili sia alle sue caratteristiche di gran durabilità sia al suo valore simbolico di pianta immortale legata tanto alla vita come alla morte. Le porte dei templi, le statue lignee, i sarcofagi e le bare di personaggi importanti presso gli antichi erano di legno di cipresso; gli strumenti musicali come i clavicembali in tempi più recenti. Oltre all’Arca di Noè era di legno di cipresso la flotta del grande Alessandro e così la freccia dell’arco di Eros, lo scettro di Zeus e la clava di Ercole. San Francesco e il Cipresso . Due sono le leggende che legano il cipresso a San Francesco. Lo stesso nell’anno 1213 vicino a Forlì, accortosi che uno dei pezzi di legno del fuoco di bivacco non bruciava lo allontanò dal braciere e lo mise sottoterra con le parole “Se proprio non vuoi bruciare, ritorna a vivere.” Da quel tronchetto nacque il cipresso che ancor oggi si troverebbe presso il convento di Santa Croce. Due anni più tardi, secondo un’altra leggenda, il santo fondò il convento di Villa Verrucchio attorno ad un ramo di cipresso piantato al centro del futuro chiostro. 

LA ROTONDA DI BADOERE

Le ex fornaci di Istrana si trovano di fatto sui confini tra il territorio comunale di Istrana e quello di  Morgano. Storia e cultura di queste parti s’intrecciano sicuramente attorno alla Rotonda di Badoere che potremo raggiungere una volta usciti sulla provinciale che da Badoere porta ad Istrana e prendendo la direzione sud. Lì dopo qualche centinaio di metri, si apre al nostro sguardo e tutta la sua bellezza, la rotonda di Badoere. La Rotonda di Badoere è una delle barchesse più famose del Veneto; la sua particolarità sta, sia nella sua grandiosità, che nella sua struttura fatta per ospitare una serie di botteghe su un semicerchio e abitazioni sull'altro, con una grande piazza per il mercato; sulla stessa si affaccia la chiesa e un palazzo dominicale, ora sede municipale. La grande costruzione si presenta strutturalmente come un lungo porticato semicircolare, formato da quarantuno arcate. Questa magnifica piazza ha trovato origine presumibilmente alla fine del Seicento. Comprendeva in origine due grandi barchesse a doppio semicerchio e a 300 metri ad ovest la villa padronale andata distrutta da un incendio nel 1920 durante un tumulto contadino.  La sua creazione si deve ai Badoer, famiglia patrizia veneziana proprietaria del terreno dove la Rotonda sorse (detto Zeruol di Sopra), su progetto eseguito sembra, dalla scuola del Massari. I Badoer eressero inoltre la chiesetta (1645) dedicata a Sant’Antonio da Padova e la Rotonda con l’intento di ospitare il mercato settimanale del lunedì che la Serenissima Repubblica autorizzò nel 1689 al suo nobile Angelo Badoer. Ma in particolare, è molto originale la barchessa a ovest costituita da 41 arcate corrispondenti ad altrettante botteghe di artigiani e mercanti; queste, sistemate sotto i portici, avevano un ingresso posto all'interno della Rotonda e un balcone apribile a ribalta verso l'alto.  Dalla parte opposta rispetto all'asse stradale, un secondo insieme d’edifici disposti ad emiciclo, ugualmente porticati, ma di ben più modesta qualità architettonica e non integrati in un complesso unitario, segna il bordo, appunto rotondo, della piazza di Badoere. Ancor oggi i due emicicli, che hanno ovviamente riconvertito i loro spazi a nuove funzioni abitative e a nuovi esercizi commerciali, fanno da sfondo alle locali attività di mercato, in particolare al famoso mercatino antiquario che si tiene la prima domenica di ogni mese. (da vedere assolutamente!)  

ROTONDA DI BADOERE

MORGANO E MURGANIA

L’origine del nome Morgano si perde nelle leggende popolari tramandate dai poeti. Una di queste narra di una giovane chiamata Murgania di tale bellezza da essere adorata come incarnazione di Venere tanto che a lei fu eretto un tempio: la località in suo onore e ricordo fu allora chiamata Morgano. Le prime notizie di carattere storico però su Morgano riportano l’esistenza di un centro religioso che già nel dodicesimo secolo godeva di una certa rilevanza nel territorio. Nel 1339 la Marca Trevigiana fu assegnata a Venezia che provvide a suddividere il territorio in grandi proprietà terriere gestite dalle nobili famiglie veneziane. A Morgano arrivano i Badoer, i Basadonna, i Revedine e il Marcello. La popolazione locale segue le sorti degli abitanti dell’entroterra veneto, ma la presenza delle acque del Sile, del Zero, del Rio garantivano la pesca e lo sviluppo  dell’agricoltura e di tutte le attività legate all’industria dei mulini. Con l’incremento dell’agricoltura e dell’allevamento poi, si rese necessaria l’istituzione di una sede permanente di mercato, autorizzata dalla Serenissima Repubblica nel 1689 ad Angelo Badoer. Per ospitare degnamente il mercato, i Badoer che possedevano terre e beni a Morgano, costruirono nella località detta Zeruol di Sopra la Rotonda di Badoere. Ma chi era Murgania?  Murgania, sarebbe stata figlia del console romano Lelio Sylirio o Syliro e di Trivisia Calardia Pia. La giovane avrebbe osato paragonarsi per bellezza a Venere e il popolo per ignoranza l'avrebbe creduta la dea stessa e le avrebbe eretto un sacello. Gli dei, risentiti, avrebbero quindi distrutto il sacello e Murgania con un fulmine, mentre la medesima sorte sarebbe toccata a Quintia e a Septimia, sorelle di Murgania. Il padre, Lelio Sylirio sarebbe stato trasformato poi nel fiume Sile, che da lui avrebbe preso il nome.

LA PALUDE DI MORGANO E LA BUSA CELESTE

 

Il nostro percorso inizia dalla visione dei Taxodium nei pressi della palude dell’ex fornace di Istrana. Ora, torniamo indietro da dove siamo venuti, fino all'incrocio ove giriamo a sinistra. Di lì procediamo per circa 0,7 km su via delle Fornaci e all'incrocio  giriamo a sinistra sulla provinciale . Procediamo per altri 0,2 km fino ad un ponte; è sul canale Gronda. Lì giriamo a destra costeggiando il suo corso.

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Il canale di Gronda non è altro che un grande scolo costruito nel 1965 allo scopo di bonificare tutte queste terre di regime paludoso.

 

Fatti circa 250 metri, entriamo a sinistra in via el Rio. Più avanti, il Capitello del Pin. Procediamo ancora su questa strada dalla “tranquillità rara”. Procediamo in direzione nord per circa 500 metri. Siamo ora su un ponte e l'incontro è con il canale Gronda. Teniamo la destra e cominciamo a pedale sul lato destro del corso d'acqua. Poco oltre sulla nostra sinistra la confluenza del RIO sul Gronda. Così per circa 1 KM . Nei pressi ora, sulla nostra sinistra un ponte. Noi procediamo dritti. Il canale ora assume la direttrice sud. 

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Altri 700 metri e siamo in Via Peschiera e la cosa più significativa di questi luoghi è la cura incantevole che gli abitanti della zona pongono ai loro fossati, sempre ben curati e ricchi di piante ornamentali: un vero angolo di pace. Attraversiamo ora il ponte in  direzione est  ( davanti a noi un’abitazione privata). Teniamo la sinistra e c’inoltriamo per il sentiero entro un boschetto.

GRONDA

Davvero interessanti i prossimi 0,6 km abbelliti davvero da rigogliosi boschi. 

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Incontriamo quindi una strada sterrata un po’ più ampia (è via del Bosco). Giungiamo poco oltre ad un bivio e alle nostre spalle un isolato capitello votivo. Subito dopo svoltiamo a sinistra e quindi a destra. Proseguiamo per altri 0,7 km e svoltiamo a sinistra in Via Chiesa. Poco più avanti sulla sinistra la parrocchiale di Morgano, e la sua “canonica”.

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LA CHIESA PARROCCHIALE DI  MORGANO Nel centro di Morgano c’è la monumentale chiesa, nello stile del 500, secondo la struttura architettonica delle antiche basiliche e frutto della creatività dell’architetto di Belluno Giuseppe Segusini, discepolo del Canova. Ideata e promossa dall’allora parroco di Morgano Don Giovanni Battista Trentin, l’opera vide l’inizio dei lavori nel 1858, ma potè essere aperta al pubblico solo nel  1890 dandone merito a contributi, donazioni, lotterie e soprattutto alla collaborazione della popolazione che prestò la sua opera gratuitamente.

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Procediamo quindi su Via Chiesa fino alla fine della via ove, davanti a noi potremmo vedere un bel capitello votivo a fare da segna via. Al capitello, noi svoltiamo a destra su Via San Martino e proseguiamo per 0,3 km circa. Alla nostra sinistra poco dopo aver attraversato il ponte sul Sile prendiamo Via Cominetto. Proseguiamo per 0,5 km e all’incrocio giriamo a sinistra (siamo in Via Barbasso). Continuiamo per 0,7 km fino a raggiungere il Sile nei pressi di un grande edificio, un tempo mulino a più ruote preceduto da un ponte.

MULINO BUSA CELESTE

Da qui si può ammirare alla nostra destra il grande invaso che precede la palude (è la Busa Celeste).

LA BUSA DE CELESTE

Si tratta di un grande invaso d'acqua, prodottosi in seguito all'estrazione della ghiaia. Essa è il frutto dell'attività d’escavazione, ma si presta come straordinario punto di osservazione dal quale è possibile scorgere una notevole varietà di specie stanziali e migratorie: dalle Folaghe al Martin Pescatore, ai Beccaccini, ai Porciglioni. Dall'argine destro del fiume è possibile scorgere invece, la grande estensione della Palude asciutta, sulla quale si affacciano le Saracelle e i Garofanini d'acqua. Sul lato opposto sono stati realizzati due capanni per l'osservazione e la caccia fotografica, vista la ricchezza di specie migratorie e stanziali che praticano questo invaso. Sull'argine destro dello slargo corre un sentiero che consente di osservare, stando sulla sponda opposta del fiume, la gran palude asciutta: circa trenta ettari di proprietà del Comune di Morgano. 

BUSA CELESTE

Abbiamo visto come questo sia un luogo davvero ricco di specie animali e vegetali. Prendiamone un po’ confidenza.

IL MARTIN PESCATORE

 “ seduto nei pressi del fontanasso del prete lo vidi e quel veloce azzurro mi colpì: non credo che il più grande pittore possa mai riprodurre quel veloce azzurro, unico azzurro” ( pigi 2008)

Un uccello poco socievole che vive solitario e che non tollera alcun concorrente nel suo territorio di caccia . Si trova ovunque vi sia acqua, come fiumi, torrenti, canali, stagni e laghi. Nidifica in cavità lungo gli argini dei corsi d'acqua e questo purtroppo è anche il suo limite. Infatti, fra le cause che ne limitano la diffusione vi è proprio la carenza dei siti adatti alla sua nidificazione, il cui continuo calo è dovuto in particolare alla cementificazione degli argini dei torrenti. Le sue piume sono sgargianti, di colori tra il blu e il verde, ma sul collo e sulla gola si notano evidenti macchie bianche. Le parti superiori presentano una colorazione che a seconda della rifrazione della luce può risultare blu brillante o verde smeraldo. Il petto, invece, ha una colorazione arancione. Di solito il maschio ha colori più vivaci della femmina, perché durante il corteggiamento gli servono per conquistarla con le sue sfumature. Lo si osserva spesso posato sui rami o sui paletti presso l'acqua, da dove si tuffa per catturare le sue prede. In genere vola basso, radente l'acqua e il suo volo è veloce. Spesso fa lo "spirito santo"; riesce in pratica a rimanere fermo in volo sopra la superficie dell'acqua fino a che, individuata la preda, si getta in picchiata catturandola nel breve lasso di tempo di due o tre secondi. Ma cosa mangia? La dieta del Martin Pescatore è quasi esclusivamente a base di pesce. Nonostante la modesta grandezza, il Martin Pescatore riesce a catturare prede anche più grandi del suo corpo. In alcune occasioni, in mancanza delle sue prede preferite, cattura piccoli animali acquatici quali larve, insetti acquatici come le libellule o piccoli granchi, a volte anche molluschi. 

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Quando ha catturato la preda, il Martin Pescatore ritorna sul masso e a colpi di beccate l'uccide e l'ammorbidisce. Per conquistare la sua femmina il maschio poi mostra il blu brillante sul petto e dona alla propria compagna la preda appena catturata. Prima di passare all'accoppiamento si picchiettano leggermente il becco, esprimendo la loro intesa a formare una nuova famiglia.

IL “ Martin “ nella leggenda. La bellezza dei colori del Martin pescatore ha stimolato da sempre la fantasia: una leggenda vuole che il Martin pescatore fosse un tempo un insignificante uccelletto bianco che, uscito dall’arca di Noè, volò altissimo, tanto da raccogliere sul petto il rosso del tramonto e sul dorso l’azzurro del cielo. La stella più lucente della costellazione della Pleiadi, Alcione era, secondo i greci, una fanciulla che, impazzita di dolore per la morte dello sposo, si gettò i  mare. Gli dei, mossi a pietà, trasformarono lei e il suo sposo in una coppia di Martin pescatori. Ecco perché il nome scientifico del Martin Pescatore è Alcedo (Alcione).     

IL PORCIGLIONE 

L’uccello riservato che emette suoni simili a quelli del maiale…

Il porciglione è un piccolo uccello di palude della famiglia dei Rallidae. Gli adulti hanno principalmente parti superiori marroni e parti inferiori bluastre con barre nere sui fianchi. Il corpo è appiattito lateralmente e questo per facilitarne il passaggio tra i giunchi. Ha piedi lunghi, una coda corta e un ciuffo rossastro sottile. E’ un uccello abbastanza raro, tanto da essere difficile da vedere e localizzare. In ogni caso, è piuttosto rumoroso e i suoi grugniti si possono sentire con facilità nella palude, soprattutto durante la stagione invernale.Il porciglione è un uccello abbastanza riservato e, dato che scoprire le sue abitudini si è rivelato un compito sempre arduo per i birdwatcher (coloro che guardano e documentano sulle abitudini degli uccelli), non si sa molto della sua vita.Quello che è certo, è che la popolazione dei porciglioni ha subito in passato, una pesante diminuzione. La causa più netta è stata la bonifica delle zone paludose, il loro habitat naturale.

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Ma riprendiamo il nostro viaggio! Alcuni metri prima del ponte che apre sulla Busa Celeste, troveremo alla nostra destra un sentiero segnato al limite di un prato. ncamminiamoci a piedi ,dopo aver abbandonato la bici, lungo un sentiero tracciato a ridosso del fiume.Nota bene: è un tratto pericoloso in quanto il sentiero si snoda a ridosso del Sile e quindi un passo mal messo rischia di farci precipitare in acqua, quindi facciamo molta attenzione! E’ un tratto in cui, se muniti di grande attenzione potremmo ammirare anche un “Sile ripido e quasi torrenziale”. Un posto per amanti della giungla!!! Selvaggio, da vivere da soli accompagnati solo dal silenzio di uno scorcio “fuori dal mondo davvero”. Il sentiero si snoda per circa 0,5 km fino ad un punto in cui non è più possibile procedere oltre. S’impone allora il recupero dei nostri passi per tornare a riprendere la bicicletta e ammirare nuovamente la Busa Celeste.

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C’eravamo lasciati all’incirca al vecchio mulino di Via Barbasso provenendo da via Cominetto. Oltrepassiamo il ponte sul Sile e proseguiamo in direzione nord per altri 0,3 km fino ad incontrare alla nostra destra Via Pescatori. La percorreremo, notando alla nostra destra i capanni, per il birdwatching; così per altri 1,2 km. Giriamo a destra in Via Ostiglia e giungiamo ad un nuovo ponte sul sile. 

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Proseguiamo per altri 0,7 km in direzione sud fino ad incrociare la provinciale Badoere - Quinto. Svoltiamo a destra e percorriamo Via Settimo per altri 1,0 km. Giriamo quindi a sinistra per Via Fornaci . Poco dopo esser entrati alla nostra sinistra si apre un bel pioppeto. Proseguiamo per altri 1,0 km ( alla nostra sinistra una casa di privata) percorrendo un viottolo stretto delimitato da pioppi. Giungiamo quindi ,dopo una breve salita, all’innesto con l’antica Via Ostiglia . Stiamo andando verso l’Oasi di Cervara in Quinto. Giriamo a sinistra e procediamo sotto una fitta vegetazione per altri 0,7 km. Ecco quindi alla nostra  sinistra, nascoste tra gli alberi e una vegetazione molto fitta,  le Cave di Carlesso.

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Qui possiamo lasciare per un po’ la nostra bicicletta e assaporare a piedi tra rovi e intricate piante, la bellezza di questo biotopo frutto di un’intelligente attività di rinaturalizzazione. Non è difficile incontrare da queste parti pescatori. Rimane solo il rammarico di un continuo brusio sopra di noi causato dal passaggio dei cavi di alta tensione. Qui proprio qui! Ci possiamo comunque consolare facilmente in stagione con la visione bianca, verde e blu creata dalle ninfee in fiore, dalle sue foglie e dal volteggiare sicuro di libellule blu. Ma cos’è in particolare questa palude? E’ una splendida palude profonda, in particolare si tratta di numerosi stagni collegati l’uno all’altro da lingue di terra. Essa è stata completamente ricolonizzata da specie idrofite e idrofile ed è una ricca riserva di pesce soprattutto per gli uccelli predatori. La regina dominatrice di queste acque è la Ninfea bianca, ma non meno rilevante e da salvaguardare è la Centaurea minore dai fiori rosa riuniti in infiorescenze. 

LA NINFEA BIANCA

La Ninfea è una pianta acquatica diffusa nelle acque dolci di tutta Europa. Vive di preferenza nelle acque ferme o a lento decorso, è radicante e perenne, ed è particolarmente resistente: propaga con facilità (in certi casi è considerata invasiva). In realtà è più palustre che acquatica in quanto è una specie che può sopportare facilmente abbassamenti temporanei del livello dell'acqua. La profondità della pianta in acqua (e quindi le radici) può arrivare ad oltre un metro; e le radici sono fissate sul fondo fangoso. Il colore del fiore è bianco puro (raramente roseo) e i suoi fiori sono profumati. Curiosità. Il suo nome deriva dal greco “nymphe” ovvero ninfa, perché è una pianta che abita nelle acque. Plinio la ricorda come un rimedio adatto a scacciare l’insonnia erotica e i santoni d’Egitto se ne servivano per meglio sopportare le astinenze del celibato. I Greci assegnarono a questo fiore il nome di N. immaginando che si trattasse di una ninfa trasformata dagli dei e galleggiante sulle acque. Nei paesi anglosassoni è chiamata il giglio d'acqua, simboleggia la purezza del cuore, gli orientali invece la prediligono per la sua caratteristica di aprirsi al levar del Sole per poi richiudersi puntuale al tramonto, da qui il significato di risurrezione e rinnovamento.Gli egiziani per la sua bellezza la ritennero degna di ornarne le abitazioni ed i vestiari dei faraoni.

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LA LIBELLULA                                                                     

Il suo nome deriva dal latino "libra", in altre parole bilancia, così detta perché nel volo tiene le ali orizzontali.  Si nutre di insetti che afferra e divora in volo; ha quindi un volo silenzioso oltre che veloce, che fa di essa un terribile predatore, sia in aria che in acqua. La riproduzione delle libellule avviene in ambiente acquatico. Esse sono ovipare e dopo avere deposto le uova dalla forma allungata le lasciano semplicemente cadere nell'acqua oppure le fissano ai fusti di piante acquatiche. In tutte le specie, dalle uova escono le neanidi che maturano nell'acqua, nutrendosi di diverse forme di vita acquatica; quelle di alcune delle specie più grosse possono addirittura attaccare piccoli pesci. Curiosità: Insieme alle farfalle, le libellule sono tra gli insetti più conosciuti e studiati al mondo, soprattutto perché sono “creature” che in migliaia di anni hanno avuto varie evoluzioni della specie.Pensate che 320 milioni di anni fa, esisteva una libellula grande quanto un gabbiano, il Meganeura che volteggiava sopra le teste dei dinosauri.Inoltre, è l'animale con più” occhi” al mondo: che ne possiede circa 28.000 occhi!

 

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Dalle Cave di Carlesso si pedala per un altro chilometro: siamo nei pressi dell'Oasi di Cervara, luogo ove si conclude questa tappa.

ALTRI SCATTI 

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